Itaca nel Sole sul Caporal in Valle dell’Orco per Francesco Deiana
La prima volta che ho messo le mani su Itaca nel Sole era il gennaio 2020, Matteo Della Bordella mi aveva chiesto di accompagnarlo e così avevo colto l’occasione per andarla a vedere. Avevo già fatto parecchie vie e monotiri in Valle dell’Orco, ma per me Itaca rappresentava qualcosa di più, qualcosa di più difficile di tutto quello che avevo già fatto e di quasi impossibile per le mie capacità di allora. Il primo tentativo aveva confermato questa mia idea: il tiro dello Specchio era molto di resistenza e finiva con un lancio, cosa che ho sempre odiato, mentre l’8b era super aleatorio e ad ogni movimento rischiavo di cadere. Non parliamo poi delle protezioni, chiodi e spit più vecchi di me. Tornato a casa avevo deciso che quel progetto era troppo difficile e lo avevo riposto nel cassetto dei sogni.
L’anno successivo ci sono tornato due volte ma, nonostante avessi fatto dei miglioramenti, ho abbandonato il progetto a causa delle restrizioni per la pandemia e la difficoltà di trovare soci.
Passato un altro anno, lo scorso gennaio Marco Zanchetta mi ha proposto di andare a vedere questa via. Entusiasta per il risveglio del sogno assopito, colgo subito l’occasione. Le prime due volte in parete le usiamo per abituarci alla scalata del Caporal, ad imparare a fidarci dei piedi e a studiare i passi dei tiri, ma senza grossi miglioramenti e tentativi seri. Poi arriva il caldo. Decido così di dedicarmi ad un'altra via al Caporal, Colpo al Cuore, che è possibile scalare anche con temperature più elevate.
Avevo quasi perso le speranze di tornare anche per quest’ anno, ma poi, a fine febbraio, le temperature sono scese di nuovo e così ho deciso di tornare, questa volta con Emanuel Bracco. Quel giorno il vento era forte, eppure abbiamo deciso di provare lo stesso con la speranza di non prendere troppo freddo; ma il vento in valle non perdona e facevo fatica persino a togliere il piumino per scalare. Eppure, ho deciso di provare l’8b da primo, e non so se è grazie al freddo che evitava alle scarpette di sciogliersi su quegli appoggi troppo piccoli o perché ero particolarmente in forma, ma ho fatto questo salto nel buio.
Sì, proprio un salto nel buio! Prima non avevo mai osato provare quel tiro da primo perché non mi sentivo sicuro, le protezioni sono tutti chiodi classici e “moschettonarli” era impensabile, l’equilibrio era troppo precario. Eppure quel giorno sono riuscito a fidarmi, anche se mi sono appeso ad ogni chiodo. Per me questo era un grande progresso: finalmente avevo superato questo blocco mentale e un altro gradino verso la riuscita era stato fatto!
La settimana successiva sono tornato, con un altro socio, Andrea Migliano. Per fortuna questa volta non c’era vento, ma le condizioni per la scalata erano buone e la storia si è ripetuta: siamo arrivati fino all’8b e l’abbiamo provato. L’esperienza della settimana precedente ha dato i suoi frutti e ho iniziato a studiare le moschettonate, poi ho deciso di fare dei tentativi seri, non più da chiodo a chiodo. Al terzo giro sono riuscito a superare il passo duro, ma sono caduto appena sotto la sosta. Questa è una delle esperienze più frustranti che un arrampicatore possa provare, arrivare ad un passo dalla riuscita ma vedere tutto vanificato per un piede sbagliato. Per fortuna sono riuscito a trasformare questa sconfitta in una vittoria, al posto di pensare a quello che non ero riuscito a fare ho pensato invece a quello che ero riuscito a realizzare: in quel momento ho capito che la via era fattibile.
Cinque giorni dopo, io e Andrea torniamo. Questa volta so che posso fare la via, ma so ancora meglio che basta un niente, come un piede più a destra di qualche millimetro, per vedere tutto vanificato e dover tornare un’altra volta. Scaliamo velocemente fino all’8a e decido di provarlo montandolo, arrivo in continuità fino al “lancetto” finale e riesco a farlo. Trattengo l’urlo che mi esce spontaneo per paura di sbilanciarmi e arrivo in sosta. Ora tocca all’8b, e per fortuna questa volta non cado sotto la sosta!
Dire che sono contento di aver fatto questa via è poco, ma la cosa che più ho apprezzato è il percorso per realizzarla. Considero “chiudere” un tiro o una via la ciliegina sulla torta di un processo più o meno complesso e lungo, che permette di crescere in tutti i sensi, sia dal punto di vista motorio che dal punto di vista psicologico. Questa è una delle cose che più mi piace dell’arrampicata: iniziare a provare un tiro che sembra impossibile e, dopo tanta fatica, riuscire a farlo.
Devo ringraziare tutti i soci che mi hanno permesso di realizzare questo sogno: Matteo, Marco, Emanuel e Andrea.
di Francesco Deiana