Parete Sud, l’autobiografia di Hansjörg Auer. Intervista al traduttore Luca Calvi

È uscita per Corbaccio la versione italiana dell’autobiografia dell’alpinista austriaco Hansjörg Auer. Un libro che documenta una passione travolgente per l’arrampicata, dalle prime vie alla straordinaria free solo della Via Attraverso il Pesce in Marmolada, passando per i sacrifici compiuti per diventare uno dei migliori della sua generazione. Parete Sud è un libro assolutamente da leggere, come si evince da questa intervista al traduttore Luca Calvi.
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Hansjörg Auer in solitaria sulla Via del Pesce, Marmolada, 2007. Una settimana dopo la free solo l'austriaco è tornato insieme al suo fratello Matthias ed il fotografo Heiko Wilhelm per scattare questa foto
Heiko Wilhelm

Il 29 aprile 2007 Hansjörg Auer parte da solo per le Dolomiti. Soltanto i suoi genitori e uno dei fratelli hanno idea di che cosa abbia in mente di fare quel giorno: salire la Via Attraverso il Pesce, lunga 900 metri, sulla parete sud della Marmolada in free solo. L’impresa consacra Auer come una stella del firmamento alpinistico. Da allora Auer non ha smesso di arrampicare in libera, aprendo nuove vie in tutto il mondo, dalle Alpi alla Patagonia, dal Karakorum alla Norvegia. Fino al tragico 16 aprile 2019 quando, insieme a David Lama e Jess Roskelley, muore travolto da una valanga sull’Howse Peak, in Canada, all’età di trentacinque anni. Per questo motivo possiamo considerare Parete Sud una sorta di testamento spirituale da parte di un alpinista eccezionale che in questo libro, scritto nei mesi precedenti alla sua scomparsa, parla liberamente della sua passione, di come l’abbia trasformata in una professione, della pressione mediatica, dei sacrifici compiuti, dell’anoressia che ha combattuto fin da ragazzino, degli infortuni e della capacità di rialzarsi, in nome di una passione inestinguibile come conferma in questa intervista il traduttore del libro Luca Calvi.

Luca, partiamo dalla fine. Cosa significa per te aver tradotto questo libro?
È il compimento, la ciliegina sulla torta di una vicenda che mi ha segnato la vita in positivo ma con parecchie sfumature dolorose. Anni fa avevo avuto la fortuna di sviluppare, nonostante la differenza d’età, una bella amicizia con il fuoriclasse tirolese. Un rapporto umano che andava molto al di là degli incontri che avevamo avuto e durante i quali l’avevo tradotto e/o intervistato sul palco. Si era creata quell’alchimia che i “malati di montagna” conoscono bene. Quella che permette di capire il perché di una passione e soprattutto la forza della stessa. Hansjörg, tanto per dare un’idea, ogniqualvolta gli ricordavo che lui era un fuoriclasse ed io un semplice appassionato quartogradista, scoppiava a ridere e ribadiva: “Ma no, la passione è la stessa, è per quello che ci capiamo. Cioè, per quello con l’aiuto della birra e del tirolese!”, facendo seguire il tutto da risate omeriche.

Adesso invece c'è il libro
Tra di noi era balenata l’idea di riuscire a scrivere assieme qualcosa proprio sul suo essere profondamente tirolese, quindi sulla sua identità di confine di un gruppo etnico senza Stato, che proprio nelle montagne e nell’alpinismo trovava uno dei fattori identitari più importanti. Ridendo mi aveva anche detto “magari in attesa di quello datti da fare, potresti anche tradurre il mio Parete Sud che è appena uscito….”. Ci eravamo salutati così, ridendo e con una birra in mano. Doveva partire per una spedizioncella, come l’aveva definita lui, con David e Jess. L’Howse Peak invece li ha voluti tutti e tre con sé.

Un momento di profondo dolore
Sì, quello acuto ma silenzioso che chi va in montagna conosce fin troppo bene. Passato quel periodo avevo ricominciato a sondare il terreno per capire quali erano le possibilità di poter arrivare a tradurre quel libro, ma una serie di contrattempi e di incomprensioni editoriali aveva sempre fatto saltare e procrastinare l’interesse. Questo fino a un anno e mezzo fa, all’incirca, quando in maniera quasi naturale si è formata una cordata composta da me, dall’architetto di Termeno Marlene Roner e dal Presidente del CAI Alto Adige Carlo Alberto Zanella. Siamo riusciti a far sì che la famiglia Auer riprendesse i diritti sulla traduzione del libro e subito dopo ho trovato terreno fertilissimo presso la casa Editrice Corbaccio. Una visita fatta presso la casa in cui passo l’estate in Cadore da parte di Traudi, la mamma di Hansjörg, e della sua compagna, Tatjana, ha suggellato con non poca commozione ed allegria l’avvio della fase attuativa. Il resto è stata pura gioia letteraria e un gran piacere per un traduttore innamorato della lingua e della materia.

