Il Tor des Geants di Stevie Haston
Stevie Haston, alpinista, ice climber e snowborder, racconta la sua esperienza alla prima edizione del Tor des Geants, l'incredibile ultra-maratona di 330 km e 24.000 metri di dislivello che, partendo e ritornando a Courmayeur, fa il giro completo della Valle d'Aosta attraversando il Gran Paradiso, il Monte Rosa, il Cervino e il Monte Bianco.
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Stevie Haston al Tor des Geants 2010
Lorenzo Belfrond
Vi verrebbe mai in mente di correre per 330 km? Probabilmente no, nessuno sano di mente lo farebbe. Il vostro sogno è quello di percorrere 24.000 metri tra pendii e discese? No, credo proprio di no, altrimenti dovete essere proprio fuori di testa. Il Tor de Geants è una gara, o un evento, in cui si percorrono 330 km e 24.000 metri di passaggi in altitudine e che ha richiamato 380 partecipanti di tutte le età, arrivati con la speranza di divertirsi. Con mia grande sorpresa, mi sono sembrate tutte persone abbastanza normali, forse un po’ esaltate, molto in forma ed eccitate, ma no, non erano affatto dei folli. Non fraintendetemi, o fraintendeteci, nessuno di loro ha mai pensato che sarebbe stata una passeggiata, e certamente erano consapevoli del fatto che in alcuni momenti sarebbe stata molto dura. E allora perché decidere di imbarcarsi in una simile avventura?
Tanto per cominciare, il TDG si tiene in una delle valli più belle del mondo, ed è stato appositamente organizzato su un percorso che mostrasse tutta la sua magnificenza,e che rendesse omaggio alle comunità locali, che cercano di vivere tra queste montagne in pace e armonia. Il TDG si snoda tra gli alti sentieri delle montagne valdostane, con partenza e arrivo a Courmayeur. Courmayeur è una località famosa tra gli esperti di alpinismo, ma che negli ultimi anni si è trasformata in un luogo di ritrovo per gli amanti della corsa in montagna. Ed è proprio così che sono stato personalmente catturato dalla gara, poiché conosco queste valli come il palmo della mia mano oramai da 30 anni.
Mi è capitato di leggere il bando del TDG 5 settimane prima dell’inizio della gara e sono rimasto stregato dalla sua magia e dal suo fascino provocante e irresistibile. Tutta quella bellezza in appena 7 giorni, sarebbe mai stato possibile? Sembrava esserlo per i non professionisti, ma lo sarebbe stato per uno scalatore come me che da un po' di anni non aveva più affrontato un endurance trail? Ero in cerca di un appiglio per prendermi una pausa dall’alpinismo, e più pensavo a quelle meravigliose vallate che avrei percorso durante la gara più ne rimanevo affascinato.
Se suddividete il Tor de Geants nei vari settori che lo compongono, la competizione appare logica e semplice ed è così che sono stato tratto in inganno, anche se in realtà credo che la mia intenzione fosse propria questa. Ogni giorno è un maratona di 4.000 metri di dislivello; quanto potrà essere difficile, riflettevo tra me? In realtà si sarebbe rivelato piuttosto faticoso, anche se la parte più difficile del Tor è la mancanza di sonno, con cui anche i concorrenti più bravi hanno dovuto fare i conti, ma se non altro loro sono stati senza dubbio abbastanza intelligenti da calcolare questo fattore fondamentale. Inoltre, volevo vedere correre ragazzi e ragazze energici per trovare in loro la giusta ispirazione.
Per me la parola sport significa uomini che ce la mettono tutta per riuscire. La motivazione e la passione che scorre nelle vene dei corridori di montagna mi ha sempre incoraggiato, soprattutto quando si tratta di uno sport come questo che non gode di grande attenzione. Al mio sguardo cinico, i runner sono molto più liberi dai controsensi che a volte circondano il mondo dell’alpinismo e ciò mi ha dato una spinta in più. Dopo aver analizzato i vari settori in cui il percorso del Tor si suddivideva e dopo aver riflettuto sulla totale assenza di sonno, volevo tirarmi indietro e godermi la gara da spettatore. Mi spaventavano profondamente l’impegno duro e assoluto che la competizione richiedeva, la fatica, la mancanza di gloria, le marce notturne dentro il tuo purgatorio, o inferno, privato.
