Rocca Sbarua, come preservare l'arrampicata e la storia nelle falesie
La presentazione della nuova cartoguida della falesia torinese di Rocca Sbarua (redatta da Maurizio Oviglia ed edita da Versante Sud) è stata l’occasione, al Rifugio Melano Casa Canada, per un breve dibattito su come preservare le vie classiche nelle palestre storiche dalla eccessiva chiodatura e su come gestire gli spazi d'arrampicata, ormai sempre più esigui… Di Maurizio Oviglia
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Rocca Sbarua, all'alba.
Maurizio Oviglia
La Rocca Sbarua, in questi giorni splendidamente vestita d’autunno, si avvia a divenire, insieme alla Valle dell’Orco, il centro di maggiore interesse del torinese tanto che l’Ente Turismo Torino e Provincia ha deciso di promuovere la cartoguida in modo da far conoscere questa storica palestra non solo a livello nazionale, ma anche internazionale. La Rocca Sbarua non è infatti un luogo come tanti e, al pari della Valle dell’Orco, può contare oltre che sulla bellezza dell’arrampicata e un gran numero di vie presenti, anche sul fascino della storia, che indubbiamente attrae ancora moltissimi frequentatori, galvanizzati dall’idea di percorrere una via di Gervasutti o di Guido Rossa…
Un po' di storia. Uno dei primi arrampicatori a frequentare le rocce della Sbarua fu senz’altro il pinerolese Ettore Ellena, arrampicatore eccezionale di cui possiamo trovare traccia nel visionario Spigolo Ellena, superato nel 1929, un passaggio di… boulder sprotetto alto 5 metri che valutò V grado. Un talento almeno pari a quello di Gabriele Boccalatte, che poco dopo superò la famosa placca della Vena di Quarzo. La Rocca diviene la palestra preferita dei vari Gervasutti, Rivero, Ravelli, Ronco e Zanetti. Giampiero Motti scrive: “Le loro vie, ancora oggi, sono modelli insuperati di logica ed eleganza” (1969, Guida a Rocca Sbarua). Ed è a questo riguardo senz’altro da ricordare la famosa via Gervasutti-Ronco (1937) la cui foto su 100 Nuovi Mattini divenne una delle tante icone, oppure lo Spigolo Bianciotto (1949), considerato il primo VI grado del Piemonte, si dice superato da Luigi Bianciotto in libera e senza un solo chiodo! A poco a poco, risolti i grandi problemi logici, subentra l’epoca dell’artificiale e alla Rocca si affacciano nuovi nomi: Mellano, Rabbi, Ribetti, Barbi e molti altri. Ma tra tutti certamente Guido Rossa, poi assassinato dalle Brigate Rosse, che risolve il problema delle yosemitiche Placche Gialle dove per la prima volta verranno usati i chiodi a espansione (1957). Siamo agli anni sessanta, dove vengono risolti gli ultimi problemi grazie alla nuova generazione facente capo a Giampiero Motti, Giancarlo Grassi e Ugo Manera ed al successivo vento del Nuovo Mattino, che qui soffiò sicuramente più tiepido che in Valle dell’Orco. I primi anni ottanta videro la libera di importanti itinerari ad opera di Marco Bernardi, mentre i primi itinerari sportivi sull’onda del free climbing furono opera dell’indimenticato Marco De Marchi. Gli anni novanta furono forieri di moltissime nuove aperture all’insegna dell’arrampicata plaisir e poche furono le vie che si discostarono da questi clichet, queste ultime essenzialmente ad opera di Mauro Vaio e Franco Rebola, vie che spesso vennero liberate dal fortissimo Donato Lella. Furono rinchiodate a spit quasi tutte le classiche (una delle poche eccezioni fu la Via Beuchod alla Torre del Bimbo) e fu saturato ogni spazio libero. In compenso la Rocca divenne frequentatissima in ogni stagione, anche in virtù delle sue belle vie storiche, rese accessibili da una chiodatura spesso generosa.
