L'idea della Montagna, il Gran Sasso e le foto di Luigi Tassi

La montagna in bianco e nero, le foto di Luigi Tassi e il tempo che resta sospeso in un momento indefinito. Di Alberto Sciamplicotti
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Le Fiamme di Pietra al Corno Piccolo fra nubi e vento
Luigi Tassi

Ognuno di noi ha un’idea di montagna e del vagare fra le cime. Un’idea sportiva, un’idea estetica, un’idea contemplativa, un’idea che racchiude tutto questo e altro, concetti differenti che altro non sono che lo specchio delle emozioni che ogni singolo individuo prova fra le terre alte del mondo. Per questo è difficile riuscire a descrivere in modo universale e non scontato la propria visione delle montagne: sarà sempre viziata dall’esperienza vissuta, dal proprio andare fra vette, creste e pendii e dal modo in cui si è scelto di attraversare questo mondo, camminando, arrampicando, sciando, calandosi per canyon e forre, su una mountain bike.

Andare in montagna, come per mare, regala alla mente l’esperienza di una dilatazione temporale, una modifica dello scorrere del tempo guidata proprio dall’intensità e dalla forza delle emozioni provate. La mente in questi frangenti ha modo di esplorare la propria interiorità, raffrontandola direttamente con i vasti spazi in cui è immersa. Così, i pensieri e tutte le incognite generate durante l’azione divengono tensioni amplificate, in un gioco di rimandi che oltre a riportare alla mente passate esperienze simili, dà il via per immaginarne di nuove. Un sommovimento dell’anima così forte che l’esperienza vissuta non ha difficoltà, oltre a colmare il cuore, l’anima e la mente a straripare di là dei limiti fisici del corpo.

Quando questo accade, allora cresce impellente la necessità di comunicare l’emozione vissuta, troppo grande per poter rimanere racchiusa ancora dentro di noi. E’ questa la ragione della grande abbondanza di racconti legati alla montagna, al mare e alle loro immensità. Una narrazione che si può sviluppare nei modi più tradizionali, oralmente o attraverso la scrittura, ma anche con mezzi apparentemente meno convenzionali, come la pittura, il disegno o la fotografia. Con la differenza che trasmettere quell’insieme di emozioni che le attività svolte nei grandi spazi all’aria aperta riescono a generare è più facile da fare attraverso la parola, scritta o verbale, che con una rappresentazione parziale, limitata alla visione, di quanto si è vissuto.

Quando una illustrazione, un quadro, una fotografia riescono a trasmettere quello che ha attraversato l’anima dell’autore all’atto del suo concepimento si può così essere certi di osservare qualcosa che oltre a essere supportata da un’eccellente uso della tecnica (fotografica o pittorica) è cresciuta sulla viva sensibilità del suo autore. E’ per questo che le fotografie di Luigi Tassi riescono a raccontare così bene di quell’ambiente denominato montagna: gli scatti che osserviamo raccontano di questo luogo non attraverso la sua descrizione didascalica, ma con quella emotività che, attraverso la consapevolezza tecnica, riesce a trasformare la luce in narrazione. Quello che vediamo non sono quindi paesaggi di montagna ma la descrizione dell’essenza stessa della montagna e di come riesce a interagire, di là dell’emozione soggettiva, con l’universalità del nostro umano sentire: è scavare nella visione del paesaggio montano per portare alla luce quella visione ancestrale che vive in ognuno di noi legata a questo ambiente.

di Alberto Sciamplicotti

Fra Ricordi e Bianco e Nero di Luigi Tassi
Ricordo ancora la mia prima macchina fotografica, una vecchia Minolta con telemetro e senza esposimetro che mi regalarono per la promozione in terza media. Mi piaceva quella macchina con le sue ghiere per i tempi e i diaframmi che per me erano ancora termini misteriosi da comprendere. Credo perché stanchi di sviluppare rullini con immagini per la maggior parte inutilizzabili, i miei genitori dopo due anni mi comprarono una Canon AE1… presa la camera in mano non riuscivo a credere fosse mia e parafrasando le parole di un grande alpinista “iniziai a vedere sulle pareti delle montagne immagini già sviluppate, mi stavo ammalando della sindrome del fotografo naturalista”. Tanti anni sono passati da quel momento e tanta tecnologia separa gli alogenuri d’argento dai fotodiodi dei sensori digitali che ora abitano i corpi macchina dopo aver sfrattato la pellicola tuttavia la passione è rimasta la stessa. Adoro il bianco e nero… un tempo sviluppavo in cantina le pellicole e stampavo le fotografie nel silenzio attendendo che il “click” si trasformasse in immagine. Adesso lavoro con la massima semplicità in camera chiara comodamente seduto e credo che la monocromia doni ai paesaggi montani qualcosa in più fermandone il tempo in un momento indefinito.




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