Merenderos Trad in Valle di Susa e riflessioni sull’Adventure Climbing. Di Andrea Giorda
Merenderos Trad è una piccolissima falesia nei pressi di Condove in Valle di Susa. L’avvicinamento quasi nullo, l’ottima qualità della roccia (un granito dei migliori) e dei tiri, prevalentemente Trad, ne fanno un luogo ideale per una giornata diversa dove provare a mettere friend e nut.
L’esposizione è a Sud, al riparo dai venti, ottimo in inverno. Le linee sono poche, ma ce ne sono per principianti e anche per esperti, per nulla scontate. In particolare il tiro The Skull (Total trad), ostico e complicato ma dall’estetica impeccabile, non sfigurerebbe nelle pagine di qualche specializzata rivista inglese, quei tiri mozzafiato che vediamo salire a ragazze toste come Hazel Findlay.
Tutti i tiri possono essere saliti in top rope, infatti un comodo sentierino, ora pulito, porta in cima alla piccola parete alta una ventina di metri. Degli spit di servizio sono stati lasciati per raggiungere le soste dall’alto. Soste, che come è dovuto, sono state fissate dove inizia la parete verticale in modo da non far strisciare la corda contro la roccia.
Questo piccolo spot, ricavato liberando dalla vegetazione e da terribili calabroni una parete della storica falesia Merenderos Area o Picnicari, si aggiunge ai siti che piano piano stanno proliferando in Valle di Susa per la pratica del Trad Climbing. Non siamo nella mia amata Valle Orco, qui si tratta quasi sempre di piccole pareti, frutto di una lodevole ricerca che alcuni giovani, in controtendenza, come Filippo Ghilardini e Manuel Bissaca alla testa dei suoi Tritoni Verticali, stanno scoprendo e pubblicizzando. Abbiamo anche una buona tradizione di giovani Guide, come Carlo Giuliberti che ha liberato The Skull (7c R3) e Andrea Fontanini che ha portato a casa belle combinazioni tra le varie linee più difficili. Va ricordato che i precursori del Trad in Valle di Susa, sono stati Maurizio Oviglia a Rocca Penna e Adriano Trombetta su suggerimento di Marzio Nardi alla Rainbowall.
Apprezzando l’iniziativa, da vecchio appassionato mi è sembrato doveroso provare a dare un piccolo contributo al percorso dei siti Trad della Valle di Susa, il Cit District, che sta piano piano arricchendosi con tante novità. Visto il crescere dei siti e la comodità di accesso, quest’anno il 22 aprile la Scuola di Alpinismo Gervasutti organizzerà il primo corso Trad in Valle di Susa, una vera novità per gli appassionati o i curiosi.
Non siamo in Galles e non abbiamo la testa e la cultura degli britannici con i quali scalo spesso. In Galles non ci sarebbe nulla, neanche le soste e probabilmente anche le placche di muschio sarebbero ancora al loro posto. Non per niente i vecchi britannici usano il termine Adventure Climbing e non Trad, termine moderno che sta per Traditional. Quindi, con visione più mediterranea e ludica, le soste ci sono, la roccia è stata pulita dove necessario e qualche spit è stato posizionato dove il run-out sarebbe stato eccessivo. Nonostante ciò, scalare con nut e friend, specie per un popolo che ormai arriva dai muri in resina è un grande salto di visione e di esperienza emozionale.
L’elemento sicurezza è responsabilità individuale (un’eresia ormai nella nostra società), sia nel posizionare le protezioni veloci sia nel decidere fino a che punto rischiare. Un tiro Trad va studiato, va fatta una strategia di protezione osservandolo dal basso. La difficoltà non è data solo dal grado, di sicuro l’adrenalina corre, in azione vanno fatte scelte rapide controllando le emozioni, ma infine la soddisfazione è grande e indelebile.
Ovvio che si raccomanda grande prudenza a chi non è esperto. Chi inizia, può provare salendo come facciamo fare noi ai corsi Trad alla Scuola Gervasutti. L’allievo scala in top rope legandosi una corda dietro come se scalasse da primo. Posiziona i friend e i nut, acquisisce occhio, velocità ed esperienza senza rischiare. Ricordo che scalare un tiro con le protezioni veloci già posizionate non fa parte delle regole del gioco e sinceramente non ha alcun senso, mettersi friend e nut scalando senza appendersi è parte essenziale della scalata Trad.
Un’ultima raccomandazione, oltre al casco: la scalata Trad vera prevede l’uso di due corde (se non le avete legatevi ai due capi di una singola). Questo perché le protezioni che potete mettere non sono sempre sulla linea di scalata. In questo modo potete posizionare una corda su quelle di destra e l’altra su quelle di sinistra evitando che la corda sforzi, ma soprattutto che friend e nut tirati in orizzontale si sfilino. Altra raccomandazione importante, sempre per lo stesso motivo, è avere almeno cinque rinvii fatti con più anelli di cordino in modo di poterli allungare.
