L’edera velenosa: l’ortica del climber
Sta comparendo anche nelle falesie italiane una particolare Edera velenosa (Toxicodendron radicans), già molto conosciuta negli Stati Uniti, che causa una dermatite allergica da contatto. Il Dottor Kelios Bonetti (Yena) esperto in patologia arrampicatoria in quest’articolo spiega il problema e come affrontarlo.
Il problema
Da qualche tempo si parla dell’edera velenosa. Nelle falesie nostrane circolano solo delle voci, molto simili alle leggende metropolitane, mentre in America i climber la riconoscono a vista come noi riconosciamo le ortiche (50 milioni di casi ogni anno negli USA).
Dato il numero crescente di episodi, mi sono deciso a scrivere questo articolo anche se non si tratta di una patologia arrampicatoria in senso stretto. In particolare mi ha colpito l’episodio di una comitiva di giovani climber finita al pronto soccorso dopo essere stati alla “Grotta dell’edera” a Finale. In verità alcune testimonianze e alcune foto sembrano mostrare anche la presenza del poison oak, un arbusto con effetti simili.
Il contatto con questa pianta porta a una dermatite allergica da contatto con formazione sulla cute di flittene (bolle). La guarigione è abbastanza lenta, e con la cute rovinata si deve sospendere per un po’ l’attività arrampicatoria per la fragilità della pelle e per il rischio di infezioni delle piaghe che restano se si rompono le bolle. Inoltre la cute interessata rimane per diverso tempo con delle poco estetiche striature scure.
L’edera velenosa - scheda
L'Edera velenosa (Toxicodendron radicans), è una pianta della famiglia delle Anacardiaceae. Non ha nulla a che vedere con l' edera comune (Hedera helix). Determina dermatite da contatto. Si presente sotto le forme di pianticella fino a 120 cm, o arbusto, o rampicante. Come si può vedere dalle foto le foglie a seconda del periodo di maturazione hanno forme e colori diversi. È tipica del nord america, ove predilige terreni rocciosi con una buona umidità, cresce sotto i 1500 metri di altitudine. Produce delle infiorescenze bianche a piccole bacche.
Tutta la pianta secerne (ma soprattutto contiene al suo interno) una resina ricca in urushiolo un irritante della cute, responsabile di una dermatite da contatto su base autoimmune. L’urushiolo si lega a delle proteine della membrana cellulare e le modifica facendo sembrare al corpo che siano estranee, così il corpo produce contro di degli anticorpi per una risposta T-mediata, autodannengiandosi. Può causare anche reazioni anafilattiche. Il 20% circa della popolazione ne è immune in America, in Europa la percentuale è probabilmente molto più bassa.
Come tutte le reazioni allergiche ha bisogno di un primo contatto con l’antigene. In seguito in un periodo di 5-10 giorni il corpo crea delle immunoglobuline, che vengono poi liberate nei contatti successivi dando luogo alla reazione allergica-autoimmune, che in 6-24 ore si manifesta con un rash cutaneo, arrossamento, gonfiore, prurito più o meno intenso e la formazione di papule, flittene e bolle contenenti un liquido chiaro. Le bolle guariscono in 1-2 settimane, talvolta lasciano delle cicatrici discromiche. Talvolta le bolle o le ulcere che esitano dalla loro rottura si infettano. La tempistica delle manifestazione è influenzata da molte variabili.
È pericolosa anche l’ingestione della pianta e l’inalazione dei suoi fumi. La resina rimane attiva per anni, quindi anche il contatto con piante sradicate, animali, indumenti o materiali impregnati di resina può dare delle reazioni.
Perché è comparsa l’edera velenosa
Ci sono diversi pareri su come mai si stia verificando questa emergenza proprio adesso. Non essendo una pianta indigena nelle nostre falesie, l’ipotesi di semi portati da climber d’oltreoceano pare sensata anche se non supportata da prove. Comunque le falesie con le prime segnalazioni sono quelle più famose e quindi più visitate nei climb trip. In ogni caso se questa ipotesi è vera dobbiamo aspettarci di vederla spuntare in tutte le falesie, dato che ora siamo noi locals a fare da untori, specialmente considerando che le falesie pare offrano un buon habitat per questo vegetale
Cosa fare: dalla A alla Z
Prima di entrare in contatto:
- Imparare bene a riconoscerla guardando le fotografie (non sedendoci sopra).
