Lazio Verticale: un ritratto di famiglia
Tanti anni fa quando iniziai la mia carriera di arrampicatore/alpinista, rimasta poi sempre racchiusa nell’ambito del "vorrei ma non posso - nun je la faccio", come ogni bravo novizio acquistai una guida alle falesie dei dintorni di Roma in modo da poter rintracciare facilmente le pareti dove poter gioire dei piaceri dell’acciaiatura degli avambracci. La scelta ricadde su un volume dal titolo "Lazio verticale" e i cui autori erano Fabrizio Antonioli e Andrea Di Bari. In realtà, non si trattò proprio di una scelta: le guide cartacee concorrenti non erano poi molte. C’era "Hellzapoppin" sempre di Fabrizio Antonioli ma con Stefano Ardito e Gino Pietrollini, che scartai perché di difficile reperibilità (era di cinque anni prima e in quel periodo di tempo avevo capito che c’era stata una vera esplosione nel numero di apertura di nuovi itinerari di arrampicata), c’era poi "Flippaut" di Furio Pennisi (che presentava ‘solo’ una selezione di 200 vie della regione Lazio) e poi c’era per l’appunto "Lazio Verticale" che come sottotitolo riportava "23310 metri di arrampicata in falesia". A scuola me la cavavo abbastanza e capii subito che 23.310 era maggiore di 200: la scelta era così bella che fatta.
Fabrizio Antonioli non lo conoscevo ancora. Andrea Di Bari invece lo avevo visto al negozio di Cisalfa di Largo Brindisi a Roma, dove coordinava il reparto montagna, e quel tipo, piccoletto, secco come un chiodo ma con braccia colme di muscoli guizzanti, tale e quale come era su un poster - appeso a uno strapiombo - aveva la faccia sufficientemente simpatica perché gli dessi credito, oltre che come arrampicatore di punta dell’italica penisola, anche come scrittore di guide.
Quella guida alle falesie del Lazio, da quel giorno viaggiò per diverso tempo nello zaino, sopra a corda, rinvii e moschettoni finché non fu sostituita - dopo dieci anni - da qualcosa di più aggiornato. Nonostante questo e diverse guide dopo, ancora la conservo gelosamente nella mia libreria. E’ qualcosa che mi ricorda altri tempi che a guardare indietro, dall’alto di questi 33 anni passati via, riporta alla mente emozioni sempre forti: quelle delle prime esplorazioni delle pareti e della scoperta del mondo verticale. Emozioni simili a quelle provate guardando l’omonimo - non a caso - film dal titolo "Lazio verticale".
Lo scorso anno Fabrizio Antonioli aveva presentato un altro medio metraggio, un film dal titolo "Sutt’u picu ru soli" e dedicato all’alpinismo siciliano dagli anni ’30 a oggi. Così posso immaginare Stefano Ardito, giornalista che ha fatto della montagna la cifra stilistica del suo lavoro, avvicinarsi sornione e baffo volpino ad Antonioli per proporgli l’idea di realizzare un racconto simile per le falesie del Lazio. Non so se le cose siano andate proprio così, anche se in fin dei conti è probabile: sarebbe stato come riprendere in mano i fili della antica conoscenza dei due, annodarli stretti a quell’antico lavoro che era stato "Helzapoppin" e tenderli fino al presente facendoli passare per quella guida realizzata con Andrea Di Bari e che era stata il viatico più importante degli anni ’80 alla conoscenza delle possibilità arrampicatorie del Lazio.
Il racconto di questo nuovo "Lazio Verticale", su una regione nota ai più forse per i suoi monumenti che per le possibilità offerte dalle sue rocce, si dipana in equilibrio su una tensione emotiva simile a quella che si prova sfogliando un vecchio album di famiglia. E’ l’emozione di ri-scoprire le origini di quella passione che da anni vive dentro tanti di noi, di vedere, con stupende riprese aeree che regalano visioni e nuove prospettive delle tante pareti di questa regione, quei luoghi che ci hanno preso l’anima, di conoscere volti, voci e parole di quanti hanno contribuito a costruire il mondo di questo Lazio verticale - Ramorino, Battimelli, Mallucci, Bini, Grazzini, Mario, Fornari, Di Bari, Vitale, Delisi, Lamberti, Strano - e di vedere come questi, e altri protagonisti, abbiano saputo legarsi in modo intimo all’elemento roccia. Un racconto che giunge fino ai giovani, al presente, a Laura Rogora e al suo sogno oltre il verticale.
Una storia che a volo d’aquila sorvola il Morra, Guadagnolo, le pareti di Sperlonga e del Moneta, della Montagna Spaccata di Gaeta, di Grotti, di Ciampino, di Ripa Maiala, del Terminillo, della Santissima Trinità e della Cueva di Collepardo. Pagine di un album di famiglia che vengono voltate una ad una durante i 41 minuti di durata del video. Alcuni ritratti sono più presenti, altri solo accennati, qualcuno assente: ma nessun album di famiglia può essere esaustivo di tutta la genealogia. Sempre però, si intuisce come dietro a quei visi narranti altrettanti ve ne siano. E’ il romanzo di una comunità "in itinere", unita dalla voglia di scoprire ed esplorare le rocce e le passioni regalate dal mondo del "Lazio Verticale", racconto che si fa immagine e ricordo del passato, narrazione del presente, anticipazione di un futuro tutto ancora da scrivere.
Il progetto, patrocinato dalla Regione Lazio e dal CAI Lazio è stato realizzato con la collaborazione di RRTREK, Petzl e della Commissione Cinematografica del CAI ed è stato presentato in prima assoluta a Roma, il 17/10/2019 presso il Cinema Aquila. Nell’affollata sala erano presenti gran parte dei protagonisti del filmato di Antonioli e Ardito, in un evento che è venuto così ad aggiungersi alla lunga storia dell’arrampicata nel Lazio.
di Alberto Sciamplicotti
Il trailer del film Lazio Verticale