Ma proprio sulla gestione del patrimonio storico si concentra il dibattito a Rocca Sbarua. Alcune proposte di interventi di schiodatura hanno provocato feroci discussioni sui forum internet, rischiando di far precipitare la situazione in una guerra civile tra chiodatori e schiodatori come è già avvenuto in altri siti piemontesi, come ad esempio Cadarese. Senza voler soffiare sulla brace, vorrei limitarmi ad esporre alcune riflessioni emerse dall’incontro di venerdì sera nella bella atmosfera di Casa Canada. E’ un dato di fatto che le vie storiche di Rocca Sbarua, parlo delle vie degli anni Trenta sino ad arrivare a quelle degli anni Sessanta, sono state negli anni novanta non solo chiodate a spit in maniera sistematica, ma nella quasi totalità dei casi il tracciato originale è stato variato. E’ stato anche osservato, da alcuni partecipanti all’incontro, che al di là del fatto che la richiodatura avvenga a chiodi o spit, nelle vie classiche è il numero delle protezioni che alla fine fa la differenza e riduce drasticamente l’impegno, qualora vengano aggiunti “punti” in maniera importante. La via Gervasutti, ad esempio, è stato fatto notare che fu superata con 6 chiodi da Giusto ed oggi ne esistono ben di più, solo limitandoci alle protezioni fisse. E si tratta di una linea completamente di fessure! Da qui la proposta di “rivalutare” una decina di vie storiche, almeno una decina, riportandole all’impegno e al tracciato originario, che attenzione non vuol dire schiodarle ed eliminare del tutto gli spit per farne delle salite di clean climbing! Alcuni si sono dichiarati in disaccordo con questa proposta in quanto sarebbe difficile ritornare indietro e “togliere” ai ripetitori delle vie molto frequentate come la Gervasutti. I gestori del rifugio, infine, hanno osservato che la maggior parte dei frequentatori della Sbarua viene proprio per ripetere queste vie e modificarle equivarrebbe ad un sollevamento popolare…
Non è poi da sottovalutare la gestione dello spazio libero in palestre storiche come la Rocca Sbarua, ma in generale su tutte le pareti famose. Può far sorridere che si auspichi un “piano regolatore” anche per le falesie ma vedere belle strutture come le Placche Gialle ridotte ad un intreccio di vie, tanto che è ormai necessario colorare le placchette, fa come minimo riflettere. E’ giusto mettere uno stop, o almeno regolare, le nuove aperture? E poi fino a che si ha diritto di stravolgere un luogo con l’apertura di centinaia di vie, fatto salvo che va salvaguardata la libertà di ogni apritore di esprimersi come ritiene, anche nei luoghi “storici”? Sono alcuni interrogativi che sono emersi da questo incontro ma che sono, a ben vedere, all’ordine del giorno in tutti i grandi santuari della scalata, dalla Yosemite al Verdon, da Presles alla Marmolada.
Intanto la Sbarua del nuovo millennio si sta aprendo ad un pubblico “nuovo”, cercando di diversificare l’offerta. Non solo “vie plaisir” ma anche boulder e perché no, anche qualche via “trad” per il futuro. “Ma non c’è più spazio libero per tutto questo!” hanno osservato alcuni… Chissà, “mai dire mai” recita un vecchio adagio, che guarda caso è anche il nome di una delle vie della Rocca.
Maurizio Oviglia
Un po' di storia. Uno dei primi arrampicatori a frequentare le rocce della Sbarua fu senz’altro il pinerolese Ettore Ellena, arrampicatore eccezionale di cui possiamo trovare traccia nel visionario Spigolo Ellena, superato nel 1929, un passaggio di… boulder sprotetto alto 5 metri che valutò V grado. Un talento almeno pari a quello di Gabriele Boccalatte, che poco dopo superò la famosa placca della Vena di Quarzo. La Rocca diviene la palestra preferita dei vari Gervasutti, Rivero, Ravelli, Ronco e Zanetti. Giampiero Motti scrive: “Le loro vie, ancora oggi, sono modelli insuperati di logica ed eleganza” (1969, Guida a Rocca Sbarua). Ed è a questo riguardo senz’altro da ricordare la famosa via Gervasutti-Ronco (1937) la cui foto su 100 Nuovi Mattini divenne una delle tante icone, oppure lo Spigolo Bianciotto (1949), considerato il primo VI grado del Piemonte, si dice superato da Luigi Bianciotto in libera e senza un solo chiodo! A poco a poco, risolti i grandi problemi logici, subentra l’epoca dell’artificiale e alla Rocca si affacciano nuovi nomi: Mellano, Rabbi, Ribetti, Barbi e molti altri. Ma tra tutti certamente Guido Rossa, poi assassinato dalle Brigate Rosse, che risolve il problema delle yosemitiche Placche Gialle dove per la prima volta verranno usati i chiodi a espansione (1957). Siamo agli anni sessanta, dove vengono risolti gli ultimi problemi grazie alla nuova generazione facente capo a Giampiero Motti, Giancarlo Grassi e Ugo Manera ed al successivo vento del Nuovo Mattino, che qui soffiò sicuramente più tiepido che in Valle dell’Orco. I primi anni ottanta videro la libera di importanti itinerari ad opera di Marco Bernardi, mentre i primi itinerari sportivi sull’onda del free climbing furono opera dell’indimenticato Marco De Marchi. Gli anni novanta furono forieri di moltissime nuove aperture all’insegna dell’arrampicata plaisir e poche furono le vie che si discostarono da questi clichet, queste ultime essenzialmente ad opera di Mauro Vaio e Franco Rebola, vie che spesso vennero liberate dal fortissimo Donato Lella. Furono rinchiodate a spit quasi tutte le classiche (una delle poche eccezioni fu la Via Beuchod alla Torre del Bimbo) e fu saturato ogni spazio libero. In compenso la Rocca divenne frequentatissima in ogni stagione, anche in virtù delle sue belle vie storiche, rese accessibili da una chiodatura spesso generosa.
