Nanga Parbat d'inverno e la cordata Simone Moro e Tamara Lunger
Della prima del Nanga Parbat d'inverno ormai si sa tutto, o quasi. Tutti – ma proprio tutti – giornali, televisioni, radio, per non dire di internet, ne hanno parlato. E sicuramente lo faranno ancora per un bel po'. D'altra parte una salita come quella di Simone Moro, Tamara Lunger, Ali Sadpara e Alex Txikon aveva probabilità di successo vicinissime allo zero. I bookmaker avrebbero dato quote praticamente alla pari per quei pazzi che avessero scommesso sulla cima. Ciò per mille ragioni. A cominciare dalle condizioni oggettive. Come il freddo orribile, il vento impossibile, la fatica oltre il limite, la quota, le difficoltà, un meteo terribile e quei rischi, sempre in agguato sugli Ottomila e in particolare su una montagna come il Nanga Parbat. Perché si sa, lassù, anche in estate quindi figurarsi in inverno, il più banale inghippo può rivelarsi un disastro, se non una tragedia vera e propria.
Ma non basta. Occorre aggiungere anche quel tempo di attesa interminabile (80 giorni!), l'impossibilità di acclimatarsi sufficientemente, la necessità di mantenere alta la motivazione, di far le scelte giuste e di non... "sbroccare". Insomma occorre crederci, e poi continuare a crederci, sempre! Aldilà di tutto e nonostante tutti. Poi se, come abbiamo letto in qualche commento sparso sul web, tutto questo non sembra così "difficile". Se fare una prima invernale come quella del Nanga lungo la "normale" via Kinshofer, non è poi questa grande impresa alpinistica. Beh allora: avanti c'è posto, basta provare... La verità è - come sanno benissimo gli alpinisti e in particolare gli himalaisti – che il successo (la vetta) come del resto l'insuccesso passano sempre per piccole e grandi scelte. Per piccole sfortune e grandi fortune. Spesso, se non sempre, sono i particolari quelli che contano... Come saper formare la cordata giusta. O, meglio ancora, saper stare in cordata.
Ecco, per questa prima invernale del Nanga, è indubbio che la cordata più giusta sia quella che ha visto unire le forze di due cordate, quella di Simone Moro e Tamara Lunger, e quella di Ali Sadpara e Alex Txikon. Banalmente lo provano i fatti, la cima. Ma insieme è anche la ri-prova che unire le forze, saper collaborare o, se volete, essere generosi è importante, fa la differenza anche in alpinismo. Poi, lo sappiamo, si potrà discutere a lungo - qualcuno lo sta già facendo - se qualcuno ha più meriti degli altri. Ma tendiamo a credere che sia un esercizio inutile se non fuorviante: in salite così lunghe e impegnative (5 giorni per la salita e 1 per la discesa) vince sempre il team, appunto la cordata. Poi c'è anche chi si chiede se chi ha "lavorato" sulla montagna prima del rush finale (vedi anche Daniele Nardi) ha avuto un peso, e quale, sul successo. La risposta è semplice: sì l'ha avuto. Perché - come del resto tutti gli alpinisti delle 31 spedizioni che in 28 anni hanno tentato quella prima invernale – anche lui fa parte di quella storia e di quelle storie che hanno portato in vetta Moro, Sadpara e Txikon e, a soli 100 metri dalla cima, Tamara Lunger.
Appunto questo Nanga d'inverno è anche la storia di Tamara che sta male (vomita) proprio nella giornata decisiva, quella della vetta. Tamara che poi, secondo i primi racconti dei compagni, lotta per tutto il giorno ma, quando sembrava ormai fatta, decide di scendere per non complicare i tempi di discesa agli altri. Anche questo è fare cordata, alpinismo. Di sicuro era la cosa giusta da fare per il buon esito della discesa. Ma nessuno potrà mai sapere cosa le è costato. Forse non lo sa neanche lei. Come forse in pochi sanno la storia di Tamara Lunger alpinista e come s'è trovata lì, sul Nanga, d'inverno, in cordata con Simone Moro. Anche questa è una parte importante per capire questa prima invernale ma anche che alpinista sia Tamara.
