Maurizio Oviglia, la foto d'arrampicata diventata virale

Usando lo spunto di una sua fotografia diventata virale sui social media, Maurizio Oviglia racconta come è nato quello scatto a Jurassic Park in Sardegna.
1 / 3
Cecilia Marchi e Sara Oviglia in vetta a Dillosauro (6b+), Jurassic Park, Sardegna
Maurizio Oviglia

Negli ultimi mesi è capitato che una mia fotografia è stata condivisa migliaia di volte in rete, è divenuta “virale” come si direbbe oggi. E’ così divenuta uno dei miei scatti più di maggior successo o, se preferite, popolari, non solo tra gli arrampicatori. Normalmente i fotografi cercano di tenere per sé le loro fotografie più riuscite sperando, prima o poi, di monetizzare qualcosa. Dunque è difficile che le diano “in pasto” alla rete… Ma il mondo della comunicazione sta cambiando velocemente. Negli ultimi anni il mercato dell’editoria e l’affermarsi del web non è purtroppo venuto d’aiuto in questo senso e le cose sono peggiorate progressivamente: se anni fa una buona fotografia di arrampicata aveva speranze di finire sulla copertina di una rivista di settore, venendo pagata sino a 1000 euro e anche più, oggi il più delle volte, quando questo avviene, non viene nemmeno retribuita.

Ciò ha spinto molti fotografi a mettere le loro foto in rete, magari non le migliori, nella speranza che qualcuno le compri... o perlomeno si accorga di loro. Anche se queste sono in bassa definizione, quindi ne è impossibile la riproduzione in stampa con qualità accettabile, così facendo ne hanno perso il controllo. L’immagine, una volta in rete, diviene in qualche modo pubblica, e tutti si sentono autorizzati ad utilizzarla per i loro scopi più o meno commerciali. Non sarebbe del tutto legale, perché la fotografia è sempre un’opera di ingegno soggetta a tutela dei diritti d’autore: il solo citare la paternità dello scatto, è una minima regola di correttezza, che però non ripaga certo in termini monetari il fotografo. Può darsi che lui si accontenti di questo, ma bisognerebbe per lo meno interpellarlo, no?

Ma cosa c’è dietro una fotografia di arrampicata di successo? Un famoso fotografo sosteneva che dietro un semplice clic di sono anni di esperienza. E’ certamente vero: nel mio caso fotografo da quasi 40 anni e a questi 40 ne vanno aggiunti altri 30 che era l’esperienza di mio padre, fotografo non solo per hobby, che mi ha insegnato ed ha cercato di trasmettermi l’arte. Ciò non basta evidentemente per creare una buona fotografia di arrampicata, come non basta a mio avviso possedere un’attrezzatura costosissima se non si ha un senso artistico dell’inquadratura, che molti esperti di settore ritengono innato. Si ritiene che un buon scatto d’azione sia il frutto della capacità del fotografo di cogliere un momento particolare, naturale il più possibile, di ciò che sta documentando.

Personalmente non mi ritengo un buon fotografo, forse non mi posso fregiare neanche di questo termine, ma solo un buon praticante con una buona esperienza di fotografia di arrampicata. Non potendomi permettere le macchine top di gamma che hanno molti miei “colleghi”, spesso utilizzo apparecchi mediocri con risultati qualitativi non eccelsi. Inoltre non so lavorare bene con le luci e non ho nemmeno così tanta esperienza di post-produzione (photoshop) per “truccare” le mie foto successivamente, come molti usano fare oggi. Eppure la mia prima copertina di rivista di settore risale al 1984, e negli anni successivi ne sono venute per fortuna molte altre, spesso su prestigiose riviste straniere. Segno che qualche volta le mie fotografie piacciono, oppure che il saper cristallizzare in un’immagine le mie visioni di arrampicatore ed alpinista procura qualche emozione in chi le osserva.

Ma, le mie fotografie più apprezzate, non sono quasi mai il frutto di un momento, in cui fortuitamente mi trovavo lì. Dietro un click come quello di cui stiamo parlando, c’è sicuramente l’esperienza acquisita in questi anni come fotografo di arrampicata, ma c’è soprattutto un grande lavoro di preparazione del “set”. Anche se Ansel Adams diceva che una buona fotografia è come una barzelletta, se sei costretto a spiegarla è venuta male, voglio correre questo rischio e svelarvi come sono arrivato a realizzare questo scatto.

Come sa ogni fotografo di arrampicata, durante l’azione, l’apertura di una via o la salita di una montagna, è raro riuscire a realizzare buone fotografie. Bisogna davvero essere molto bravi e fortunati per farlo. Ci sono al mondo bravissimi fotografi d’azione che non hanno bisogno di preparare le loro foto a tavolino. Però si sa che il più delle volte le condizioni di luce non sono ideali, il soggetto non è vestito adeguatamente, non si ha a disposizione la macchina fotografica sufficientemente buona per realizzare uno scatto all’altezza delle aspettative. In più i momenti di massima tensione in parete non sono esattamente l’ideale per mettersi a fotografare, specialmente se si è in due. Ma allora, una buona fotografia di arrampicata è solo finzione?

