El Gato Negro, la prima scalata in Africa di Manolo

Manolo, il Kenya, l'Africa, l'arrampicata e la corsa. La storia di El Gato Negro (25/30m 7a/b), una nuova via di arrampicata trad nata per caso, nelle Iten Rocks a Eldoret in Kenya, tra i magnifici runners degli altopiani e il soffio caldo dell'Africa. Il racconto di Manolo e il video di Claudio Berardelli.
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Nandi Hills, Kenya
archivio Manolo
"Per quanto mi riguarda nulla so con certezza ma le stelle mi fanno sognare" Vincent van Gogh

Correre... correre, mi piaceva, correvo all’alba, al tramonto, correvo con la pioggia con la neve con il freddo, correvo al buio, con la pila, con la luna o alla luce dei lampioni, correvo sulle strade asfaltate, fra le pozzanghere degli sterrati, sui sentieri sull’erba e sulle pietraie, correvo sulle spiagge, in montagna e nel deserto, correvo ovunque, sui marciapiedi delle metropoli, negli aeroporti, e nei loro enormi silos, correvo nei parcheggi, correvo sotto il sole torrido ormai senza sudare, correvo per fuggire, per raggiungere, correvo per non stare fermo, correvo senza meta senza orologio senza tempo... correvo!

Non sei mai stato in Africa? “Daii!!!... è un’occasione per conoscerli, è uno spettacolo vederli correre all’alba sulle piste rosse delle Nandi Hills.”
“No Vince, non posso, ho promesso a “Narci” che avremmo raccontato la storia della “nostra scalata”, hanno già organizzato...!”
“Beh, torni un po’ prima, dai metti dentro anche una corda e un paio di friends che se troviamo un posto magari un giorno riusciamo anche a scalare!”
“No Vince, non arriverei in tempo e poi ci sono i mamba!!!”

Mi vengono in mente le giraffe, i leoni, i Masai, non so nemmeno esattamente dove si trova il Kenya in quell’immenso continente, ma ormai ci sono seduto sopra a 12.000 metri d’altezza e Vince se la ride felice.

Vincenzo Lancini, “pura energia”, fisioterapista e vero mago della “Tecar”, segue ormai da diversi anni molti straordinari campioni dell’atletica, fra i quali i Keniani. All’aeroporto di Eldoret, ci accoglie un suo amico con il quale ogni tanto collabora, Claudio Berardelli, che da “undici” li allena.

Colori, il mondo diventa colori, gli uomini, le donne, le capanne, le bici, le moto colori, le strade sono un fiume di colori che si muovono. Poi un muro alto con il filo spinato e un portone di ferro che si apre e oltre le inferriate, un giapponese di quasi ottant’anni con un libro in mano s’inchina e saluta: ma dove sono finito?

Claudio mi presenta Jiro Mochizuki uno dei più famosi fotografi del pianeta atletica, poi smette di parlare, di telefonare, respira e mi dice di avere un’idea... e mi preoccupa!

Sono ancora frastornato dal viaggio, dal sole, dai colori... dall’Africa e siamo già in viaggio per vedere se possiamo scalare, ma non dovevamo solo guardare i campioni correre?

Quando scendiamo dalla macchina la Rift Valley si spalanca infinita, ma non vedo niente su cui scalare, solo qualche masso pieno di muschio e poco interessante, meno male! Non ne ho proprio voglia, sono stanco morto.

Claudio mi suggerisce che sarebbe carino fare anche solo qualche metro per la stampa locale, non hanno mai visto nessuno scalare, sono molto curiosi e sarebbe bello.

Scalare un masso muschioso in mezzo ai serpenti, per la televisione...? Non lo ascolto neanche, mi sembra un pazzo!

Bevo un té... faccio due passi, attraverso un campo, qualche capanna, e improvvisamente una parete precipita di colori arancioni, e mi ritorna la voglia di scalare.

Claudio diventa inarrestabile, mi ricorda che la tv locale sarebbe interessata e ci sarebbe anche quella nazionale... anche al National Daily farebbe piacere... e... se non ti disturba troppo, la trasmissione sportiva del Kenya...

Ed eccomi sistemato!