Ma alla fine mi sono ritirato? No, non l’ho fatto, perché in quelle brevi 5 settimane mi sono tramutato in un vero runner, ho sviluppato una vera dipendenza da endorfine, come quando ero un ragazzo. L’enorme gioia di percorrere grandi distanze lungo montagne mozzafiato si è impossessata della mia anima e non sembrava voler mollare la presa. Durante l’allenamento sulle splendide colline del Galles Settentrionale, ho avuto l’occasione di incontrare gente cordiale e generosa che mi ha offerto la propria solidarietà. Quando mi sono trasferito a Courmayeur ho incontrato persone ancora più gentili e calorose che mi hanno sostenuto e spronato, il sole splendeva e quelle cime sembravano supplicarmi di raggiungerle, camminando a passo lento o veloce, o correndo.
Sei giorni prima della gara in un rifugio sulle colline ho conosciuto Marco, un incontro fortuito tra due spiriti uguali, che mi ha suggerito una tabella di marcia per affrontare la competizione che mi è stata di grande aiuto e mi è dispiaciuto che stesse rinunciando alla gara a causa di una sindrome da sovrallenamento. Ho tentato di convincerlo a non mollare e poi l’ho salutato. Sulla via del ritorno dai miei 50 km, mi sono provocato un taglio al tallone, avrei dovuto ritirarmi dalla gara, e avevo davanti a me la faccia triste e avvilita di Marco, come quella di chi perde la donna amata. Cinque settimane di allenamento buttate al vento, Marco aveva investito di più, io ero stato fortunato, tentavo di ripetere a me stesso, avevo una buona scusa per cancellarmi dalla gara ed evitare tutta quella fatica, ma non avrei assaporato neanche la gioia. Nei sei giorni che precedevano la gara, il taglio non si era ancora cicatrizzato, e così ho fatto quello che la maggior parte dei corridori estremi avrebbe fatto, decisi che avrei partecipato e ogni miglio percorso sarebbe stato una vittoria fino a quando non mi sarei arreso.
Il giorno della gara, ho percorso a piedi i 2 km verso la linea di partenza e vedere atleti professionisti accanto a gente normale semplicemente appassionata di corsa, pronti a mettercela davvero tutta per arrivare alla fine, mi ha dato una grande carica. L’eccitazione era eccezionale, gli organizzatori avevano messo su una grande partenza, la musica e le vaste distanze da percorrere contribuivano a trasmetterci ancora più carica nelle vene. Prima che me ne rendessi conto, eravamo oramai partiti, e poiché le prime due ore erano state tutte in salita avevo potuto evitare di infliggere traumi dolorosi ai miei talloni e ho cominciato a guadagnare posizioni staccandomi dalla coda del gruppo in cui ero partito.
Il tempo era splendido, le cime suggestive, e l’atmosfera tra i corridori era incoraggiante. Quel giorno non avevo sofferto molto e ho corso un bel po’; la crisi è arrivata più tardi, alla fine della tappa giornaliera. Tutti avevamo la possibilità di riposare, rifocillarci e dormire in quelle che vengono chiamate basi vita, allestite in modo appropriato ed eccellente, con volontari disponibili, ma a causa della tensione, del viavai continuo di persone, e del metabolismo in subbuglio, era impossibile dormire. I ragazzi e le ragazze più forti non si sono fermati, e hanno continuato ad avanzare con determinazione, era qualcosa che io non riuscivo davvero a concepire, e anche se fossi stato in grado di farlo, non avrei avuto la loro stessa sicurezza e fiducia.
Per essere la mia prima gara, mi ero avventurato in una grossa competizione dove la tattica e l’esperienza contavano ancor più dell’abilità e di fattori come il VO2 max. In questa gara come in molte altre, il coraggio e la tenacia sono al primo posto. Al termine della gara,sono riuscito a superare atleti migliori di me e, al contrario, mi sono piazzato al di sotto di persone comuni e tuttavia straordinariamente più tenaci e in grado di tirare fuori più grinta.
