L'insostenibile soggettività dei gradi dell'arrampicata

Dopo più di 20 guide di arrampicata pubblicate, Maurizio Oviglia ha fatto del 'dare i gradi' la sua professione. Ma, oggi come ieri, non sempre è facile valutare le difficoltà e negli anni si sono aggiunte una serie di variabili che complicano le cose. Con questo articolo Maurizio analizza lo 'stato dell’arte'.
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Gradi dell'arrampicata: come fanno a valutare le difficoltà di una via?
Caio Comix / www.caiocomix.com

I gradi di difficoltà, in arrampicata, sono uno degli argomenti più dibattuti, nonchè da sempre fonte di infinite discussioni e polemiche tra gli arrampicatori. Il fatto che, negli ultimi anni, siano diventati così importanti da superare l’altro tormentone principe nei discorsi tra scalatori, e cioè l’etica, la dice lunga sulle tendenze attuali. Avere o essere? Erich Fromm non avrebbe dubbi sulla risposta da fornire a questo quesito, almeno nel caso dei gradi!

Concepiti come strumento indispensabile per scegliere una via in rapporto alle proprie presunte capacità, i gradi sono rapidamente divenuti negli ultimi anni unità di misura della valenza (o tenenza secondo lo slang attuale) di un climber, quando non addirittura status symbol. La magica cifra dell’8a, tanto per fare un esempio, si configura oggi (non ovviamente in senso assoluto, essendo il limite attuale ben oltre) per moltissimi come una specie di cintura nera, nel mondo dei climbers. Tale da giustificare mesi di tentativi per poter dire di averne fatto almeno uno. Tuttavia i gradi delle vie mantengono, o almeno dovrebbero mantenere, ancora la loro funzione originaria e cioè quella di permettere all’arrampicatore di orientarsi su quale via provare.

Quando si arriva alla base di una falesia che non si conosce, la prima cosa che facciamo è consultare l’elenco delle vie ed i gradi. In quel momento cerchiamo qualcosa per scaldarci, poi qualcosa per divertirci, infine una via da provare, a vista o lavorato non importa. In quel momento ci affidiamo ai gradi riportati dalla guida e li compariamo al nostro presunto (cioè quello che pensiamo di avere) livello, in modo da non incorrere in brutte sorprese. La correttezza delle valutazioni riportate, sempre in rapporto alla nostra abitudine a scalare su terreno nuovo, saranno il presupposto per una giornata positiva, in cui potremo dire di esserci divertiti, oppure per un riscaldamento fatto male e una continuazione su difficoltà che non avevamo nessuna intenzione di affrontare. In questo secondo caso, probabilmente faremo su la corda sentenziando che la falesia “fa schifo” semplicemente perché non ci siamo divertiti, magari proprio a causa di una più che opinabile valutazione delle difficoltà. I gradi sono quindi importanti, non solo per stabilire chi tra noi sia il più “forte”, ma soprattutto come strumento orientativo.

Va bene, direte voi, ma chi stabilisce questi benedetti gradi?

Se per la vecchia generazione la risposta a questo quesito è fin troppo ovvia, così non è per chi inizia ad arrampicare oggi. Si sa che il grado è una misura soggettiva, ma proprio per questo il climber di oggi è disorientato e si chiede il perché alcune persone abbiano l’autorità di decidere ed altre invece solo di esprimere un’opinione che sovente non viene nemmeno ascoltata. Ultimamente sono nati anche alcuni siti, citerò tra tutti il climbook di Jolly Lamberti, che grazie al web permette una specie di referendum popolare per arrivare ad un grado il più possibile condiviso. Il grado non sarà più deciso da un singolo o una oligarchia di persone ma attraverso un procedimento democratico. Un’idea praticabile o una mera utopia?
Nel caso di vie molto difficili si sa che il primo climber che riesce a salire la via in rotpuntk generalmente (non sempre) propone una valutazione. La stessa verrà poi confermata o leggermente aggiustata dai primi ripetitori. In effetti, il grado delle vie difficili non rappresenta quasi mai un problema e raramente si instaurano accese discussioni. In genere si può sbagliare di uno step, ma raramente di più, a meno che non si trovino metodi radicalmente differenti da quelli utilizzati dal primo salitore. Si presume altresì che gli scalatori di alto livello abbiano buona esperienza avendo ripetuto vie dello stesso grado di altri, in modo da non incorrere in errori imbarazzanti.

