Arrampicata in Valle dell'Orco: Il Diedro Atomico, da 'Trad' a 'Trash'
Tra luglio e agosto 2009 Andrea Giorda, Stefano Therisod, Antonio Lovato hanno risistemato la Via del Diedro Atomico sulla Parete dell’Inflazione Strisciante in Valle dell'Orco. Andrea Giorda coglie l'occasione per un escursus storico e una riflessione per il futuro.
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Sul Diedro Atomico trent'anni dopo
arch. A. Giorda
Non vi parlerò di una grande impresa o di un nuovo 9a del Bambino prodigio, ma di un tempo dove i B.O.T. (Buoni ordinari del tesoro) rendevano quasi il 20 % e un modesto impiegato, un Travet , con sacrifici riusciva ancora a farsi una famiglia e comprarsi una casa. Erano i tempi dell’ ”Inflazione strisciante”, perché se è vero che i Titoli rendevano tantissimo, subdolamente i prezzi e soprattutto il Debito pubblico lievitavano come bignè, all’oscuro del piccolo risparmiatore.
L’Inflazione strisciante è una parete della bassa valle dell’Orco, ai tempi l’idea di collegare i nomi all’attualità mi sembrava una moda delle balle, ma ripensando agli infinti zeri che hanno raggiunto i nostri attuali “Pagherò”, tutto sommato ora quei nomi scolpiti nella pietra, suonano come un monito inascoltato! Che dire poi della via... ”Via i Russi dall’Afghanistan!”, ci ricorda che gli Americani finanziavano e addestravano i Talebani al terrorismo per sconfiggere i Russi! Sì! Proprio quelli che poi gli hanno fatto saltare le Torri gemelle e che adesso se la ridono dai loro labirinti nei deserti asiatici... altro monito. Un vero e proprio libro di storia a cielo aperto. Potremmo continuare con gli usi e costumi…” La Cannabis” e perchè no, qualcuno, nei... ”Cavalieri perdenti” ,vedrà pure una premonizione per le prossime elezioni di Papi!
Ma torniamo agli anni ’70, nella seconda metà del decennio, i fratelli più grandi e a volte lo stesso Giampiero (Motti ndr), ci rivelavano sottovoce e con parsimonia i segreti ancora sconosciuti della Valle Dell’Orco. Enrico Camanni, inseparabile amico e baby redattore della Rivista della Montagna, aveva sempre notizie di prima mano e tirò fuori dal cappello la parete di Aimonin con segnata la Via dello spigolo su un foglietto.
Per noi tutto il resto era vergine, e quando vedemmo il grande Diedrone centrale ci buttammo a scalarlo, nella nostra enfasi adolescenziale ci vedevamo già tra i grandi!
Ci volle poco a scendere dal pero, la via era già stata salita da Roberto Bonis, un vero Tiramolla umano, secco secco, agilissimo, scalava come i Geometridi, quei bruchetti che salgono sulle foglie portando le ultime zampe della coda dietro alla testa, facendo un anello con il corpo. Ora Bonis fa la guida a Bardonecchia.
La delusione ammazza o dà la carica, e pochi mesi dopo ciondolando per quell’enorme Bside* che era per noi la Valle, vidi sulla parete che verrà poi chiamata dell’ Inflazione strisciante un altro diedro, bellissimo, rosso fuoco. Peccato che per arrivarci ci volesse il machete e il supplizio di San Sebastiano... Con un ragazzo fortissimo di Trieste raggiungemmo la cengia per rovi, il Diedro era splendido, una fiammata nel cielo, ma ai tempi c’erano ancora vie come il Nautilus da aprire, capimmo che la gloria non sarebbe arrivata neanche quel giorno, quella scarpinata nella jungla avrebbe scoraggiato il più volenteroso dei ripetitori. La nota di colore, è che salii il diedro con i soliti scarponcini rigidi con carrarmato in Vibram (sostenevo da becero che si sarebbero incastrati perfettamente nel fessurone), il mio amico fece lo stesso con delle scarpacce da ginnastica. Le EB super gratton le avevamo nello zaino tutti e due ! Io ero condizionato dai vecchi “alponi”, non mi fidavo ancora troppo di quelle paperine lisce e il mio amico sosteneva che le sue scarpacce erano insuperabili, due veri grutuluti (grezzi in italiano) altro che californiani! Si tenga in conto che alla prestigiosa Scuola Gervasutti chi veniva beccato a scalare in montagna con le Varappe (pedule lisce), era cacciato con giusta causa! Le scarpette si tolleravano in palestra, ma erano ancora attrezzi del diavolo, da Beat scappati di casa.
