Matteo De Zaiacomo libera Ajou, 8b di arrampicata trad a Uschione
Ajou è l’unica linea possibile su un blocco di serpentino in un bosco sopra il bucolico paese di Uschione, ed è quanto di più perfetto si possa immaginare per spingere oltre il proprio limite scalando trad. Questo tiro è per me l’epilogo di un percorso di ricerca, crescita personale e di amicizia che non vorrei ridurre alla sola performance in termini di difficoltà e grandezza di protezioni ma che meriterebbe una panoramica un pochino più aperta.
La scalata trad nel mio caso ha una ascendente alpinistica perché è a seguito delle mie spedizioni e vie in montagna che ho iniziato a concepire questo tipo di attività. Aver preso confidenza con gli attrezzi sulle grandi pareti mi ha messo nelle condizioni di potermi avvicinare a questa sfera verticale con la consapevolezza del "ci si può far male". Ovviamente subivo il fascino di alcune performance di atleti pazzeschi che si dedicavano al trad e amavo l'idea di poter trovare un giorno anche io la mia chimera da sconfiggere, prima psicologicamente, poi a colpi di polpastrelli e gomma di scarpetta.
Così ho iniziato a ripercorrere itinerari spittati alla falesia dello Zoia in Val Malenco, ovviamente senza usare gli spit, avvicinando pericolosamente il mio limite fisico a protezioni distanti e improbabili; mi assicurava mio papà e credo essere stati proprio quei tentativi ad aver completato il manto bianco che ormai ricopre il suo cranio. Nacque così Katy for president e quel tiro è stato per me l’inizio di questa ricerca.
Successivamente le mie ricerche mi portarono ai piedi di un lungo strapiombo di 25 metri, ma questa volta non c’erano spit d’emergenza o di test per le protezioni, e tutto il percorso si amplificò, in termini di tempo e ingaggio. Mi aiutarono Maximiliano Piazza, Simone Tentori e Michele Crepaldi. La prima protezione era a quasi 10 metri ed era un totem piazzato in orizzontale, poi un pecker un paio di metri sopra e infine un C3 rosso e poi run out. Ogni protezione era fondamentale così provai addirittura a volarci sopra, scalando da primo ma con una sicura di backup dall’alto. La pantomima di questo giorno funzionò e la volta successiva riuscii a concatenare One pecker in paradise.
Nel frattempo per motivi di lavoro mi son trasferito da Sondrio a Chiavenna e, nonostante i chilometri per tornare nella mia amata Val Malenco non fossero troppi, ho preferito concentrare nuovamente le mie energie in questo nuovo palcoscenico, ed è iniziato un percorso bellissimo! Conobbi Luigi Crippa e in un certo senso era come parlare allo specchio quando si finiva col discutere di alpinismo e arrampicata, eravamo e siamo tuttora mossi dalle stesse motivazioni e le corde che bisogna pizzicare per far vibrare forte la passione per l’arrampicata sono praticamente le stesse.
Avevamo entrambi l’insaziabile necessità di metterci in gioco e di trovare qualcosa di diverso, qualcosa di più! Non doveva necessariamente essere una performance assoluta ma semplicemente un viaggio personale per cui valesse la pena di investire tempo ed energia! Finimmo persino a Llanberis in Galles, giusto per capire come si fa a fare sul serio e ne tornammo forgiati di nuova consapevolezza.
Anche Maximiliano Piazza subiva questo fascino e ci trovammo più volte alla base di alcuni tiri che meritavano di essere saliti in questo stile trad, proprio qui in val Chiavenna. Iniziammo con il capolavoro di Guido lisignoli Vanessa una fessura perfetta e facilmente proteggibile ma difficile tecnicamente, sebbene fosse una fessura non aveva ancora la sua salita trad e ci sembrò giusto concederle questo privilegio.
Continuammo con Super Simona e questo fu il percorso personale di Gigi, al quale assistetti più da spettatore ma che mi regalò tantissima motivazione. È un secondo tiro e per esigenze di comodità era solito portare una portaledge per poter riposare meglio dopo ogni tentativo. Passò decine di giornate appollaiato lassù con tanti amici disposti ad accompagnarlo in questa sfida, non sempre c’erano miglioramenti ma non si perse mai d’animo. Non aveva mai salito un tiro di quella difficoltà e farlo in quello stile era in quel momento la sua massima ambizione! E volevo essere io a tutti i costi dall’altra parte della corda il giorno del tentativo decisivo. Un giorno bisticciammo pure perché lui si era reso conto che avrei potuto fare quel tiro già settimane prima ma che stavo temporeggiando volutamente. Non potevo interrompere quel suo percorso, avrei potuto rompere un equilibrio invisibile, era il suo momento ed erano i suoi demoni da sconfiggere, e quando riuscì finalmente a salire il tiro fu per me più di soddisfazione e ammirazione che salire io il tiro stesso. Aveva vinto! Si era portato a casa la medaglia che lui stesso aveva deciso di vincere, e una medaglia d'oro è sempre una medaglia d'oro! Senza arroganza Gigi ribattezzò per se stesso questa linea Mother gaia per ricordarsi dell'avventura appena conclusa con quella ancora più grande in arrivo. Diventare papà.