Per i gradi meno difficili vale lo stesso principio, con la differenza che, normalmente, il grado è poi ufficializzato dal compilatore di guide nel momento che pubblica le falesie. Questi non è sempre il chiodatore o il salitore in libera delle vie, ma comunque generalmente compie un lavoro di catalogazione e tende a rendere omogenee le valutazioni in una determinata falesia o zona. Per farlo in modo diligente, tuttavia, dovrebbe ripetere tutte le vie, il che succede assai di rado. E’ molto più probabile, invece, che esso si attenga a quanto scritto (o tramandato oralmente) in precedenza, senza farsi molti problemi e soprattutto senza assumersi la scomoda responsabilità di cambiare. Questa è una delle consuetudini che più frequentemente portano ad errori di valutazione che poi non vengono corretti ma si perpetuano nel tempo.

Ma come si valuta una via? E, soprattutto, chi è il più accreditato a farlo? Ci sono diversi metodi di valutare le difficoltà e generalmente sono considerati più attendibili i climber polivalenti con maggiore esperienza su tutti i terreni e in tutti gli stili. Ci possono essere infatti falesie che presentano stili così particolari da risultare decisamente indigeste a chi non ha padronanza di quel particolare stile. Anche questo è uno degli argomenti più dibattuti tra gli arrampicatori: sino ad ora non si è giunti ad un parere condiviso e, per il momento, è il climber che si deve adattare allo stile e le valutazioni di quel posto, accettando di buon grado le sue carenze senza protestare troppo.

Per chi non possiede esperienza, o con(rara) modestia dichiara di non essere capace a gradare ma si trova comunque a dover valutare delle vie, il metodo più semplice e attendibile è quello comparativo. Si individua una via di riferimento nella falesia, che molto spesso è una via storica o comunque una delle più ripetute, e si valutano di conseguenza le altre. Va però tenuto ben presente che non si possono comparare stili molto diversi, le vie boulder con quelle di continuità, quelle in fessura con quelle di placca etc. Inoltre, una vecchia consuetudine, che oggi si sta un po’ perdendo in alcune zone, vuole che le vie corte ed intense siano valutate un po’ più severamente di quelle lunghe 30 o 40 metri. Allo stesso modo di come sui sassi si usa una scala più compressa di quella utilizzata in falesia, così una via alta 6/7 metri, o con la sezione dura solo all’inizio, non dovrebbe avere un metro di valutazione simile ad una lunga tre volte tanto…
Molto spesso, inoltre, capita frequentemente che le vie “facili” vengano valutate da climbers molto capaci e abituati a salire su gradi ben più elevati che hanno di conseguenza perso la capacità di distinguere tra un 4 e un 5. Questo è spesso fonte di malumore tra i principianti che su queste difficoltà si trovano a fare i conti con evidenti errori, in un senso o nell’altro. Per valutare correttamente le vie facili, a mio parere, ci si dovrebbe riferire alle vie storiche, non perdendo di vista quelle alpinistiche. Senza pretendere che il V in falesia sia uguale a quello dolomitico, che sovente viene percepito ben più severo per questione di ambiente e chiodatura, non bisognerebbe nemmeno esagerare nel senso opposto. Il 5c di falesia dovrebbe grossomodo corrispondere al “vecchio” VI grado. Non sempre è così, ed oggi si trovano spesso 5c che sono più facili dei IV delle vie storiche saliti negli anni trenta! A mio modo di vedere un certo collegamento con la tradizione bisognerebbe mantenerlo, se non altro per rispetto agli arrampicatori che hanno fatto la storia della nostra disciplina!