Arrivato alla prima base vita tentai di recuperare un po' di sonno, per 2 ore ho cercato di tenere gli occhi serrati, ma non sono comunque riuscito a chiudere occhio, così mi sono alzato e ho iniziato a camminare al buio sotto la pioggia. E allora ho imparato una nuova lezione, devi cioè essere ben equipaggiato, devi avere con te i vestiti adatti, conoscere bene la tua attrezzatura e saperla usare. Non ero un campione in questo e il ricambio degli indumenti impermeabili ogni 5 minuti ruba del tempo, e tutti quei cambi e le brevi soste durante i 330 km alla fine ammontano a un giorno, un giorno che non potrai riavere indietro. A 3.200 metri di altezza ci siamo trovati di fronte un valico particolarmente insidioso e anche qui ho dovuto imparare un’altra lezione perché, malgrado la mia esperienza di scalatore di medie altezze, sopra i 2.500 metri ho rallentato di molto il mio passo di marcia.
L’acclimatazione dunque è indispensabile durante questo tipo di gare. Alcuni dei declivi del valico hanno messo a dura prova la mia abilità di alpinista sotto la pioggia, e sono stato felice di aver portato con me i miei bastoncini. In realtà, gran parte dei concorrenti erano muniti di bastoncini da trekking, che permettono di usare diversi muscoli e aiutano a mantenere l’equilibrio durante la notte quando, mezzo addormentato, ti ritrovi a percorrere i sentieri che corrono lungo i declivi. Ma bisogna essere esperti per saperli usare a proprio vantaggio.
Ad un certo punto, un energico runner italiano ha fatto una sosta per risollevarmi il morale prima di superarmi. “Forza”, mi ha detto, “tieni duro ancora un po’ e comincerà una discesa agevole lunga 14 km”. E non si sbagliava, il tratto era piano e agevole ma io non sono riuscito a rendergli onore, perché tutto ciò che sono stato in grado di sfoderare è stata un’andatura lenta.
Dopo un’altra notte in una base vita non molto diversa da quella precedente, ero già in piedi prima ancora che avessi potuto riposarmi, mentre parlavo con Mark, arrivato dal Lakes District in Gran Bretagna. Aveva deciso di ritirarsi a causa di una slogatura al ginocchio, ho cercato di convincerlo a rimanere in gara, e lui mi ha aiutato con la mia ferita, anche se a malincuore ha dovuto mollare. Così ora ero completamente nel girone di chi cercava invano di dormire, sebbene riuscissi a riposarmi solo un paio di ore. Un pasto caldo e poi di nuovo in marcia. Le salite scoscese, anche se insidiose erano agevoli, e i declivi spesso erano un’agonia. Ho dovuto escogitare modi diversi di camminata o andatura, per evitare traumi al tallone. Non so come, ma ho resistito, perché vedevo molti corridori alle prese con le loro difficoltà, sempre da qualche runner gentile ti arrivava un nuovo incoraggiamento.
La quarta tappa era lunga 56 km con circa 5.000 metri di dislivello su sentieri che si snodavano su passaggi in altitudine, sembrava non finire più. Sono partito prima del tramonto in modo che i miei piedi non soffrissero per il caldo e non si ferissero troppo. Al Refugio de Coda, immerso nell’oscurità, davanti ai miei occhi si è aperta una vista sfavillante sulla vallata del Piemonte, i 50 km che ci dividevano dalle luci della città sembravano un sogno, e poi subito dopo una serie infinita di rocce. Ho superato una giovane ragazza in preda ad un attacco di asma e ho tentato di rassicurarla dicendole che sarebbe andato tutto bene e poi ho corso in fretta per avvisare qualcuno. Un’ora dopo mi sono imbattuto in Pascale che stava cercando alcuni corridori inclusa la ragazza che avevo appena visto, mentre il giorno spuntava su un valico ventoso, e fu felicissima di sentire che la sua amica stava bene, corse giù lungo la collina come un coniglietto con le medicine. Probabilmente il prossimo anno Pascale si iscriverà alla corsa, allora ci vediamo eh? Ad ogni modo, questa tappa mi ha quasi ridotto allo stremo delle forze, ma dopo una breve sosta alla successiva base di accoglienza ho ripreso il cammino, non me la sentivo di dormire, pensavo che se mi fossi addormentato non sarei riuscito a svegliarmi in tempo per finire la gara.