Tornai pochi mesi dopo con Pietro Crivellaro a scalare il diedro subito accanto, quello Minore, ma la prima impressione fu confermata. Nel stesso periodo anche Gabriele Beuchod, assiduo e forte frequentatore della valle, quello dell’Orecchio del pachiderma al Caporal per capirci, aveva visitato la parete con Claudio Bernardi. Gabriele e Claudio: salirono la via del Cobra che terminava nello stesso grande diedro. In verità tutti gli itinerari caddero giustamente nell’oblio, salvo qualche visita di local.
Nel 2000, la parete viene riscoperta con un impegnativo itinerario sulle placche che fanno da scudo, e si provvede anche alla chiodatura a spit dell’antico diedro.
In questi giorni, a distanza di trent’anni, spinto anche dalla richiesta di Maurizio Oviglia che ormai è giunto alla soglia della terza guida della Valle (e non so se arrivo alla quarta…) ho ripercorso il diedro, che all’ora definii Atomico, un aggettivo ora buffo e in disuso. Anche di una ragazza formosa si diceva che era una Bomba…Insomma, allora la Guerra fredda con i suoi ordigni nucleari affascinava e terrorizzava allo stesso tempo, dominado le nostre fantasie.
Povero Diedro Atomico, ora è imballato di spit! Non mi vedo nei panni del vecchio trombone né tantomeno mi sento di giudicare, è nella natura che i tabù dei padri vengano infranti. Il Nuovo Mattino non era forse quello? Ma forse, ed è il motivo per cui scrivo queste righe, è giusto che chi ha più storia ponga il tema e faccia riflettere serenamente, se la chiodatura indiscriminata sia la strada che porta al massimo beneficio. Con due amici giovani e volenterosi Stefano Therisod e Antonio Lovato abbiamo anche trovato e aperto un accesso comodissimo, che abbiamo attrezzato a spit non avendo senso far portare i friend per i soli tiri iniziali. Così combinata, la via del Diedro Atomico sono sicuro diventerà una delle vie plaisir più ripetute della Valle. Ma quale occasione perduta... con gli attuali friend, che non avevamo ai tempi, potrebbe essere una perfetta via di scuola da salire in piena sicurezza con protezioni veloci.
Ricordo che negli anni ’70 inseguivamo il Clean Climbing, cercando di salire solo con i nut. Com’è che si è arrivati alla fine del secolo scorso, non solo ad aprire vie dal numero di spit imbarazzante (e passi) ma a “mettere in sicurezza” passaggi storici? Come il Rivero o la Gervasutti in Sbarua... e potremmo riempire una pagina di esempi.
Già, “Mettere in sicurezza”, ecco la frase fatidica che esorcizza una pratica che ha sempre contemplato il rischio, non solo di morire ma anche solo di non riuscire a salire. Che opportunità ha un ragazzo che inizia ad arrampicare ora di allenarsi emotivamente ad una scalata che richieda doti interiori oltre che fisiche? Certo ci siamo impigriti tutti e alzi la mano chi non sceglie a volte le vie perché attrezzate. E’ vero che ci si impegna poco, ma anche l’emozione spesso è commisurata. Eppure non tutto è perduto, mi sbaglierò ma c’è un vento nuovo, diciamo una piccola brezza. Sempre più spesso si sente parlare di Trad, di scalate anche estreme con protezioni veloci. C’è una nuova volontà di misurasi e di capire il mondo emotivo dell’arrampicata. Non solo più i vecchi, ma molti giovani chiedono di lasciare spazio alla scalata non attrezzata. Anche alla scuola Gervasutti (dove ormai da veri depravati usiamo le scarpette!) alcuni allievi chiedono di imparare a mettere le protezioni e di fare vie senza spit.
Le vecchie vie a chiodi nel Vallone di Sea, la stessa Sturm und Drang sul Valsoera invece di morire, vengono consigliate sui siti da una nicchia di nuovi scalatori esaltando il fascino dell’incertezza. Cosa c’è di nuovo? Che si cerca di arrampicare in libera dove c’era il passo in artificiale! Volete mettere anche solo un 6a o un 6b su friend e nut? Ma ormai il diedro Atomico è in catene, come un King Kong ferito, uno dei più bei tiri della Valle pronto ad essere assalito e violato senza emozione, come un amore rubato.