Ma proprio sulla gestione del patrimonio storico si concentra il dibattito a Rocca Sbarua. Alcune proposte di interventi di schiodatura hanno provocato feroci discussioni sui forum internet, rischiando di far precipitare la situazione in una guerra civile tra chiodatori e schiodatori come è già avvenuto in altri siti piemontesi, come ad esempio Cadarese. Senza voler soffiare sulla brace, vorrei limitarmi ad esporre alcune riflessioni emerse dall’incontro di venerdì sera nella bella atmosfera di Casa Canada. E’ un dato di fatto che le vie storiche di Rocca Sbarua, parlo delle vie degli anni Trenta sino ad arrivare a quelle degli anni Sessanta, sono state negli anni novanta non solo chiodate a spit in maniera sistematica, ma nella quasi totalità dei casi il tracciato originale è stato variato. E’ stato anche osservato, da alcuni partecipanti all’incontro, che al di là del fatto che la richiodatura avvenga a chiodi o spit, nelle vie classiche è il numero delle protezioni che alla fine fa la differenza e riduce drasticamente l’impegno, qualora vengano aggiunti “punti” in maniera importante. La via Gervasutti, ad esempio, è stato fatto notare che fu superata con 6 chiodi da Giusto ed oggi ne esistono ben di più, solo limitandoci alle protezioni fisse. E si tratta di una linea completamente di fessure! Da qui la proposta di “rivalutare” una decina di vie storiche, almeno una decina, riportandole all’impegno e al tracciato originario, che attenzione non vuol dire schiodarle ed eliminare del tutto gli spit per farne delle salite di clean climbing! Alcuni si sono dichiarati in disaccordo con questa proposta in quanto sarebbe difficile ritornare indietro e “togliere” ai ripetitori delle vie molto frequentate come la Gervasutti. I gestori del rifugio, infine, hanno osservato che la maggior parte dei frequentatori della Sbarua viene proprio per ripetere queste vie e modificarle equivarrebbe ad un sollevamento popolare…
Non è poi da sottovalutare la gestione dello spazio libero in palestre storiche come la Rocca Sbarua, ma in generale su tutte le pareti famose. Può far sorridere che si auspichi un “piano regolatore” anche per le falesie ma vedere belle strutture come le Placche Gialle ridotte ad un intreccio di vie, tanto che è ormai necessario colorare le placchette, fa come minimo riflettere. E’ giusto mettere uno stop, o almeno regolare, le nuove aperture? E poi fino a che si ha diritto di stravolgere un luogo con l’apertura di centinaia di vie, fatto salvo che va salvaguardata la libertà di ogni apritore di esprimersi come ritiene, anche nei luoghi “storici”? Sono alcuni interrogativi che sono emersi da questo incontro ma che sono, a ben vedere, all’ordine del giorno in tutti i grandi santuari della scalata, dalla Yosemite al Verdon, da Presles alla Marmolada.
Intanto la Sbarua del nuovo millennio si sta aprendo ad un pubblico “nuovo”, cercando di diversificare l’offerta. Non solo “vie plaisir” ma anche boulder e perché no, anche qualche via “trad” per il futuro. “Ma non c’è più spazio libero per tutto questo!” hanno osservato alcuni… Chissà, “mai dire mai” recita un vecchio adagio, che guarda caso è anche il nome di una delle vie della Rocca.
Maurizio Oviglia
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