La tappa successiva avrebbe dovuto essere facile, ma io l’ho trovata particolarmente faticosa, i miei piedi erano doloranti, e prima della fine c’era un gigantesco pendio roccioso e interminabile. Una serie di superbi valichi battuti dal vento e degni del Signore degli Anelli, e poi di nuovo 1.500 metri di tortura in discesa. È stato un inferno, ho percorso alcuni tratti mezzo addormentato, con il pilota automatico. Le ultime 2 tappe le conoscevo dagli allenamenti, così pensai di avere la vittoria in tasca. Ma i miei piedi erano messi davvero male e stavano peggiorando e alla fine un dottore e un’infermiera hanno dovuto fare un grande lavoro per rimettermi in sesto. Vorrei ringraziare ancora una volta l’infermiera; veniva dalla Spagna ed è stata davvero comprensiva, quando ha inciso con il bisturi i tagli e le vesciche, sapevo che era doloroso più per lei che per me.
Ero di nuovo in piedi, ma non potevo indossare nessuna delle mie scarpe perciò abbiamo dovuto tagliarle. Avanzavo con grande difficoltà, dopo pochi chilometri mi trascinavo zoppicando e in qualche punto lungo il percorso ho corso per circa 14 km. Dopo l’ultimo valico sapevo che tutto sarebbe andato bene, perché quella del Monte Bianco è una delle viste più magiche sul pianeta, e la cresta della Noire come un enorme arco rampante che si innalza verso il tetto della cattedrale più imponente d’Europa, è semplicemente sublime.
Sono arrivato 82simo, salutato da una calda accoglienza, ed ho incontrato le due ragazze in testa che erano arrivate un giorno e mezzo prima di me, un tempo ottimo non come il mio. Julia mi ha chiesto che cosa mi avesse tenuto impegnato tutto quel tempo, piccola impertinente, è stata fantastica, ciao Julia alla prossima! Alcuni dei corridori hanno riportato degli ottimi tempi, altri sono riusciti a farcela a stento ma molti tra i più preparati hanno ammesso che questa è stata la gara più difficile a cui avessero mai partecipato. Questo non intende essere un ammonimento, è semplicemente un racconto affinché possiate conoscere la gara secondo la mia umile opinione da principiante, e credo che le gioie siano state proporzionali agli sforzi. Il premio consiste nella possibilità di vedere il meglio delle persone, il calore e la generosità delle comunità locali e la vera stoffa dei concorrenti, in generale è stata un’esperienza costruttiva.
Il Tor de Giants è una corsa fantastica tra cime e paesaggi sublimi, ma è più di questo, è lo spirito di 1200 volontari - eccezionali – è la gente del posto che nel mezzo della notte arriva in cima alle colline per dirti semplicemente bravo – e i concorrenti che non sono i tuoi nemici, bensì sono i tuoi compagni. Vallate differenti dove si parlano tre lingue diverse ma dove tutti amano, rispettano e proteggono la regione. Sono stato davvero fortunato ad essere stato tratto con l’inganno a partecipare a questa celebrazione della vita di montagna e ancora un grazie agli organizzatori a agli sponsor. Un ringraziamento personale va a tutti coloro che mi hanno supportato e sono stati in molti, tantissime grazie. Il Tor de Géants è arrivato alla fine, lunga vita al tour, non esitate a fissare il vostro appuntamento con i Geants.
Ulrich Gross ha vinto la gara dopo una lesione che ha costretto Calvo Redondo, arrivato secondo, a rallentare il passo di marcia. La sorella di Ulrich si è piazzata al quarto posto, una donna davvero tenace e un’ispirazione. I campioni sono chiaramente dei veri atleti e sono arrivati più di un giorno e mezzo prima di me. Se sei una persona allenata dovresti essere in grado di affrontare il Tor in circa lo stesso tempo impiegato da me, te la senti di scoprirlo?