- Quando possibile estirparla, togliendo anche le radici. Si raccomanda l’uso di guanti, attenzione agli avambracci
- Informare anche gli altri climbers
- Sarebbe consigliabile posizionare un cartello di avvertimento in ogni falesia infestata.
Dopo il contatto:
- Lavare abbondantemente la parte il prima possibile con acqua e sapone, essendo una resina non idrosolubile l’acqua da sola non basta (ma meglio che niente)
- Utilizzare possibilmente entro 30 minuti dei solventi specifici per questa resina dei tensioattivi non ionici, ad esempio Triton X-100. In America tra i climber è molto utilizzato un prodotto denominato Teknu. Questi prodotti sciolgono la resina contenente urushiolo, e devono essere poi rimossi dalla cute con acqua dopo 30 minuti. Attenzione ai solventi alcolici, taluni credono che aumentino la penetrazione della resina nella cute.
- Se appaiono arrossamenti, applicare ghiaccio a cicli di 10 minuti (o meno se la cute è compromessa) avvolto in un panno asciutto.
- Rivolgersi ad un medico al pronto soccorso (non esiste un vaccino) o a un dermatologo (portategli pure questo articolo) che inizieranno a seconda della sintomatologia un trattamento con antistaminici e o cortisonici, topici o per via orale.
- In taluni casi il vostro medico potrebbe eseguire un intervento di svuotamento delle bolle in sterilità e una alcolizzazione della membrana per diminuire il rischio di rottura con la formazione di un ulcera ad alta possibilità di infezione. Non è stata provata l’efficacia di tale trattamento, pur essendo teoricamente corretto se eseguito con presidi di disinfezione ambulatoriale.
- Monitorare le bolle e le ulcere, l’instaurarsi di segni di infezione pone l’indicazione per l’inizio di una terapia antibiotica specifica per stafilococchi e streptococchi
- Lavare bene i vestiti e l’attrezzatura. Un normale detergente e un lavaggio in acqua calda (sconsigliabile sulla cute per non peggiorare i fenomeni infiammatori) generalmente riesce a rimuovere l’ urushiolo
- Sarebbe consigliabile posizionare un cartello di avvertimento in ogni falesia infestata. Ve ne ho preparato uno alquanto esplicito.
A cura del Dottor Kelios Bonetti (Yena) esperto in patologia arrampicatoria
patologia.arrampicatoria@gmail.com
Si ringrazia per la collaborazione:
Lucia Pizzati Casaccia (Lux) istruttrice di arrampicata T-climb.
Gruppo Botanico Magnum.
Da qualche tempo si parla dell’edera velenosa. Nelle falesie nostrane circolano solo delle voci, molto simili alle leggende metropolitane, mentre in America i climber la riconoscono a vista come noi riconosciamo le ortiche (50 milioni di casi ogni anno negli USA).
Dato il numero crescente di episodi, mi sono deciso a scrivere questo articolo anche se non si tratta di una patologia arrampicatoria in senso stretto. In particolare mi ha colpito l’episodio di una comitiva di giovani climber finita al pronto soccorso dopo essere stati alla “Grotta dell’edera” a Finale. In verità alcune testimonianze e alcune foto sembrano mostrare anche la presenza del poison oak, un arbusto con effetti simili.
Il contatto con questa pianta porta a una dermatite allergica da contatto con formazione sulla cute di flittene (bolle). La guarigione è abbastanza lenta, e con la cute rovinata si deve sospendere per un po’ l’attività arrampicatoria per la fragilità della pelle e per il rischio di infezioni delle piaghe che restano se si rompono le bolle. Inoltre la cute interessata rimane per diverso tempo con delle poco estetiche striature scure.
L’edera velenosa - scheda
L'Edera velenosa (Toxicodendron radicans), è una pianta della famiglia delle Anacardiaceae. Non ha nulla a che vedere con l' edera comune (Hedera helix). Determina dermatite da contatto. Si presente sotto le forme di pianticella fino a 120 cm, o arbusto, o rampicante. Come si può vedere dalle foto le foglie a seconda del periodo di maturazione hanno forme e colori diversi. È tipica del nord america, ove predilige terreni rocciosi con una buona umidità, cresce sotto i 1500 metri di altitudine. Produce delle infiorescenze bianche a piccole bacche.
