Walter Bonatti, addio
Oggi la grande famiglia dell'alpinismo ha perso un padre. Questa notte se n'è andato Walter Bonatti, l'alpinista che forse più di chiunque altro ha segnato e guidato l'alpinismo mondiale degli ultimi 60 anni. Nato a Bergamo il 22 giugno 1930, Bonatti ha iniziato presto a lasciare la sua impronta indelebile nell'alpinismo, con il suo stile, puro, pulito e veloce, spesso in inverno, che lo ha contraddistinto sin dall'inizio e al quale è rimasto fedele fino alla fine.
Le sue salite hanno fatto epoca. Tra queste spiccano la prima salita della parete est del Grand Capucin nel 1951 e poi, quattro anni più tardi, la celebre via sul Petit Drus aperta in solitaria in 6 giorni e 5 notti che hanno ispirato e anche cambiato la storia dell'alpinismo. Walter Bonatti ha spesso scelto di affrontare pareti nelle condizioni più proibitive, salendo per primo la parete nord della Cima Ovest di Lavaredo in inverno, come d'altronde anche le Grandes Jorasses nel 1963. Senza contare il suo incredibile addio all'alpinismo di punta con la salita per una via nuova, in solitaria e d'inverno della parete Nord del Cervino: un vero manifesto per l'alpinismo di tutti i tempi. Come del resto la bellissima prima salita del Gasherbrum IV nel 1958 con Carlo Mauri in una storica spedizione guidata dal grande Riccardo Cassin.
Come ormai è storia il suo apporto assolutamente fondamentale alla prima salita del K2 nel 1954. Un riconoscimento che gli è stato dato ufficialmente con moltissimo ritardo. Una "verità tardiva" che l'ha fatto molto soffrire e per cui si è molto battuto. Perché sarebbe inutile negare che la vita di Bonatti non sia stata segnata da quella prima salita del K2. Ed è giusto anche ricordare anche un altro momento delicato nella vita di Walter, la tragedia sul Pilone Centrale del Freney, in cui morirono 4 alpinisti. Queste vicende danno la misura e la grandezza anche dell'uomo oltre che dell'alpinista.
Nel 2004 gli è stato conferito il titolo di Cavaliere di Gran Croce che si è aggiunto al titiolo francese Legion d'Honneur per aver salvato la vita di due altri alpinisti negli Alpi. Nel 2010 ha vinto il Piolet d'Or alla carriera.
WALTER BONATTI. UN SANDOKAN DELLE MONTAGNE
di Vinicio Stefanello
Un uomo cammina da solo sul ghiacciaio. Pare non abbia dubbi quel puntino perso tra l’incomprensibile ragnatela dei crepacci. E’ vero che ogni tanto esita. Si ferma. E, mentre anche il respiro della montagna sembra prendersi una pausa, lui pare cercare risposte in un punto indefinito. Ma è solo un attimo… poi il suo cammino riprende sicuro, oltre il dedalo dei pensieri.
A noi non è dato sapere cosa abbia trovato in quella sospensione. Quale sicurezza abbia cercato in quello sguardo mirato all’infinito. A noi non resta che il dopo, la meta raggiunta. Sarà perché, quando si é soli, i pensieri come le paure volano in spazi misteriosi e incomprensibili, però quei palpiti, che precedono l’azione di un uomo lontano dalle moltitudini, a me sono sempre sembrati vibrare dell’essenza stessa dell’eroe e della sua ricerca.
Per questo ho sempre immaginato Walter Bonatti come un eroe. Un eroe solitario che, da subito, ha popolato le mie fantasie di ragazzino, ammaliato dalle montagne e dall’alpinismo, come fossero invenzioni uscite dalla penna di Salgari. Per me Bonatti era, ed è, davvero come un Sandokan delle montagne. Un solitario guerriero-filosofo che ambisce alle vette per bisogno di avventura, di libertà, e di verità. E’ l’uomo che lotta, piange, si dispera e che mai esulta veramente. Perché Bonatti è l’eroe che ci ricorda, e si ricorda, di essere uomo
E’ l’alpinista che ci ha conquistati, e mi ha conquistato, mettendo a nudo la sua paura e la sua disperazione di fronte all’impossibile meta che si era prefisso. E’ un uomo alla continua ricerca di un fine che vola alto, sopra a tutto. Nell’impossibile ricerca di quell’equilibrio e salvezza che gli alpinisti (ma anche gli adolescenti) cercano nel proprio caos interiore. Sarà per questo che la vita di Bonatti mi appare quasi come l’incarnazione dell’avventura. Di quel sentimento, verso l’ignoto da scoprire (ma anche da conquistare) tanto presente nei giovani che interpretano la vita come un campo infinito di promesse e di possibilità.
Anche per questo l’ho inseguito così spesso in quelle sue mille avventure descritte nei suoi “Giorni grandi”. Ed è senz’altro per questo che mi ha catturato il Bonatti che punta a trovare la sua impossibile via sull’inviolato Capucin. Che per sei giorni lotta da solo nel deserto verticale del Pilastro del Dru. Che riesce a ritrovare sempre la via del ritorno, a salvarsi (e anche a salvare) vincendo le incredibili tempeste delle vette. E’ un uomo che combatte per trovare un qualche suo misterioso Santo Graal. Che insegue quel fine, e quelle cime, incomprensibili e impossibili ai più, ma amate (e anelate) da tutti.