Per il futuro, non appelliamoci a giustizieri schiodatori (il rimedio è peggio del danno), almeno si accetti, su vecchi e nuovi itinerari, il compromesso di non chiodare le fessure, come attualmente fanno quasi tutti gli apritori di buon senso.
Andrea Giorda Caai
*Bside-palestra torinese indoor alla moda
>> vai alla scheda della Via del Diedro Atomico
L’Inflazione strisciante è una parete della bassa valle dell’Orco, ai tempi l’idea di collegare i nomi all’attualità mi sembrava una moda delle balle, ma ripensando agli infinti zeri che hanno raggiunto i nostri attuali “Pagherò”, tutto sommato ora quei nomi scolpiti nella pietra, suonano come un monito inascoltato! Che dire poi della via... ”Via i Russi dall’Afghanistan!”, ci ricorda che gli Americani finanziavano e addestravano i Talebani al terrorismo per sconfiggere i Russi! Sì! Proprio quelli che poi gli hanno fatto saltare le Torri gemelle e che adesso se la ridono dai loro labirinti nei deserti asiatici... altro monito. Un vero e proprio libro di storia a cielo aperto. Potremmo continuare con gli usi e costumi…” La Cannabis” e perchè no, qualcuno, nei... ”Cavalieri perdenti” ,vedrà pure una premonizione per le prossime elezioni di Papi!
Ma torniamo agli anni ’70, nella seconda metà del decennio, i fratelli più grandi e a volte lo stesso Giampiero (Motti ndr), ci rivelavano sottovoce e con parsimonia i segreti ancora sconosciuti della Valle Dell’Orco. Enrico Camanni, inseparabile amico e baby redattore della Rivista della Montagna, aveva sempre notizie di prima mano e tirò fuori dal cappello la parete di Aimonin con segnata la Via dello spigolo su un foglietto.
Per noi tutto il resto era vergine, e quando vedemmo il grande Diedrone centrale ci buttammo a scalarlo, nella nostra enfasi adolescenziale ci vedevamo già tra i grandi!
Ci volle poco a scendere dal pero, la via era già stata salita da Roberto Bonis, un vero Tiramolla umano, secco secco, agilissimo, scalava come i Geometridi, quei bruchetti che salgono sulle foglie portando le ultime zampe della coda dietro alla testa, facendo un anello con il corpo. Ora Bonis fa la guida a Bardonecchia.
La delusione ammazza o dà la carica, e pochi mesi dopo ciondolando per quell’enorme Bside* che era per noi la Valle, vidi sulla parete che verrà poi chiamata dell’ Inflazione strisciante un altro diedro, bellissimo, rosso fuoco. Peccato che per arrivarci ci volesse il machete e il supplizio di San Sebastiano... Con un ragazzo fortissimo di Trieste raggiungemmo la cengia per rovi, il Diedro era splendido, una fiammata nel cielo, ma ai tempi c’erano ancora vie come il Nautilus da aprire, capimmo che la gloria non sarebbe arrivata neanche quel giorno, quella scarpinata nella jungla avrebbe scoraggiato il più volenteroso dei ripetitori. La nota di colore, è che salii il diedro con i soliti scarponcini rigidi con carrarmato in Vibram (sostenevo da becero che si sarebbero incastrati perfettamente nel fessurone), il mio amico fece lo stesso con delle scarpacce da ginnastica. Le EB super gratton le avevamo nello zaino tutti e due ! Io ero condizionato dai vecchi “alponi”, non mi fidavo ancora troppo di quelle paperine lisce e il mio amico sosteneva che le sue scarpacce erano insuperabili, due veri grutuluti (grezzi in italiano) altro che californiani! Si tenga in conto che alla prestigiosa Scuola Gervasutti chi veniva beccato a scalare in montagna con le Varappe (pedule lisce), era cacciato con giusta causa! Le scarpette si tolleravano in palestra, ma erano ancora attrezzi del diavolo, da Beat scappati di casa.
Tornai pochi mesi dopo con Pietro Crivellaro a scalare il diedro subito accanto, quello Minore, ma la prima impressione fu confermata. Nel stesso periodo anche Gabriele Beuchod, assiduo e forte frequentatore della valle, quello dell’Orecchio del pachiderma al Caporal per capirci, aveva visitato la parete con Claudio Bernardi. Gabriele e Claudio: salirono la via del Cobra che terminava nello stesso grande diedro. In verità tutti gli itinerari caddero giustamente nell’oblio, salvo qualche visita di local.