Tutto inizia quando andava alle medie. La sua insegnante di educazione fisica è Barbara Zwerger, ovvero la moglie di Simone Moro. Ebbene Barbara, che è anche una valente alpinista e un'atleta delle gare di iceclimbing, intuisce subito che quella ragazzina di San Valentino in Val'Ega (Alto Adige) ha qualcosa di speciale: un "motore" ma anche una "testa" come se ne vedono pochi. La cosa le è chiarissima ad una gara scolastica di corsa di resistenza. Tamara, alla sua prima competizione, è indietro. La sua insegnante, Barbara appunto, le grida che per passare alla fase provinciale deve risalire di almeno 5 posizioni. E Tamara lo fa. Sì, la ragazzina sa "soffrire", anzi ama far fatica. Un requisito fondamentale per riuscire nello sport e indispensabile per l'alpinismo in alta quota. D'altra parte è una dote che deve avere nel Dna visto che il papà è un grande campione dello scialpinismo. Queste sono le premesse di un percorso che porterà Tamara a praticare l'atletica leggera (due volte vice-campionessa italiana del lancio del disco) ma soprattutto a diventare una delle punte di diamante delle competizioni di scialpinismo (Campionessa del Mondo under 23 nel 2008 e 2 volte Campionessa Italiana).
Intanto Barbara non ha mai perso i contatti con l'ex allieva. Le fa conoscere l'arrampicata ma è anche partecipe di un sogno che ha da sempre: quello di scalare in Himalaya. Un sogno che finite le scuole superiori Tamara esprime con un "quando mi porti in Himalaya" direttamente a Simone Moro, invitato (e un po' "costretto" a partecipare da Barbara) al suo "ballo di maturità". Simone glielo promette: la porterà in Himalaya. La cosa resta lì, sospesa, finché, quattro anni più tardi, nel 2009, Tamara rilancia la domanda su Skype: "Quando mi porti in Himalaya?". E questa volta tutto si avvera, Simone le dice di sì: andrà con lui al Cho Oyu! Ritorneranno a casa "solo" con la vetta dell'Island Peak (6189 m) perché proprio quell'anno la Cina ha chiuso le frontiere del Tibet per il 60° anniversario della Repubblica popolare. Ormai però il dado è tratto e Tamara non si ferma più.
Nel 2010 arriva in vetta agli 8.516 metri del Lhotse, ha 23 anni ed la più giovane donna a riuscirci. Ma ha usato l'ossigeno supplementare e non è per nulla contenta! Giura che non lo userà mai più. E così sarà. Nel 2010 tenta il Cho Oyu ma senza successo, anche perché la morte di Walter Nones sconvolge sia lei sia tutti gli alpinisti presenti sulla montagna. Nel 2011 sale il Khan Tengri (7010 m). Quindi arrivano il Muztgah Ata (7546 m) mentre nel 2012 ritorna sugli Ottomila con un tentativo al Broad Peak (8047 m). Nel 2013 ancora una vetta di livello: il Pik Lenin (7134 m) ma anche la sua "The great crossing", la grande traversata in Pakistan con 150 Km di sci alpinismo e la salita di due vette inviolate e senza nome di 6345m e 6489m. Poi, l'anno dopo, arriva il gran colpo con la vetta del K2 (8611m) e la seconda salita femminile italiana dopo quella di Nives Meroi.
A questo punto, ed il 2015, il sogno himalayano di Tamara diventa sempre più concreto. E arriva la notizia che in pochi si aspettavano: Simone Moro le propone di far cordata con lui per un'invernale al Manaslu. Rispetto alla storia che vi abbiamo raccontato sembra proprio la chiusura del cerchio, anche se pochi ancora ci credono. Probabilmente non conoscevano questo percorso né la capacità di Moro di "vedere" e "scegliere" i suoi compagni di cordata. Vedi il fortissimo e affiatatissimo team che ha formato con Denis Urubko (quando ancora il kazako era sconosciuto a tutti) e che ha prodotto alcune delle loro più belle salite, come le due prime invernali (Makalu e Gasherbrum II) e la prima salita della parete nord (con Bruno Tassi) del Khali Himal o Baruntse Nord (7066 metri). La spedizione invernale sul Manaslu di Simone e Tamara, come molti sanno, poi non è arrivata in vetta. Ma ha fatto nascere una cordata vera, un piccolo e assolutamente fondamentale tassello per questo loro (grande) Nanga Parbat d'inverno.
di Vinicio Stefanello
Expo.Planetmountain | |
C.A.M.P. | |
Climbing Technology | |
La Sportiva | |
The North Face | |
www | |
www.tamaralunger.com | |
www.simonemoro.com |