Solo apparentemente, poi, a tutto ciò sembra contrapporsi un altro Bonatti, quello “contro”, quello del K2. Un Bonatti che, all’inizio dell’esperienza, è tutt’uno con il gruppo. Che mette a disposizione tutto se stesso e che esulta per la cima comune, per poi trovarsi, ancora una volta, solo. Attaccato, ed anche umiliato. Quasi incompreso da tutti. Tanto incompreso che sembra solo cocciutaggine la sua. Dice e protesta verità, la verità dei fatti. Ma in molti sbuffano, in troppi tergiversano. E a nulla gli servono le battaglie giudiziarie vinte. A nulla le altre montagne conquistate come, il bellissimo, Gasherbrum IV.
Così dopo mille querelle, mille polemiche, mille avventure da alpinista è arrivato il momento del distacco. Non un abbandono, ma un distacco. Un trarsi da parte rispetto a quel mondo dell’alpinismo che non sente più come proprio. Un punto e capo che interpreta da par suo, da Bonatti, con un’impresa grandiosa, salendo in inverno, per una via nuova e da solo la parete nord del Cervino. Poi basta. Con la montagna dei primati, lui non ha (e forse non vuole avere) più niente da spartire. E’ nel pieno della sua fama. Bonatti in quegli anni, si era nel 1965, in Italia e nel mondo, rappresenta l’alpinismo stesso. Di lui, delle sue imprese, parlano in prima pagina i quotidiani e le tv nazionali. Ma ormai è deciso: con quell’alpinismo e quell’ambiente (ma non con la montagna) lui ha chiuso. E anche in questo è un uomo-eroe che non si rimangia la parola. Che non torna indietro, non riprende dal chiodo quegli scarponi degli exploits. Ma si re-inventa altri spazi di avventura ed esplorazione.
Perché la sua “seconda avventura” riprende, meglio sarebbe dire continua, tra le foreste, i deserti, i mari, le popolazioni più inaccessibili della terra. E’ l’inviato di Epoca. E l’uomo che scopre e fotografa meraviglie che (noi) potevamo solo sognare. Vive nella foresta Amazzonica, tra gli animali selvaggi continuando quell’esplorazione e quel confronto leale con la natura e i propri limiti che erano state alla base del suo difficile e conflittuale (adesso si direbbe estremo) alpinismo.
Bonatti si è distinto anche per questa sua capacità di andar oltre gli schemi della montagna e dell’alpinismo, nel saper riscoprire, anche oltre le vette, la “sua” avventura. Una scelta, umana e di vita, che risplende anch’essa come l’avventura tra le vette della curiosità e della voglia di conoscere e di conoscersi.
Questo è il mito. Questo è l’eroe che ha riempito per decenni le mie fantasie (come quelle di moltissimi altri) con le sue imprese, ma anche con quelle vibrazioni che mi è parso sempre di avvertire nei suoi scritti. Poi, il caso, proprio in questi ultimi anni, ha voluto che avessi anche il modo di incontrarlo Walter Bonatti…
E’ sempre difficile, se non impossibile, conciliare l’immagine dell’eroe con il suo incontro, con la sua presenza fisica. Come ci si confronta con le proprie fantasie? E’ un quesito a cui, in verità, non so ancora rispondere. Sul Monte Rite, in occasione della presentazione del suo libro "K2, la verità" (Baldini Castoldi Dalai), Bonatti a pochi mesi dell’ufficiale e (sostanziale) riaffermazione della verità storica di quanto lui aveva sostenuto sulle vicende della prima salita sul K2, mi è parso un uomo in pace con se stesso. Mi ha parlato di quei fatti lontani con pacatezza, quasi con serenità. Di lui ricordo il bel sorriso e la disponibilità nel raccontarsi e raccontare quei fatti che per lui, e per lunghissimo tempo, sono stati assolutamente dolorosi.
Poi a Lecco, in quello stesso 2004, ricordo un altro incontro, ancora più rilassato. Seduti attorno ad un tavolo si parlava un po’ di tutto, e naturalmente anche di alpinismo e di giovani. Mi colpì quel suo sguardo interessato e incuriosito quando ribattei, a non so più quale affermazione, nè fatta da chi e perché, che riprendeva un vecchio assunto per il quale l’interesse delle nuove generazioni per l’alpinismo non c’era più. Direi il contrario, affermai, le cose sono cambiate, ma non direi che per i giovani l’alpinismo sia scomparso, anzi… Davvero? Ne sono felice… mi rispose Bonatti con un sorriso che esprimeva tutta la curiosità di un ragazzino. In quell’attimo ho avvertito tutta la sincera gioia dell’uomo e dell’alpinista… Chissà dove saranno volati i suoi pensieri in quell’attimo, e quale sospesa e misteriosa vibrazione si sarà accesa nel suo cuore.
di Vinicio Stefanello
pubblicato su ALP 243, giugno 2007
Planetmountain | |
News Bonatti |