Tanto per cominciare, il TDG si tiene in una delle valli più belle del mondo, ed è stato appositamente organizzato su un percorso che mostrasse tutta la sua magnificenza,e che rendesse omaggio alle comunità locali, che cercano di vivere tra queste montagne in pace e armonia. Il TDG si snoda tra gli alti sentieri delle montagne valdostane, con partenza e arrivo a Courmayeur. Courmayeur è una località famosa tra gli esperti di alpinismo, ma che negli ultimi anni si è trasformata in un luogo di ritrovo per gli amanti della corsa in montagna. Ed è proprio così che sono stato personalmente catturato dalla gara, poiché conosco queste valli come il palmo della mia mano oramai da 30 anni.
Mi è capitato di leggere il bando del TDG 5 settimane prima dell’inizio della gara e sono rimasto stregato dalla sua magia e dal suo fascino provocante e irresistibile. Tutta quella bellezza in appena 7 giorni, sarebbe mai stato possibile? Sembrava esserlo per i non professionisti, ma lo sarebbe stato per uno scalatore come me che da un po' di anni non aveva più affrontato un endurance trail? Ero in cerca di un appiglio per prendermi una pausa dall’alpinismo, e più pensavo a quelle meravigliose vallate che avrei percorso durante la gara più ne rimanevo affascinato.
Se suddividete il Tor de Geants nei vari settori che lo compongono, la competizione appare logica e semplice ed è così che sono stato tratto in inganno, anche se in realtà credo che la mia intenzione fosse propria questa. Ogni giorno è un maratona di 4.000 metri di dislivello; quanto potrà essere difficile, riflettevo tra me? In realtà si sarebbe rivelato piuttosto faticoso, anche se la parte più difficile del Tor è la mancanza di sonno, con cui anche i concorrenti più bravi hanno dovuto fare i conti, ma se non altro loro sono stati senza dubbio abbastanza intelligenti da calcolare questo fattore fondamentale. Inoltre, volevo vedere correre ragazzi e ragazze energici per trovare in loro la giusta ispirazione.
Per me la parola sport significa uomini che ce la mettono tutta per riuscire. La motivazione e la passione che scorre nelle vene dei corridori di montagna mi ha sempre incoraggiato, soprattutto quando si tratta di uno sport come questo che non gode di grande attenzione. Al mio sguardo cinico, i runner sono molto più liberi dai controsensi che a volte circondano il mondo dell’alpinismo e ciò mi ha dato una spinta in più. Dopo aver analizzato i vari settori in cui il percorso del Tor si suddivideva e dopo aver riflettuto sulla totale assenza di sonno, volevo tirarmi indietro e godermi la gara da spettatore. Mi spaventavano profondamente l’impegno duro e assoluto che la competizione richiedeva, la fatica, la mancanza di gloria, le marce notturne dentro il tuo purgatorio, o inferno, privato.
Ma alla fine mi sono ritirato? No, non l’ho fatto, perché in quelle brevi 5 settimane mi sono tramutato in un vero runner, ho sviluppato una vera dipendenza da endorfine, come quando ero un ragazzo. L’enorme gioia di percorrere grandi distanze lungo montagne mozzafiato si è impossessata della mia anima e non sembrava voler mollare la presa. Durante l’allenamento sulle splendide colline del Galles Settentrionale, ho avuto l’occasione di incontrare gente cordiale e generosa che mi ha offerto la propria solidarietà. Quando mi sono trasferito a Courmayeur ho incontrato persone ancora più gentili e calorose che mi hanno sostenuto e spronato, il sole splendeva e quelle cime sembravano supplicarmi di raggiungerle, camminando a passo lento o veloce, o correndo.
Sei giorni prima della gara in un rifugio sulle colline ho conosciuto Marco, un incontro fortuito tra due spiriti uguali, che mi ha suggerito una tabella di marcia per affrontare la competizione che mi è stata di grande aiuto e mi è dispiaciuto che stesse rinunciando alla gara a causa di una sindrome da sovrallenamento. Ho tentato di convincerlo a non mollare e poi l’ho salutato. Sulla via del ritorno dai miei 50 km, mi sono provocato un taglio al tallone, avrei dovuto ritirarmi dalla gara, e avevo davanti a me la faccia triste e avvilita di Marco, come quella di chi perde la donna amata. Cinque settimane di allenamento buttate al vento, Marco aveva investito di più, io ero stato fortunato, tentavo di ripetere a me stesso, avevo una buona scusa per cancellarmi dalla gara ed evitare tutta quella fatica, ma non avrei assaporato neanche la gioia. Nei sei giorni che precedevano la gara, il taglio non si era ancora cicatrizzato, e così ho fatto quello che la maggior parte dei corridori estremi avrebbe fatto, decisi che avrei partecipato e ogni miglio percorso sarebbe stato una vittoria fino a quando non mi sarei arreso.