Alla fine non c’è niente di più di questa disciplina che ti mette a confronto con i tuoi limiti, ti impone di rispettarli e magari di mettere in discussione i propri obbiettivi, anche a ingranaggio avviato, indipendentemente dal grado. In quei pochi attimi di full gas tra una protezione e l’altra sei soltanto tu, completamente isolato e magari anche un po' impaurito. Qualunque difficoltà stia scorrendo sotto i tuoi polpastrelli. Ed è bellissimo trovarsi in quella bolla!
Ma tornando a Ajou. Fu proprio Gigi l'estate scorsa un pomeriggio come un altro ad avventurarsi in quel bosco. Spinto dalla solita motivazione, incappò in questo muro liscio e leggermente strapiombante e ne intuì subito il potenziale. Mi chiamò subito e la settimana successiva eravamo appesi ad una statica a pulire e sognare. Ci rendemmo conto che questa volta la musica era diversa, soprattutto in termini di protezioni. Le fessure erano superficiali e cieche, non entrava nulla se non i sottili millimetri dei chiodi a lama e dei becchi dei pecker. La roccia tenera li rendeva comunque dall'aspetto ben poco rassicurante, si muovevano forse un po' troppo per considerarli protezioni bomba. Dal canto mio capii che le due sequenze boulder necessitavano di uno stato di forma ben diverso da quello che avevo in quel momento; sapevo che avrei dovuto lavorare tanto prima di potermi permettere un discreto stato di sicurezza psicologica.
In autunno andai in Himalaya in una spedizione dei Ragni di Lecco al gruppo del Bhagirathi. Fu pazzesco, riempii assolutamente il mio ego alpinistico ma ne tornai con un livello troppo basso per concedermi di provare questa nuova linea. Ricominciai quindi con il bouldering in val Masino finalizzato ad un unico scopo: questo tiro!
Durante questo periodo di allenamento mi sono tolto persino delle grandi soddisfazioni, su tutte la prima ripetizione di Tapioca, un blocco difficilissimo marchiato Simone Pedeferri che aspettava da ben 17 anni una ripetizione. Ho anche lavorato a dei circuiti di resistenza al pannello con Thomas Anelli per non lasciar niente al caso, non l’avevo mai fatto prima. Sentivo di essere pronto!
Un giorno di tentativi insieme a Maximiliano Piazza trovai finalmente il coraggio di assestare un tentativo dal basso, e mi meravigliai di passare indenne la sezione più difficile al punto di subire un blackout mentale tale da farmi andare talmente in confusione da dover gettar la spugna prima del secondo blocco. Mi feci calare a terra e mi accorsi d avere un fortissimo mal di testa, forse avevo stretto troppo forte il caschetto o forse avevo attinto troppo alla mia psiche. Ormai era solo questione di tempo. Il tentativo successivo per sbaglio Max si è ritrovato in mano un cubo di roccia fondamentale per la prima sezione, la via aveva subito un upgrade!
La volta successiva risolvemmo di nuovo questa "nuova sezione" e nonostante fosse un pochino più difficile poco dopo trovai il coraggio di sfilare la corda e partire. Tutto filò liscio e tra uno sbuffo e l'altro mi son fatto il mio bel viaggio nella bolla, isolato dal mondo, per poi ritrovarsi con i piedi per terra accolto dall’abbraccio di Max. Sopravvissuto e felice!
Ho deciso di dedicare questa salita all’amico Alberto Acerbi, complice uno sfortunato evento avvenuto proprio il giorno successivo. Mi sono spappolato una caviglia facendo blocchi e Alberto, soprannominato Ajou, si è reso disponibile a visitarmi e operarmi presso la clinica dove lavora. È stato altrettanto bello poter contare su Alberto sia in veste di arrampicatore, quando eravamo insieme a scalare El Capitan, sia in veste professionale e mi sembrava giusta una dedica in onore di questa amicizia e reciproca stima.
In conclusione di questo articolo sfuggito palesemente di mano volevo ringraziare planetmountain per l’estremo spazio dedicato e tutti coloro che cercano attraverso questo sport quella emozione diversa e personale, indipendente dalla difficoltà. Sono contento di vedere in val Chiavenna ragazzi giovani che rincorrono queste sensazioni e che sicuramente, col tempo, sapranno portare l’asticella ancora più in là.
di Matteo de Zaiacomo
Link: www.ragnidilecco.com, Camp - Cassin, SCARPA, Go Vertical, Rock Experience
NB Per la salita Matteo ha usato alcuni chiodi a lama e pecker preposizionate