Nel 2000, la parete viene riscoperta con un impegnativo itinerario sulle placche che fanno da scudo, e si provvede anche alla chiodatura a spit dell’antico diedro.
In questi giorni, a distanza di trent’anni, spinto anche dalla richiesta di Maurizio Oviglia che ormai è giunto alla soglia della terza guida della Valle (e non so se arrivo alla quarta…) ho ripercorso il diedro, che all’ora definii Atomico, un aggettivo ora buffo e in disuso. Anche di una ragazza formosa si diceva che era una Bomba…Insomma, allora la Guerra fredda con i suoi ordigni nucleari affascinava e terrorizzava allo stesso tempo, dominado le nostre fantasie.
Povero Diedro Atomico, ora è imballato di spit! Non mi vedo nei panni del vecchio trombone né tantomeno mi sento di giudicare, è nella natura che i tabù dei padri vengano infranti. Il Nuovo Mattino non era forse quello? Ma forse, ed è il motivo per cui scrivo queste righe, è giusto che chi ha più storia ponga il tema e faccia riflettere serenamente, se la chiodatura indiscriminata sia la strada che porta al massimo beneficio. Con due amici giovani e volenterosi Stefano Therisod e Antonio Lovato abbiamo anche trovato e aperto un accesso comodissimo, che abbiamo attrezzato a spit non avendo senso far portare i friend per i soli tiri iniziali. Così combinata, la via del Diedro Atomico sono sicuro diventerà una delle vie plaisir più ripetute della Valle. Ma quale occasione perduta... con gli attuali friend, che non avevamo ai tempi, potrebbe essere una perfetta via di scuola da salire in piena sicurezza con protezioni veloci.
Ricordo che negli anni ’70 inseguivamo il Clean Climbing, cercando di salire solo con i nut. Com’è che si è arrivati alla fine del secolo scorso, non solo ad aprire vie dal numero di spit imbarazzante (e passi) ma a “mettere in sicurezza” passaggi storici? Come il Rivero o la Gervasutti in Sbarua... e potremmo riempire una pagina di esempi.
Già, “Mettere in sicurezza”, ecco la frase fatidica che esorcizza una pratica che ha sempre contemplato il rischio, non solo di morire ma anche solo di non riuscire a salire. Che opportunità ha un ragazzo che inizia ad arrampicare ora di allenarsi emotivamente ad una scalata che richieda doti interiori oltre che fisiche? Certo ci siamo impigriti tutti e alzi la mano chi non sceglie a volte le vie perché attrezzate. E’ vero che ci si impegna poco, ma anche l’emozione spesso è commisurata. Eppure non tutto è perduto, mi sbaglierò ma c’è un vento nuovo, diciamo una piccola brezza. Sempre più spesso si sente parlare di Trad, di scalate anche estreme con protezioni veloci. C’è una nuova volontà di misurasi e di capire il mondo emotivo dell’arrampicata. Non solo più i vecchi, ma molti giovani chiedono di lasciare spazio alla scalata non attrezzata. Anche alla scuola Gervasutti (dove ormai da veri depravati usiamo le scarpette!) alcuni allievi chiedono di imparare a mettere le protezioni e di fare vie senza spit.
Le vecchie vie a chiodi nel Vallone di Sea, la stessa Sturm und Drang sul Valsoera invece di morire, vengono consigliate sui siti da una nicchia di nuovi scalatori esaltando il fascino dell’incertezza. Cosa c’è di nuovo? Che si cerca di arrampicare in libera dove c’era il passo in artificiale! Volete mettere anche solo un 6a o un 6b su friend e nut? Ma ormai il diedro Atomico è in catene, come un King Kong ferito, uno dei più bei tiri della Valle pronto ad essere assalito e violato senza emozione, come un amore rubato.
Per il futuro, non appelliamoci a giustizieri schiodatori (il rimedio è peggio del danno), almeno si accetti, su vecchi e nuovi itinerari, il compromesso di non chiodare le fessure, come attualmente fanno quasi tutti gli apritori di buon senso.
Andrea Giorda Caai
*Bside-palestra torinese indoor alla moda
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Note:
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