Le Lisce d'Arpe, nuova via d'arrampicata sul Monte Alpi in Basilicata
Molti anni dopo capisco che non è così, il suo nome antico era Arpe, un nome locale, dialettale, non so da cosa derivasse, ma di certo non dalla grandiosa catena di montagne che coronano il confine italiano. Con molta probabilità, in tempi abbastanza recenti, il termine Arpe è stato “italianizzato” in Alpi.
Nel 2004, per caso mi passa tra le mani un numero di Appennino Meridionale, un periodico semestrale del CAI di Napoli. Sfogliandolo velocemente, poiché non potevo portalo via con me, a caso nelle ultime pagine mi appare uno schizzo di una via! Leggo che si tratta della Via della continuità, aperta sulla misteriosa parete W del Monte Alpi, gli apritori sono Luigi Ferranti e Rocco Caldarola. Riconsegno la rivista e metto a mente i nomi. Luigi lo “trovo” subito, è geologo all’università di Napoli e non faccio fatica a contattarlo per la relazione più dettagliata e dei “consigli” per ripetere la via. Qualche tempo dopo parto per la misteriosa montagna, infatti su internet non ancora apparivano foto di ogni genere e di ogni cima e vetta, ero riuscito a trovare solo qualche sgranata foto che lo ritraesse da lontano, a fare da sfondo a foto paesi di fondovalle.
Quando finalmente vedo il Monte Alpi, non ne rimasi deluso: qualcosa di alpestre c’è! Chissà se davvero non derivasse dalle Alpi…Scherzo. Salita la via e arrivato in cima, nasce un amore intenso per questa piccola montagna. Sarà questo strano pino (pino loricato) che qui trova l’ultimo baluardo settentrionale dove crescere, saranno i panorami sconfinati, i profumi intensi delle erbe mediterranee, i fiori e, lontano, l’azzurro del mare, ma subito sento che non sarà l’unica visita.
Più volte tornerò e avrò modo di conoscere Rocco e Luigi e con loro di coltivare il sogno di aprire una via sul lato sinistro, quello più alto e verticale della montagna. Una via che affrontasse in maniera diretta quelle placche di roccia liscia e compatta alternata cenge e gradoni detritici che caratterizza un po’ tutta la parete. Da quello che sapevamo di li non era salito nessuno, tranne degli alpinisti salernitani che, con un intelligente zigzagare tra le ripide cenge e aerei ballatoi, furono (forse) i primi a salire la parete.
Per realizzare quel sogno - chiamato Le Lisce d'Arpe - sono stati necessari ben tre tentativi. Il 29 settembre del 2013, alle 18.30, dopo circa 10 ore di scalata usciamo in cima all’ultimo risalto roccioso, dove la parete termina lasciando il posto ad un ripido prato che conduce alla docile cresta sommitale e alla vicina cima. Per i canoni “moderni” di alpinismo, quella che abbiamo appena terminato non è che una piccola via in una piccola montagna, ma era il nostro sogno e ciò ci rende felici e, senza dircelo o programmarlo, ci troviamo abbracciati e un poco commossi: abbiamo appena terminato la più lunga via di roccia dell’Appennino meridionale! Per un attimo solo però, i colori giallo-rossi del tramonto ci ricordano che fra poco sarà notte e qui non ci sono sentieri comodi per scendere! D’altronde è o non è il monte Alpi?
Cronistoria alpinistica della via e note varie:
Tutta la via è stata salita in libera tranne due passi di A0 (A1) nei due tiri chiave dove sono stati infissi 2 fix. Iurisci, Ferranti e Caldarola iniziano la salita nel luglio 2011 trovando alcuni chiodi nei primi due tiri che scopriamo essere stati infissi dalla cordata O. Bottiglieri e N. Caiazza in un tentativo nel 2010.
Il giorno dopo i tre arrivano alla gran placca (terza fascia rocciosa), che caratterizza la via (6° tiro). Non riescono a superarla in prima battuta (improteggibile) e con un lungo ed esposto traverso a sinistra e successivo rientro (V+) riescono comunque ad arrivare a metà placconata.
L’anno successivo (24 giugno 2012) portano il trapano e grazie al posizionamento di 2 fix riescono a superare le belle rigole (VI+) non proteggibili con i mezzi tradizionali che li aveva bloccati l’anno precedente. Sono costretti a ricorrono a un fix anche nel successivo tiro (7°) per il superamento di un’altro tratto di placca tra poco rassicuranti zolle d’erba. I tre poi salgono sulla torre a monte della grande cengia mediana (percorsa dalla via dei Salernitani) ma è tardi, non hanno più sufficienti chiodi per proseguire, e decidono di scendere in doppia.
Il 28 settembre 2013 i tre tornano e salgono spediti fino al 7° tiro dove tentano invano di forzare la placca a evitare il tratto su toppe d’erba, ma di nuovo si trovano a fare i conti la roccia ultracompatta e stavolta anche su elevate difficoltà forse VII/VII-). Dopo una decina di metri Iurisci ridiscende giù a percorrere il tiro originario. Sono le 15 quando raggiungo il punto massimo (11° tiro) toccato l’anno precedente, stavolta hanno abbastanza chiodi e ore di luce per proseguire e salire anche l’ultimo torrione. Con un lungo tiro in conserva su erba e roccette (III) raggiungono la base dell’ultimo torrione convinti di superare il bel diedro che lo percorre al centro. Di nuovo la roccia poco proteggibile e stavolta anche non proprio compatta, costringe Iurisci ad una nuova ritirata per il più facile spigolo a sinistra. Raggiunta la cima della torre (14° tiro) la continuità parete è finita, o meglio, in alto solo brevi risalti, separati da ripide cenge e isolati torrioni; ma non conviene più scendere in doppia, per cui affrontano i 200m di ripidi di “parete” finale (fino al III) e in poco più di 1h raggiungono i ripidi pendii sommitali dove rinunciano alla vicina vetta per il veloce approssimarsi della notte.
In tutti e tre i tentativi ringraziamo i gestori del ristorante-agriturismo Panzardi che ormai da oltre un decennio è il punto di riferimento pernotto-gastronomico degli alpinisti intenti a scalare la parete. Si ringrazia anche la figlia Pinuccia e suo marito che stanno valorizzando ulteriormente la zona con la ristrutturazione con gusto di casolari e vecchie stalle.
di Cristiano Iurisci
SCHEDA: Le Lisce d'Arpe, Monte Alpi, Appennino