Infine due parole sugli errori di valutazione più comuni che si trovano nelle nostre falesie. Uno dei più frequenti è quello di trovare le vie di 6 valutate in modo decisamente più severo che quelle di 7 e 8. In sostanza si ha la percezione che chi ha valutato le vie abbia deliberatamente voluto essere di manica stretta con gli arrampicatori di medio livello. Questa pratica, molto diffusa in certe zone, ha spesso avuto come effetto quello di inibire gli arrampicatori a provare gradi più difficili. “Se trovo già estremo un 6c, come potrò mai tentarmi un 7a?” La nuova generazione ha però sviluppato assai rapidamente gli anticorpi a questo virus che “infetta” diversi siti. Piuttosto che trovare duro su un 6c, tanto vale non provarlo e passare direttamente al 7b o 7c! Si sarà costretti a più tentativi ma alla fine la soddisfazione sarà maggiore e non si intaccherà la propria autostima. Alla lunga, anche se non è possibile generalizzare, ciò ha portato anche al progressivo abbandono dell’arrampicata a vista a favore del lavorato e del super lavorato e ciò, a mio modo di vedere, non è senz’altro positivo.

Vie divenute particolarmente “unte”, cioè consumate dai ripetuti passaggi, andrebbero secondo me riviste al rialzo perchè, a meno che non si sia local di quella falesia o decisamente superiori a quel grado, è più problematico rimanere attaccati alla roccia e questo viene percepito da tutti come una maggiore difficoltà. Un altro punto largamente discusso tra i climbers: è eticamente corretto rivalutare il grado di una via storica? Anche in passato non si era immuni da errori, spesso per ragioni legate al particolare contesto storico, talvolta anche deliberatamente. Pur riconoscendo che un certo rispetto nei confronti della storia è sacrosanto e va comunque insegnato e mantenuto, dobbiamo subire in sempiterno l’imposizione di certi gradi “storici” palesemente fuori linea rispetto al resto delle vie della zona? O possiamo azzardare un mezzo grado in più? Curioso è comunque il fatto che quasi mai le vie storiche vengano svalutate…

Altri errori di valutazioni sono quelli che sono stati definiti dai climbers, in maniera assai colorita, ad esempio il grado così detto “turistico” e il “grado farlocco”. Il grado turistico è un grado valutato deliberatamente soft per indurre i climbers a frequentare una certa zona, solitamente meta di vacanze. Si contrappone al grado bastone, utilizzato al contrario per scoraggiare i turisti a frequentare una determinata falesia, che si vuole mantenere per pochi intimi. Questi esempi si riferiscono evidentemente ad un uso strumentale del grado, molto distante dalla funzione che dovrebbe avere e per cui è stato concepito. Quando invece il grado soft è solo uno, o comunque non è generalizzato all’interno di una stessa falesia, si parla allora di grado farlocco. Un serio compilatore di guide dovrebbe tendere ad eliminare i gradi farlocchi, che generalmente sono ben conosciuti dalla comunità dei climbers e, anzi, costituiscono meta di continui pellegrinaggi. Ciò però non sempre avviene, il più delle volte per questioni di amicizie. Essere coerenti con i propri principi vale un’amicizia? Ad ognuno scegliere, ma facendo due conti… sono assai pochi coloro che si prendono la responsabilità di svalutare vie molto popolari, magari realizzate da compagni e compagne di scalata. E se si conta che le vie farlocche coincidono sovente con le prime che si realizzano di quel grado, la responsabilità nel svalutarle è ancor più onerosa. Generalmente quando si ha il sentore che una certa via abbia un grado farlocco, la si dovrebbe svalutare subito. Così infatti avveniva negli anni ottanta, in maniera a dire il vero esagerata: chi ha iniziato a scalare in quegli anni lo sa bene. Oggi siamo all’estremo opposto: si aspetta e si fa finta di niente. Come mi ha detto una volta un amico a cui esponevo il dilemma se svalutare o no una via che stavano facendo in molti con relativa facilità: quando l’avranno fatta tutti e sarà evidente che il grado non regge, allora la bastonata farà ancora più male.

Maurizio Oviglia

I disegni che accompagnano l'articolo sono di Caio Comix / www.caiocomix.com




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