Alcune considerazioni e luoghi comuni sulla Arrampicata Trad
Spesso la scalata Trad da noi è confusa (complice il mito della Valle dell’Orco) con la scalata in fessura, e ci si presenta con piedi e mani gommate da guanti come fosse una divisa indispensabile. La scalata Trad, in realtà, vuol dire semplicemente che non ci sono protezioni fisse, ed è normale nel Regno Unito scalare una placca con esili e distanziate piccole crepe per micro nut, da scovare anche distanti dalla linea di salita. Nei luoghi più famosi del Galles, non ci sono fessure evidenti come a Gogarth, scogliere spesso ammuffite e bagnate, con roccia dubbia, tanto che a volte sono sconsigliati anche i friend. Quando mi sono presentato farcito di friend per attaccare un famoso tiro di Gogarth, il papà di Hazel Findley, Steve, mi ha guardato con stupore e ridendo come i cowboy negli spaghetti western, ha chiamato la mia attrezzatura "Toys for girls", non proprio un complimento. Mi ha staccato quasi tutti i friend e mi ha appeso all’imbragatura il suo mazzo di Brass nut, microscopici nut anche di pochi millimetri che, come dice il nome, sono di ottone. Senza di quelli spesso fai poco.
Ne ho avuto la riprova in un posto sempre in Galles, dove la roccia è un calcare perfetto, ma avarissimo di fessure, molto simile alla roccia di Finale Ligure, Llandudno. Grazie a qualche buona performance ho potuto scalare con un mito della scalata britannica degli anni '60/'70, Pat Littlejohn, famoso per essere il fondatore del "Clean Hand Gang", gli scalatori con le "Mani pulite" che rifiutavano anche l’uso della magnesite. Un integralista totale.
Io ero molto stanco, ma ha insistito perché facessi un ultimo tiro classificato E3, dove occorreva mettere un piccolissimo Brass nut a protezione di un tetto, con uscita lisciata dai passaggi come il marmo di una pietra tombale. Per farla breve, dopo aver messo il nut in una crepa invisibile, in uscita dal tetto sono cascato nel vuoto. Impassibile Pat mi ha fatto i complimenti, non me li aveva mai fatti e pensavo ad una derisione, invece era serio, per lui aver posizionato bene quella protezione era più importante che chiudere il tiro. Tiro che fece poi passeggiando pur essendo ben più vecchio di me. Certo, lo conosceva, ma la classe era inalterata.
Altra cosa che è diventata comune da noi, è descrivere dettagliatamente l’attrezzatura necessaria. È l’equivalente di segnare tutte le prese di un tiro a spit, non si può più dire di averlo fatto a vista e la soddisfazione non può che essere minore. Personalmente tolto qualche indicazione/avvertimento per la sicurezza, lascerei spazio e sapore all’Adventure climbing come fanno i maestri inglesi.
Un’ultima considerazione sui guanti per fessura, la mia generazione anni ’70 non li aveva (come non aveva i friend) e non vi era neanche l’abitudine di fasciare le mani. Il nostro mito californiano Chuck Pratt, capostipite rude e barbuto di tutti i fessuristi, diceva che per indurire la pelle delle mani non se le lavava per settimane! Io pur frequentando un liceo, ricordo che cercavo, ai limiti della decenza, di fare lo stesso. Credo, senza criminalizzare, che una riflessione sullo scalare una fessura coi guanti o senza vada fatta. Così come nella scalata su ghiaccio sono state messe in discussione le Dragonne. Ho ripetuto recentemente vecchie vie coi guanti e sinceramente la differenza è sostanziale. Non è la stessa cosa.
In conclusione, noi siamo figli di una cultura cattolica che mette l’uomo al centro dell’universo e la natura è al suo servizio, quindi va dominata e addomesticata. Il mondo anglosassone ha una visione differente, l’uomo è parte della natura che va accettata e rispettata in tutte le sue forme. Nessuno si stupisce in Galles che spesso manchino anche le soste in cima ai tiri, pur essendo a volte una tribolazione farle. Nessuno, anche i più modesti scalatori, se ne lamentano.
Ricordo quindi che gli strani siamo noi, non loro che hanno dato le regole a tutto il mondo della scalata, anche ai francesi in Verdon con Pete Livesey e Ron Fawcett. Renato Casarotto disse, invitato ad un meeting di arrampicata in Galles negli anni ’70 la famosa frase (in dialetto veneto) "Xe superiori". Sulle Alpi, nel Monte Bianc, o gli inglesi hanno scalato per primi il Pilone Centrale e la Fessura Brown alla Aiguille de Blaitière. E quel Mike Kosterlitz, scozzese tanto osannato e marziano da noi negli anni ’70, in Valle dell’Orco si è definito lui stesso un bravo scalatore ma non un fenomeno dalle sue parti.
di Andrea Giorda CAAI – Alpine Club UK
Ringrazio Filippo Ghilardini, Manuel Bissaca, Martina Mastria, Francesca Berardo, Susanna Tubiana, Leonie Kutschale e Claudio Battezzati per aver fatto il primo stress test alla falesia ripetendo le vie. E Filippo, Manuel e Susanna per foto, video e disegni.