Tutta la pianta secerne (ma soprattutto contiene al suo interno) una resina ricca in urushiolo un irritante della cute, responsabile di una dermatite da contatto su base autoimmune. L’urushiolo si lega a delle proteine della membrana cellulare e le modifica facendo sembrare al corpo che siano estranee, così il corpo produce contro di degli anticorpi per una risposta T-mediata, autodannengiandosi. Può causare anche reazioni anafilattiche. Il 20% circa della popolazione ne è immune in America, in Europa la percentuale è probabilmente molto più bassa.
Come tutte le reazioni allergiche ha bisogno di un primo contatto con l’antigene. In seguito in un periodo di 5-10 giorni il corpo crea delle immunoglobuline, che vengono poi liberate nei contatti successivi dando luogo alla reazione allergica-autoimmune, che in 6-24 ore si manifesta con un rash cutaneo, arrossamento, gonfiore, prurito più o meno intenso e la formazione di papule, flittene e bolle contenenti un liquido chiaro. Le bolle guariscono in 1-2 settimane, talvolta lasciano delle cicatrici discromiche. Talvolta le bolle o le ulcere che esitano dalla loro rottura si infettano. La tempistica delle manifestazione è influenzata da molte variabili.
È pericolosa anche l’ingestione della pianta e l’inalazione dei suoi fumi. La resina rimane attiva per anni, quindi anche il contatto con piante sradicate, animali, indumenti o materiali impregnati di resina può dare delle reazioni.
Perché è comparsa l’edera velenosa
Ci sono diversi pareri su come mai si stia verificando questa emergenza proprio adesso. Non essendo una pianta indigena nelle nostre falesie, l’ipotesi di semi portati da climber d’oltreoceano pare sensata anche se non supportata da prove. Comunque le falesie con le prime segnalazioni sono quelle più famose e quindi più visitate nei climb trip. In ogni caso se questa ipotesi è vera dobbiamo aspettarci di vederla spuntare in tutte le falesie, dato che ora siamo noi locals a fare da untori, specialmente considerando che le falesie pare offrano un buon habitat per questo vegetale
Cosa fare: dalla A alla Z
Prima di entrare in contatto:
- Imparare bene a riconoscerla guardando le fotografie (non sedendoci sopra).
- Quando possibile estirparla, togliendo anche le radici. Si raccomanda l’uso di guanti, attenzione agli avambracci
- Informare anche gli altri climbers
- Sarebbe consigliabile posizionare un cartello di avvertimento in ogni falesia infestata.
Dopo il contatto:
- Lavare abbondantemente la parte il prima possibile con acqua e sapone, essendo una resina non idrosolubile l’acqua da sola non basta (ma meglio che niente)
- Utilizzare possibilmente entro 30 minuti dei solventi specifici per questa resina dei tensioattivi non ionici, ad esempio Triton X-100. In America tra i climber è molto utilizzato un prodotto denominato Teknu. Questi prodotti sciolgono la resina contenente urushiolo, e devono essere poi rimossi dalla cute con acqua dopo 30 minuti. Attenzione ai solventi alcolici, taluni credono che aumentino la penetrazione della resina nella cute.
- Se appaiono arrossamenti, applicare ghiaccio a cicli di 10 minuti (o meno se la cute è compromessa) avvolto in un panno asciutto.
- Rivolgersi ad un medico al pronto soccorso (non esiste un vaccino) o a un dermatologo (portategli pure questo articolo) che inizieranno a seconda della sintomatologia un trattamento con antistaminici e o cortisonici, topici o per via orale.
- In taluni casi il vostro medico potrebbe eseguire un intervento di svuotamento delle bolle in sterilità e una alcolizzazione della membrana per diminuire il rischio di rottura con la formazione di un ulcera ad alta possibilità di infezione. Non è stata provata l’efficacia di tale trattamento, pur essendo teoricamente corretto se eseguito con presidi di disinfezione ambulatoriale.
- Monitorare le bolle e le ulcere, l’instaurarsi di segni di infezione pone l’indicazione per l’inizio di una terapia antibiotica specifica per stafilococchi e streptococchi
- Lavare bene i vestiti e l’attrezzatura. Un normale detergente e un lavaggio in acqua calda (sconsigliabile sulla cute per non peggiorare i fenomeni infiammatori) generalmente riesce a rimuovere l’ urushiolo
- Sarebbe consigliabile posizionare un cartello di avvertimento in ogni falesia infestata. Ve ne ho preparato uno alquanto esplicito.
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