Sul bordo di quel cuneo di roccia non possiamo attaccarci da nessuna parte, i pochi friends servono tutti per la salita, e dobbiamo trovare uno straccio di corda per poterci ancorare e almeno una spazzola... trovano tutto!!!

La parte centrale sembra troppo difficile e quando mi calo, una mangusta schizza da una tana a fianco... ma non si ciba di serpenti? “Dai… dai! se c’è lei non ci sono loro!”, aggiunge Vince.

A me viene da pensare il contrario... La parete strapiomba non riesco ad agganciarmi da nessuna parte però appaiono dei buchi che prima non avevo visto, ma sono così piccoli che dentro non ci può stare nessun serpente, e provo a scalarla.

Fantastico!

I movimenti su quella pietra vulcanica e morbida sono possibili, belli e nemmeno così difficili, ma sembra invece impossibile proteggersi con il misero materiale che abbiamo.

Mi guardo attorno... sono in Kenya nel cuore dell’Africa, sopra a un pezzo di pietra colorata e speciale e, forse, non ritornerò mai più.

“Ricala Vince!” Provo a rivedere...

Tre friends e uno stopper! Potrebbe essere il nome per la via, ma lo stopper non serve a niente e neanche il friend a metà, quello dopo è un terno al lotto, però l’ultimo all’uscita è ottimo. Peccato che ormai lassù il peggio sia finito.

Sul sentiero metto male un piede, una fitta e il menisco sembra lesionarsi, ma porca miseria sarà mica colpa di quel “Gato Negro” disegnato sulla bottiglia cilena che abbiamo aperto ieri?

La pioggia notturna peggiora le cose ma all’alba il cielo è terso e il giardino sembra una fornace! Siamo all’equatore e mi chiedo come sarà quella roccia arancione!

Cerco di non pensare e partiamo per le “Iten Rocks” che, a 2.400 metri di quota, sono già schiaffeggiate dalla brezza secca e forte del Rift, che ci costringe a coprirci.

Le condizioni sembrano perfette, nessun mamba in circolazione, il ginocchio è incerottato come un pacco postale e Vince, oltre alla “Tecar" sa usare il “mezzo barcaiolo”.

Poi guardo solo in alto e incomincio a salire emozionato come un bambino, sulla mia prima via in Africa.

Sopra, sull’altopiano, intanto gli atleti continuano a correre il loro “fartlek” infinito verso un traguardo disegnato di dollari, ma ormai, lontani e imprendibili sono rimasti in pochi, solo i campioni che corrono... corrono... corrono ogni giorno per fuggire sempre più lontano dalla strada e dalle loro storie difficili, e lo fanno come lo possono fare solo loro, belli e leggeri sfiorando quel suolo rosso che si perde nel sole enorme del Kenya.

“Ciao Manolo! Com’è andato il ritorno tutto bene? “Sei arrivato in tempo per la serata?”

“Si Vince! Sono arrivato appena in tempo, ma mi sono quasi addormentato e mi spiace, ma avevi ragione tu, ne valeva la pena, anche se “la mia Africa” si è fermata su un piccolo cuneo di pietra arancione fra le verdi colline del tè, ad ascoltare le storie difficili, di chi corre e di chi allena sull’altopiano fra gli infortuni della strada e della vita, confermando che la passione è l’ossigeno dell’anima!

“El Gato Negro” è nata per caso infilandosi per scherzo in un ritaglio di tempo imprevisto, ma sono quasi certo che è solo una piccola parte di tutto quello che non ho visto!

Un grazie sincero a Claudio Berardelli, Janeth Jepkosgei e Prisca Jeptoo per la magnifica ospitalità e compagnia, e a Vincenzo Lancini per aver reso possibile e aver condiviso questa mia esperienza “africana”. A loro e a tutti va l’augurio di ogni bene anche per l’anno che verrà.

Un ringraziamento doveroso inoltre va ai miei Sponsor La Sportiva e Montura.


Maurizio Manolo Zanolla | Eldoret 08/12/2015

Iten Rocks / El Gato Negro 25/30m 7a/b trad

Video El Gato Negro by Claudio Berardelli:





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