Cosa ti ha colpito di più nel libro?
Non c’è un aspetto in particolare che mi abbia colpito di più. Posso segnalare il fatto che Hansjörg scriveva esattamente così come parlava e come scalava, ovvero con una delicatezza incredibile che spesso copriva l’energia e la forza da usare per risolvere un passaggio. Per chi conosceva Hansjörg l’idea è chiara: era un ragazzo che si muoveva come un ragno, capace di salire rapidamente a apparentemente senza sforzo. Nella scrittura si è rivelato simile, capace di raccontare e di raccontarsi anche negli aspetti più intimi e difficili da raccontare sempre con delicatezza e leggerezza. Mai pesante, è stato in grado di riuscire a parlare con profondità e leggerezza perfino dei problemi alimentari che ha sperimentato ad un certo stadio della sua vita.

Profondità e leggerezza, un bel connubio
Un altro aspetto che mi ha colpito, per quanto mi fosse già stato raccontato a voce, ancorché non in maniera così approfondita, riguarda poi il suo rapporto con la sfera religiosa. Proveniente da una famiglia credente ma per nulla bigotta, vedeva nel divino una presenza costante ma del tutto scevra dalla ridondanza del bigottismo, che rifiutava. Un atteggiamento che poi mi è stato confermato essere di famiglia da parte di Traudi, sua madre.

Cos’è stata la cosa più difficile nella traduzione di questo libro?
Tecnicamente nulla. Fortunatamente conosco decentemente sia il tedesco che il tirolese, quindi non mi sono nuovi i cromatismi linguistici della lingua e dei dialetti in cui Hansjörg pensava e si esprimeva. A livello emotivo invece è stato difficile rimanere distaccati quanto serve per tradurre alcuni punti, come quelli relativi alla morte di un caro amico o altri momenti di particolare intensità. Soprattutto, però, è stato difficile redigere le poche righe della piccola introduzione con cui ho messo la parola “fine” all’opera di traduzione e cura. Difficile perché aver tradotto il libro ha significato per me mantenere in vita almeno il ricordo di Hansjörg, quindi mantenere vivo il legame spirituale, e dare l’imprimatur alla pubblicazione alla fine è suonato un po’ come mettere la parola fine rendendosi conto che sarà impossibile avere un altro inizio che non sia qualcosa riportato dalla memoria.

Quanto aiuta conoscere l’Autore?
Aiuta tantissimo ma allo stesso tempo può diventare un ostacolo enorme. Mi riallaccio a quanto appena raccontato. Aver conosciuto bene Hansjörg, il suo modo di pensare e di esprimersi mi è stato fondamentale per cercare di rendere nella mia lingua la sua opera, trasfigurando quindi pensieri e racconti, non solo preoccupandomi quindi di lessico e di morfosintassi. Allo stesso tempo, però, c’è il rischio pressoché certo del coinvolgimento del Traduttore nella narrazione, con il conseguente ulteriore pericolo del non rimanere sufficientemente distaccati, non tanto quanto uno si aspetterebbe da chi svolge una semplice opera di trasposizione da una lingua all’altra. Esserne cosciente ha significato una fatica triplice ma allo stesso tempo tre volte bella, per aver dovuto tradurre dal tedesco con cromatismi tirolesi, per aver saputo entrare nella psicologia e nello humour di un ragazzo pieno di vita e di gioia e per aver saputo resistere, spero, alla tentazione di lasciarmi coinvolgere emotivamente in maniera eccessiva.

A traduzione finita, cosa ti sarebbe piaciuto chiedere ad Hansjörg all’epoca?
Mi rendo conto che mi sarebbe piaciuto approfondire i temi relativi all’identità tirolese (mie piccole manie da etnolinguista), la questione del suo rapporto con le fede. Mi sarebbe piaciuto approfondire gli aspetti secondo lui da evitare tra quelli definiti “orpelli” delle religioni organizzate, così come avrei voluto farmi raccontare di più della sua via Bruderliebe e del rapporto con i singoli fratelli, in particolare con Vitus, l’unico che conosco personalmente. Molto semplicemente mi sarebbe piaciuto continuare ad incontrarlo ed a farmi raccontare da lui delle ultime “auerate” combinate, come eravamo soliti fare, ovvero davanti ad una bella birra, potendo così continuare ad ascoltare e godere di quella che già ho definito “la profondissima leggerezza di Hansjörg Auer".

Bella questa
Sì. Mi raccomando, leggere il libro. È veramente bello e permette di poter ripetere una volta di più che la letteratura alpinistica non è una letteratura di serie B. No, la letteratura o è tale o non è letteratura. Parete Sud di Hansjörg Auer è a tutti gli effetti un gran bel libro di pura letteratura sul tema della montagna e dell’alpinismo.

Per acquistare il libro: www.corbaccio.it/autori/hansjorg-auer




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