Il giorno della gara, ho percorso a piedi i 2 km verso la linea di partenza e vedere atleti professionisti accanto a gente normale semplicemente appassionata di corsa, pronti a mettercela davvero tutta per arrivare alla fine, mi ha dato una grande carica. L’eccitazione era eccezionale, gli organizzatori avevano messo su una grande partenza, la musica e le vaste distanze da percorrere contribuivano a trasmetterci ancora più carica nelle vene. Prima che me ne rendessi conto, eravamo oramai partiti, e poiché le prime due ore erano state tutte in salita avevo potuto evitare di infliggere traumi dolorosi ai miei talloni e ho cominciato a guadagnare posizioni staccandomi dalla coda del gruppo in cui ero partito.
Il tempo era splendido, le cime suggestive, e l’atmosfera tra i corridori era incoraggiante. Quel giorno non avevo sofferto molto e ho corso un bel po’; la crisi è arrivata più tardi, alla fine della tappa giornaliera. Tutti avevamo la possibilità di riposare, rifocillarci e dormire in quelle che vengono chiamate basi vita, allestite in modo appropriato ed eccellente, con volontari disponibili, ma a causa della tensione, del viavai continuo di persone, e del metabolismo in subbuglio, era impossibile dormire. I ragazzi e le ragazze più forti non si sono fermati, e hanno continuato ad avanzare con determinazione, era qualcosa che io non riuscivo davvero a concepire, e anche se fossi stato in grado di farlo, non avrei avuto la loro stessa sicurezza e fiducia.
Per essere la mia prima gara, mi ero avventurato in una grossa competizione dove la tattica e l’esperienza contavano ancor più dell’abilità e di fattori come il VO2 max. In questa gara come in molte altre, il coraggio e la tenacia sono al primo posto. Al termine della gara,sono riuscito a superare atleti migliori di me e, al contrario, mi sono piazzato al di sotto di persone comuni e tuttavia straordinariamente più tenaci e in grado di tirare fuori più grinta.
Arrivato alla prima base vita tentai di recuperare un po' di sonno, per 2 ore ho cercato di tenere gli occhi serrati, ma non sono comunque riuscito a chiudere occhio, così mi sono alzato e ho iniziato a camminare al buio sotto la pioggia. E allora ho imparato una nuova lezione, devi cioè essere ben equipaggiato, devi avere con te i vestiti adatti, conoscere bene la tua attrezzatura e saperla usare. Non ero un campione in questo e il ricambio degli indumenti impermeabili ogni 5 minuti ruba del tempo, e tutti quei cambi e le brevi soste durante i 330 km alla fine ammontano a un giorno, un giorno che non potrai riavere indietro. A 3.200 metri di altezza ci siamo trovati di fronte un valico particolarmente insidioso e anche qui ho dovuto imparare un’altra lezione perché, malgrado la mia esperienza di scalatore di medie altezze, sopra i 2.500 metri ho rallentato di molto il mio passo di marcia.
L’acclimatazione dunque è indispensabile durante questo tipo di gare. Alcuni dei declivi del valico hanno messo a dura prova la mia abilità di alpinista sotto la pioggia, e sono stato felice di aver portato con me i miei bastoncini. In realtà, gran parte dei concorrenti erano muniti di bastoncini da trekking, che permettono di usare diversi muscoli e aiutano a mantenere l’equilibrio durante la notte quando, mezzo addormentato, ti ritrovi a percorrere i sentieri che corrono lungo i declivi. Ma bisogna essere esperti per saperli usare a proprio vantaggio.
