Michele Caminati e il gritstone inglese

Il viaggio in Inghilterra del fortissimo climber Michele Caminati. Per capire i segreti e l'etica del gritstone, anche in funzione delle falesie italiane.
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Michele Caminati su Gaia (E8 6c), Black Rocks
Paul Bennett

"Quando si pensa al gritstone l’immaginario di noi italiani corre subito al video Hard Grit, al volo di Jean-Minh Trin-Thieu su Gaia e a Seb Grieve che libera Meshuga in blu jeans mentre dialoga con se stesso… sembra tutto molto eccitante, ma come sarà veramente l’arrampicata nel Peak District? Dove vanno a scalare e in che modo i numerosi climber di Sheffield all’ uscita dal lavoro o dalle lezioni all’ università?

Da tempo volevo sperimentare un modo differente di vivere l’arrampicata e il bouldering, e così, attirato dalle belle forme del gritstone, ho deciso di venire a Sheffield a toccare con mano. Questa volta non da rapido visitatore “Ryanair”, ma cercando di viverla dall’ interno: di salire tappa per tappa alcuni gradini dell’ arrampicata inglese per vedere cosa volesse dire trad e se fossi riuscito pure io un giorno in alcune delle vie piu storiche o dei blocchi piu classici.

Due mesi non sono nulla rispetto a chi in quei posti è nato ed ha cominciato ad arrampicare, così ogni giorno ho dovuto progredire nel il mio apprendistato: sfruttando ogni ora di buon tempo, ogni energia psico-fisica e ogni strato della mia pelle. Dal primo giorno quando tutto tremante mi sono chiesto a metà di Archangel (E3 5b) in cosa mi fossi lanciato, fino all’ ultimo quando mi sono ritrovato in piedi sullo svaso finale di Gaia (E8 6c) con un tranquillo sorriso sulle labbra. In tutto questo sono stato aiutato da alcuni giovani e forti climbers locali, che oltre a fornirmi un accogliente alloggio per la notte hanno anche ampliato i miei orizzonti mostrandomi lo spirito con cui si arrampica su queste piccole grandi pareti dalla roccia dura e abrasiva.

Ovviamente l’avvento dei crash pad sta cambiando radicalmente il modo con cui vengono affrontate  le sfide. Trattandosi di altezze che spesso variano dai 6 ai 15 metri, si trovano proprio in quella indefinibile zona di limbo che separa la possibilità di poter osare e cadere a terra con sufficiente margine di sicurezza e la necessità di non sbagliare finché non si è ribaltati al sicuro sulla cima. Al giorno d’oggi si tende a provare molte cose dal basso (ground up), senza l’aiuto di un’ ispezione dei movimenti con una macchinosa sessione in top-rope. Questo preserva l’adrenalina e l’ inventiva durante la scalata: non sai mai cosa ti aspetta quando ti decidi ad azzardare il movimento successivo, ma la sicurezza dei crash pad d’altro canto è confortante… per lo meno fino ad una certa altezza! Forse è saper alzare questa altezza di “comfort psicologico” una delle chiavi del successo.

Ogni via comunque è un caso a se stante e può regalarti diverse emozioni a seconda dello stile con cui si decida di affrontarla, indubbiamente è un tentativo a vista, in solitaria e senza crash pad che ti può offrire il massimo sotto questo aspetto, ma quando si decide di farlo oltre certe difficoltà non saprei dire se è piu una ricerca di roccia e arrampicata o di pura adrenalina…

Durante il mio soggiorno oltre a fare tanto bouldering (su tutto The Ace, mitico 8b di Jerry Moffatt) avevo in mente di provare alcune vie ben precise: linee che già avevo visto in video o che hanno catturato la mia immaginazione durante le due brevi visite precedenti. Il bello è che inizialmente non avevo alcuna idea di come poterle affrontare e il lento processo di scoperta è stato una delle cose piu divertenti.

Alcune di esse erano veri e propri blocchi alti: come Angel’s Share (E8 7a) una incredibile e liscissima placca di aderenza che vale 7c boulder (aperta da Dawes protetto da sedili da auto!) o la famosa Renegade Master (E8 6c), duro e atletico blocco di 7c+ che veniva protetto in uscita con un dado. Altre  invece erano vere e proprie vie, come Balance it is (E7 6c), che mi ha regalato le emozioni piu forti e un gran bel volo durante i miei tentativi dal basso, oppure la bellissima Gaia (E8 6c) che ho scalato headpoint (dopo un ispezione in top-rope) proprio gli ultimi giorni, il ché mi avrà assicurato la riuscita ma ha forse tolto parte di quelle sensazioni ti rimangono impresse nella memoria. (Mi son detto: là in cima meglio pensare ad arrampicare e non al “cosa succederebbe se …” )

Altri due bellissimi spigoli che ho salito a Stanage sono invece il connubio perfetto fra la via e il blocco: Unfamiliar (E8 6c) è sull’ imponente masso che domina i blocchi sopra Deliverance, qui una tecnicissima sequenza su piccoli buchi e alcune pinze svase (7b+ o 7c di blocco) è proteggibile sopra un brutto atterraggio con alcuni materassi, poi si arriva ad una buona fessura dove ci si può proteggere con friends prima di affrontare i passi di uscita. Ma è forse Ulysse’s Bow (E6 6b), una delle prime vie che ho tentato, che mi ha dato il massimo: l’improteggibile spigolo sale via via sempre piu duro e tecnico, finchè a 8 metri di altezza circa devi deciderti a spalmare i piedi in aderenza e lasciare l’unico piccolo “pebble” che ti tiene l’equilibrio. E’ stata forse quella decisione, presa dopo ripetuti voli di rinuncia (non possibili all’ epoca senza crash!) che ha segnato il momento di crescita maggiore.

Insomma, le vie del Peak dopo 20 o 30 anni dalla loro apertura ti sanno ancora parlare e sono piu vive che mai nei sogni degli arrampicatori locali e stranieri. Viene da fare una riflessione prima che tutte le nostre rocce vengano spittate e omologate … la fretta di un facile consumo di arrampicata oggi può forse togliere quella linfa che tiene viva la roccia negli anni a venire. E’ proprio questa forse la differenza fra una via “grit” e un banale, seppur bello, 7a o 7c di una nostra falesia."

di Michele Caminati


Michele Caminati - Gaia



Michele Caminati - Balance It Is


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