Si e no, mi verrebbe da dire. Le mie migliori fotografie, dicevo, nascono da una visione che mi si forma nella mente quando mi trovo in parete. In quell’istante immagino che un arrampicatore si trovi in un particolare punto di ciò che sto vedendo, e che io mi trovi in un altro a riprenderlo, poco distante da lui. Solitamente riesco a capire quasi istantaneamente quali sono questi due punti, come se la mia mente avesse la capacità di un computer, variando la prospettiva mantenendo un effetto 3D. Da quel momento in poi, lavoro alla realizzazione di ciò che ho immaginato, cercando di ritornare a scattare la fotografia con le persone giuste e con le ideali condizioni di luce. Per realizzare la fotografia di cui sto parlando, ad esempio, ho dovuto addirittura appositamente attrezzare due vie!

Molti arrampicatori che hanno visto questa foto sulla mia guida, mi hanno domandato come abbia fatto ad isolare il dito di roccia contro il mare, con due persone sopra, senza l’ausilio di un drone. Questo perché quando hanno a loro volta visitato il posto, non sono riusciti a vedere con i loro occhi ciò che era riprodotto nella foto, emozionandoli al punto da portarli in quel luogo. La parete di Jurassic Park dove si trova il dito di roccia oggetto della fotografia, si trova sulla costa orientale della Sardegna ed è rivolta ad est. Ciò vuol dire che va in ombra molto presto, quindi per realizzare una fotografia col sole, non c’è da perdere molto tempo. Diversamente ci si troverà ad avere la roccia all’ombra ed il mare al sole, non certo la situazione ideale per realizzare una bella foto! Il luogo è piuttosto selvaggio e lontano dalla civiltà, tanto che necessita di un paio d’ore per raggiungerlo.

Riuscire ad isolare le persone sull’esile cima del dito di roccia richiedeva che io mi trovassi sul corpo principale della parete, alle loro spalle, in un dato punto. Avevo preventivamente realizzato una via che arrivasse sino a quel preciso punto, a circa 50 metri dal suolo, ma per avere tutto il tempo di scattare la foto, cioè installare una fissa dove muovermi e dare il tempo alla cordata di arrivare sulla cima, occorreva aspettare la primavera, epoca in cui il sole illumina la parete per sufficiente tempo da poter lavorare con calma. In estate ci sarebbe stata probabilmente troppa foschia e in autunno una meteo più instabile: solo qualche nuvola davanti al sole in quel momento, avrebbe rovinato tutto! Occorreva insomma una giornata serena e la disponibilità di chi mi accompagnava a salire autonomamente la via sino alla cima del dito di roccia in tempi piuttosto brevi. Non sempre è facile far coincidere tutte queste variabili ma quel giorno di maggio di tre anni fa, tutto è andato alla perfezione.

Forse tutto questo non è realtà e molti storceranno il naso, apprezzando maggiormente una fotografia che riproduca fedelmente il momento dell’azione. Posso comprenderli, ma nel realizzare questa foto non volevo documentare, ma solo riprodurre quell’immagine che avevo sognato sin dal primo momento che avevo visitato quel luogo. Volevo idealizzarlo e sublimarlo nello stesso tempo con una semplice fotografia e ci sono voluti ben due anni di preparativi prima che riuscissi a realizzarla! Ma, a giudicare dai commenti estasiati di molti in giro per il mondo, ne è valsa sicuramente la pena, anche se non sono mai riuscito a “venderla” a nessuno…

di Maurizio Oviglia

NOTIZIE CORRELATE
04/04/2013 - Guglie di Sardegna: due proposte di Maurizio Oviglia
13/05/2013 - Arrampicare è una festa, anche per le mamme
24/05/2013 - Raptor: la Right Wall sarda




Ultime news


Expo / News


Expo / Prodotti
Piccozza Dhino Alpine
Piccozza tecnica da alpinismo evoluto
Giacca da montagna Explorair Light Dryo 2.5
Giacca da montagna leggera minimalista
HDry - SCARPA Phantom 6000 HD
Il nuovo PHANTOM 6000 HD è uno scarpone progettato per l'alpinismo estremo. Grazie alla tecnologia HDry, offre una protezione impermeabile e traspirante superiore.
Zamberlan Amelia GTX - scarponi da montagna da donna
Scarpone da montagna da donna pensato per il trekking, l’escursionismo e il backpacking.
Climbing Technology Cosmo - imbracatura per montagna e ghiaccio
Imbracatura regolabile a tre fibbie per l’arrampicata in montagna, le grandi pareti e le vie di ghiaccio e misto.
Petzl Neox - assicuratore con bloccaggio assistito
Petzl Neox, un assicuratore con bloccaggio assistito mediante camma ottimizzato per l’arrampicata da primo.
Vedi i prodotti