Ad un certo punto, un energico runner italiano ha fatto una sosta per risollevarmi il morale prima di superarmi. “Forza”, mi ha detto, “tieni duro ancora un po’ e comincerà una discesa agevole lunga 14 km”. E non si sbagliava, il tratto era piano e agevole ma io non sono riuscito a rendergli onore, perché tutto ciò che sono stato in grado di sfoderare è stata un’andatura lenta.
Dopo un’altra notte in una base vita non molto diversa da quella precedente, ero già in piedi prima ancora che avessi potuto riposarmi, mentre parlavo con Mark, arrivato dal Lakes District in Gran Bretagna. Aveva deciso di ritirarsi a causa di una slogatura al ginocchio, ho cercato di convincerlo a rimanere in gara, e lui mi ha aiutato con la mia ferita, anche se a malincuore ha dovuto mollare. Così ora ero completamente nel girone di chi cercava invano di dormire, sebbene riuscissi a riposarmi solo un paio di ore. Un pasto caldo e poi di nuovo in marcia. Le salite scoscese, anche se insidiose erano agevoli, e i declivi spesso erano un’agonia. Ho dovuto escogitare modi diversi di camminata o andatura, per evitare traumi al tallone. Non so come, ma ho resistito, perché vedevo molti corridori alle prese con le loro difficoltà, sempre da qualche runner gentile ti arrivava un nuovo incoraggiamento.
La quarta tappa era lunga 56 km con circa 5.000 metri di dislivello su sentieri che si snodavano su passaggi in altitudine, sembrava non finire più. Sono partito prima del tramonto in modo che i miei piedi non soffrissero per il caldo e non si ferissero troppo. Al Refugio de Coda, immerso nell’oscurità, davanti ai miei occhi si è aperta una vista sfavillante sulla vallata del Piemonte, i 50 km che ci dividevano dalle luci della città sembravano un sogno, e poi subito dopo una serie infinita di rocce. Ho superato una giovane ragazza in preda ad un attacco di asma e ho tentato di rassicurarla dicendole che sarebbe andato tutto bene e poi ho corso in fretta per avvisare qualcuno. Un’ora dopo mi sono imbattuto in Pascale che stava cercando alcuni corridori inclusa la ragazza che avevo appena visto, mentre il giorno spuntava su un valico ventoso, e fu felicissima di sentire che la sua amica stava bene, corse giù lungo la collina come un coniglietto con le medicine. Probabilmente il prossimo anno Pascale si iscriverà alla corsa, allora ci vediamo eh? Ad ogni modo, questa tappa mi ha quasi ridotto allo stremo delle forze, ma dopo una breve sosta alla successiva base di accoglienza ho ripreso il cammino, non me la sentivo di dormire, pensavo che se mi fossi addormentato non sarei riuscito a svegliarmi in tempo per finire la gara.
La tappa successiva avrebbe dovuto essere facile, ma io l’ho trovata particolarmente faticosa, i miei piedi erano doloranti, e prima della fine c’era un gigantesco pendio roccioso e interminabile. Una serie di superbi valichi battuti dal vento e degni del Signore degli Anelli, e poi di nuovo 1.500 metri di tortura in discesa. È stato un inferno, ho percorso alcuni tratti mezzo addormentato, con il pilota automatico. Le ultime 2 tappe le conoscevo dagli allenamenti, così pensai di avere la vittoria in tasca. Ma i miei piedi erano messi davvero male e stavano peggiorando e alla fine un dottore e un’infermiera hanno dovuto fare un grande lavoro per rimettermi in sesto. Vorrei ringraziare ancora una volta l’infermiera; veniva dalla Spagna ed è stata davvero comprensiva, quando ha inciso con il bisturi i tagli e le vesciche, sapevo che era doloroso più per lei che per me.
Ero di nuovo in piedi, ma non potevo indossare nessuna delle mie scarpe perciò abbiamo dovuto tagliarle. Avanzavo con grande difficoltà, dopo pochi chilometri mi trascinavo zoppicando e in qualche punto lungo il percorso ho corso per circa 14 km. Dopo l’ultimo valico sapevo che tutto sarebbe andato bene, perché quella del Monte Bianco è una delle viste più magiche sul pianeta, e la cresta della Noire come un enorme arco rampante che si innalza verso il tetto della cattedrale più imponente d’Europa, è semplicemente sublime.
