Coffee Break Interview: Matteo Della Bordella / Tamara Lunger

L’alpinista lecchese Matteo Della Bordella e l’alpinista sudtirolese Tamara Lunger sono i protagonista della 14° puntata di Coffee Break Interview, il progetto settimanale curato da Daniela Zangrando per esplorare sogni, desideri e limiti dei protagonisti dell'arrampicata e dell’alpinismo.

MATTEO DELLA BORDELLA

Daniela Zangrando: Il passo chiave.
Matteo Della Bordella:
È dove la probabilità di fallire è più alta. Non è necessariamente un passaggio tecnicamente difficile, ma piuttosto un passaggio dall'esito incerto, dove ti devi mettere in gioco e non sai bene come andrà a finire. In arrampicata, in alpinismo e nella vita di tutti i giorni.

D.Z.: Cosa vuol dire spostare il limite?
M.D.B.:
Fare qualcosa di nuovo, di mai fatto prima. A livello personale raggiungere un traguardo che pensavo impossibile, a livello generale raggiungere un traguardo che nessuno poteva nemmeno immaginare o tutti ritenevano impossibile.

D.Z.: I tuoi limiti, ora.
M.D.B.:
Forse iniziare nuovi grandi progetti. Le idee non mi mancano, ma rispetto ad alcuni anni fa forse sono più consapevole dei rischi che ogni grande progetto comporta e meno propenso alle rinunce che implica. Non mi pongo limiti, però ci penso bene prima di tentare qualcosa di questo tipo perché so che poi quando sono in ballo prima di tirarmi indietro voglio giocarmi tutte le carte.

D.Z.: Se non dovessi più fare il climber, cosa faresti? Hai un piano altro, parallelo?
M.D.B.:
Nessun piano parallelo. Fino a qualche anno fa lo avevo, lavoravo come ricercatore in università, ma poi ho deciso di mollare quella strada. Preferisco vivere la realtà e vedere dove la vita mi porta e dove posso arrivare.

D.Z.: Cosa ti piacerebbe cambiare del mondo dell'arrampicata? Di questo che a tutti gli effetti penso sia il tuo lavoro?
M.D.B.:
Più onestà nel raccontare e nel comunicare, meno autocelebrazione.

D.Z.: Descrivimi il luogo. Quel posto che senti tuo. Dove puoi rifugiarti, pensare, distruggere, gridare.
M.D.B.:
Forse qualsiasi campo base, ma sicuramente la Patagonia. Anche i momenti in cui il tempo è brutto per scalare, indipendentemente che mi trovi a El Chalten, in una truna o in qualsiasi altro campo base, non li ho mai vissuti come l’esasperante attesa che molti alpinisti descrivono. Per me sono luoghi in cui posso rifugiarmi, pensare ed eventualmente gridare. Distruggere per fortuna no.

D.Z.: E per ultima cosa un sogno. Che meriti di essere chiamato tale.
M.D.B.:
Continuare ad avere sogni da inseguire, sempre diversi tra di loro, rinnovarsi ogni volta e crescere, stare bene ed essere pronto ad accogliere quello che la vita può offrirmi.


TAMARA LUNGER

Daniela Zangrando: Il passo chiave.
Tamara Lunger:
Il passo chiave. Non si sa. La cosa più difficile, che mi fa paura ad esempio in questa spedizione*, è lo star bene insieme. Siamo in sette, ognuno di noi ha un carattere indipendente ed è difficile trovare un equilibrio in questo. La fatica la vogliamo fare tutti, certo, ma se qualcosa non funziona tra le persone, diventa tutto pesante.

D.Z.: Cosa vuol dire spostare il limite?
T.L.:
Vuol dire andare in una direzione inesplorata. Questa cosa che vorrei fare adesso è la più dura che ho provato finora. Tutto è un po’ sconosciuto: non so come il corpo reagirà a questi chilometri, a questi metri verticali, … è un viaggio verso un polo nuovo di me stessa.

D.Z.: I tuoi limiti, ora.
T.L.:
Non so proprio rispondere. I limiti dipendono sempre da quanto sei innamorato di una cosa. Per esempio, pochi giorni fa, quando ho pensato che dovevo partire per questa spedizione, mi sono venute le farfalle allo stomaco. Per me è il segno inequivocabile che la scelta di voler provare è quella giusta. Poi il resto si vedrà. Siccome amo sia fare fatica che le montagne, secondo me non c’è niente di insuperabile… faccio fatica a descrivere la sensazione da tanto è profonda.

D.Z.: Se non dovessi più fare il climber, cosa faresti? Hai un piano altro, parallelo?
T.L.:
Se non potessi più farlo, forse mi sposterei verso il volo. Ma non voglio pensarci adesso. È inutile. Intanto vivo questa esperienza a pieno. Quando non potrò più continuare, ci penserò.

D.Z.: Cosa ti piacerebbe cambiare del mondo dell'arrampicata? Di questo che a tutti gli effetti penso sia il tuo lavoro?
T.L.:
A me basta che ognuno sia onesto con se stesso e non solo attento a rientrare negli schemi che altri hanno preparato per lui. Non è necessario corrispondere esattamente all’immagine che qualcun altro ha di noi! La montagna è espressione di vita. Attraverso il suo tramite posso esplorare me stessa, e per me questa lettura interiore è qualcosa di prezioso. Spero che chiunque si possa sentire libero di fare quello sente, anche se magari va un po’ contro gli ideali comuni.
Ognuno dovrebbe avere la possibilità di esplorarsi in montagna, e vivere questa investigazione come una cosa solo per se stesso, non per dimostrare qualcosa a chi ha attorno.

D.Z.: Descrivimi il luogo. Quel posto che senti tuo. Dove puoi rifugiarti, pensare, distruggere, gridare.
T.L.:
Il posto in cui finora mi sono sentita così è stato il Campo 3 del Nanga Parbat. Quando ho guardato fuori e ho visto il panorama, ho capito che eravamo davvero solo noi quattro su questa montagna grandissima. Mi ha dato un senso di pienezza che non avevo mai sentito prima. Era così bello che ho detto: «Adesso non mi manca niente. Potrei anche morire perché mi sento completa, felice, arrivata.»

D.Z.: E per ultima cosa un sogno. Che meriti di essere chiamato tale.
T.L.:
Non è una cima o qualcosa di simile. È diventare la persona che voglio essere, perché è una meta che non ho ancora raggiunto. Si tratta di un percorso che voglio fare, non sapendo cosa mi aspetta, che cime voglio ancora scalare. Certamente ho qualche idea, ma poi i sogni diventano sempre di più, e magari uno va a segno, e uno non va. Inseguirli è davvero solo un viaggio per capire a fondo me stessa e diventare quella che voglio.

Daniela Zangrando 

>> Tutti gli articoli Coffee Break di Daniela Zangrando 

* Si riferisce alla spedizione Der Lange Weg. Un team di alpinisti che vede, oltre a lei, Núria Picas, Janelle Smiley, Mark Smiley, David Wallmann, Philipp Reiter e Bernhard Hug ha intrapreso il 17 marzo scorso la storica traversata delle Alpi compiuta nel 1971 da Robert Kittl, Klaus Hoi, Hansjörg Farbmacher e Hans Mariacher, con l’obiettivo di percorrere i 1.917 chilometri e i più di 85.000 metri di dislivello in un tempo inferiore a 41 giorni.




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