Sono arrivato 82simo, salutato da una calda accoglienza, ed ho incontrato le due ragazze in testa che erano arrivate un giorno e mezzo prima di me, un tempo ottimo non come il mio. Julia mi ha chiesto che cosa mi avesse tenuto impegnato tutto quel tempo, piccola impertinente, è stata fantastica, ciao Julia alla prossima! Alcuni dei corridori hanno riportato degli ottimi tempi, altri sono riusciti a farcela a stento ma molti tra i più preparati hanno ammesso che questa è stata la gara più difficile a cui avessero mai partecipato. Questo non intende essere un ammonimento, è semplicemente un racconto affinché possiate conoscere la gara secondo la mia umile opinione da principiante, e credo che le gioie siano state proporzionali agli sforzi. Il premio consiste nella possibilità di vedere il meglio delle persone, il calore e la generosità delle comunità locali e la vera stoffa dei concorrenti, in generale è stata un’esperienza costruttiva.
Il Tor de Giants è una corsa fantastica tra cime e paesaggi sublimi, ma è più di questo, è lo spirito di 1200 volontari - eccezionali – è la gente del posto che nel mezzo della notte arriva in cima alle colline per dirti semplicemente bravo – e i concorrenti che non sono i tuoi nemici, bensì sono i tuoi compagni. Vallate differenti dove si parlano tre lingue diverse ma dove tutti amano, rispettano e proteggono la regione. Sono stato davvero fortunato ad essere stato tratto con l’inganno a partecipare a questa celebrazione della vita di montagna e ancora un grazie agli organizzatori a agli sponsor. Un ringraziamento personale va a tutti coloro che mi hanno supportato e sono stati in molti, tantissime grazie. Il Tor de Géants è arrivato alla fine, lunga vita al tour, non esitate a fissare il vostro appuntamento con i Geants.
Ulrich Gross ha vinto la gara dopo una lesione che ha costretto Calvo Redondo, arrivato secondo, a rallentare il passo di marcia. La sorella di Ulrich si è piazzata al quarto posto, una donna davvero tenace e un’ispirazione. I campioni sono chiaramente dei veri atleti e sono arrivati più di un giorno e mezzo prima di me. Se sei una persona allenata dovresti essere in grado di affrontare il Tor in circa lo stesso tempo impiegato da me, te la senti di scoprirlo?
Note: Stevie Haston. Alpinista e ice climber britannico è l'emblema della voglia continua di evolvere e di scoprire sempre nuovi orizzonti. Una prova per tutte è la prima libera di Descente Lolitta, una via ultra-strapiombante nella francese Grotte de Sabart che raggiunge il grado estremo di 9a. Come dire la laurea con il massimo dei voti all'università dell'arrampicata sportiva. Se poi si aggiunge che questo top, Haston l'ha festeggiato l'anno scorso insieme alle sue 52 primavere, si capisce bene la portata dell'impresa. Ma non è tutto. Come non bastasse le recenti cronache testimoniano di altre sue salite da prima pagina. Come quella su Bim Bam, una delle più difficili e pericolose via 'trad' del Galles, oppure come la salita dell'immenso tetto di Greenspit in Valle dell'Orco. Va detto che questi sono traguardi assoluti, anche per i più giovani. D'altra parte a guardare il percorso di Haston non ci si può stupire né delle sue attuali performance né della sua estrema polivalenza ed estrosità. Infatti, fin da ragazzino, Haston ha impressionato tutti con la salita di alcune delle vie più dure del Galles, a-vista o in solitaria. Sulle Alpi, tra le altre, portano la sua firma la seconda salita invernale della Nord dell'Eiger ma anche la solitaria in libera e in inverno dello Sperone Walker, in sole 8 ore. Senza contare che è stato, ed è ancora, una delle punte di diamante dell'arrampicata sulle cascate di ghiaccio, con l'apertura e la ripetezione di molte delle vie più difficili della storia dell'ice climbing. E poi, all'inizio del 2000, è stato uno dei profeti e dei massimi interpreti del dry tooling o “misto estremo” inventando, in Valsavaranche, The Empire Strikes Back, un vero e proprio manifesto di questa attività.
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