Viaggio al Monte Ararat nella magica Armenia

Alice Prete racconta la magia dell'Armenia e della montagna dell'Arca di Noè, l'Ararat (5165m).
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Atmosfera surreale prima della cima del Monte Ararat
archivio Lelio De Bernardin
Siamo partiti in cinque da Venezia con destinazione Agri carichi di vestiti, colori e giocattoli da lasciare ai bambini kurdi. Siamo tornati non solo con una cima di 5000 metri in tasca, ma con la certezza di aver vissuto un sogno. Ancora oggi, mentre strisciamo la lingua sul palato per assaporare il ricordo ormai vago del migliore caffè turco, rimangono tracce di saliva malinconica. Infatti, Tito ce l'aveva detto prima della partenza: “... Dopo capirete cosa mi spinge sempre a tornare, cos'è l'Armenia, cos'è l'Ararat...”

Già. L'Ararat o Agri Dagi. 5165 metri sopra il livello del mare. Con un fratello accanto, il Piccolo Ararat e un mare di deserto tutto attorno. L'Ararat si trova in Turchia, o meglio in Kurdistan; una terra politicamente divisa fra Turchia, Iran, Iraq, Siria ed Armenia sopra la quale aleggia sempre quel fatto di morte: il massacro degli armeni del 1915. Certo che raccontato da me non suona così tragica e crudele la faccenda; bisognerebbe sentirla raccontare da Tito (De Luca),lo scrittore alpinista bellunese da sempre amico dei ricordi dell'Armenia. E, naturalmente, amico di Burhan.

Burhan Saltik Cevarun. Non ho ancora capito l'alternanza dei due cognomi che lui usa a seconda delle occasioni e delle spedizioni, quasi che per alcune di queste preferisca usare il "cognome buono" come una volta da noi si usava il vestito della domenica. Burhan parla kurdo, turco, farsi, russo e naturalmente inglese. E legge i fondi del caffè. A noi era bastato questo per fidarci di lui, come guida di montagna e come uomo.

Una traccia di terra chiara e polverosa è l'aeroporto di Agri, a circa 100 km da Dogubayazit. In secondo piano erano passate le guardie col kalasnikov dell'uscita: eravamo troppo attenti a non perdere d'occhio i nostri bagagli, pieni di chissà che valore poi. Da Agri si percorre una strada dritta come un fuso fino a Dogubayazit, una cittadina di circa 3000 abitanti che vive sotto un sole caldissimo con l'Ararat alle spalle.

Hotel Isfahan. E in pieno Ramadan da bravi italiani si pranza: Kebab, coca cola e dessert; naturalmente poi caffè e quei fantastici dolcetti col pistacchio sopra. Poi si parte, Burhan ci sa fare: mi guarda di sottecchi e sorride: l'avevo sottovalutato, e lo capiamo entrambi. Nelle nostre mail di corrispondenza precedenti, ai miei solleciti su che tipo di attrezzatura alpinistica ci avrebbe fornito, se ci avrebbe procurato sempre acqua rigorosamente in bottiglia e sui possibili attacchi di terrorismo data la vicina terra calda iraniana mi ripeteva: “no problem Aliscia, be quite (stai tranquilla)”. E' una guida che sa fare il suo mestiere, non c'è che dire.

Tracce della vecchia Costantinopoli si stendono sotto i nostri occhi: tutto è così fascinoso e orientale. Passiamo il pomeriggio tra il palazzo del sultano e il supermercato. Alle sei del giorno dopo si parte per il campo base, dove abitano per i mesi estivi la famiglia di Burhan con 4 delle sue meravigliose sorelle, talmente belle da farci capire finalmente il significato del velo, che peraltro loro neppure indossano: chi non vorrebbe trattenere celato per sè lo sguardo di cotanta bellezza? gli occhi di Gulistan, la sorella maggiore, stregano ogni alpinista. capelli neri lucenti, movenze delicate... Noi tre ragazze italiane dentro scarponi e pantaloncini ce la mangiamo con gli occhi. E tutti gli altri pure.

Ramazan (lo zio di Burhan) poco dopo il nostro arrivo trascina una pecora oltre le tende. Una pecora è un animale molto prezioso per la loro famiglia. Burhan mi chiama, gli tiene steso il collo e mi porge il coltello: "Sei tu il capo, Aliscia?". Io lo guardo. E' un grande onore ma non ne ho il coraggio. Lui capisce e sorride, anzi, da europeo che ormai è, mi prende in giro. Mi obbligo comunque ad assistere al sacrificio. A cena tutti rigorosamente ne mangiamo un po', sarebbe veramente troppo scortese non farlo.

La sera scorre sciogliendo i pregiudizi: stesi sul tappeto ci facciamo tutti attorno ad una tazza di the tra foto e cellulari: siamo fianco a fianco due culture, lingue e religioni diverse eppure lì siamo solo delle persone così vicine nel ricordare i visi dei nostri cari: c'è chi fa vedere le foto dei fratelli, dei figli, dei posti cari, le dolomiti, Belluno, Agordo...; io addirittura faccio vedere le foto dei resti della mia macchina dopo un incidente stradale.

Alle sette nuova partenza per il campo alto a 4200m. La notte è passata agitata: una pecora aveva la tosse e non ci ha fatto dormire; e poi quei cani che al minimo rumore perlustravano tutto il campo. Alle 3 io e Monica ci eravamo perfino alzate per una corsa al bagno. Burhan ci aveva avvisate: no problem se andate dietro la nostra tenda, ma se vi allontanate il cane non vi riconosce e vi salta alla gola. E non stiamo parlando di cani normali, ma di cani kurdi, incroci tra cani e cavalli tanto sono grandi.

Capiamo subito che il problema però non è allontanarsi dalle tende... ma uscirne. Appena mettiamo fuori il naso infatti due occhi rossi si accendono come lampadine e tra il freddo, la paura e l'insonnia la pipì scappa veramente adesso! Quando incrociamo gli occhi del cane kurdo siamo impietrite da puro terrore. Sollevo il tirante della tende e passano quei 2 secondi in cui spostiamo il baricentro al di la del filo: il cane non si muove di un millimetro. Burhan aveva ragione. Per fortuna.

La salita al campo alto è tranquilla: la montagna è veramente cosmopolita e si alternano file di stranieri dagli accenti più diversi. Un sole cocente ci scalda fino a circa 3800m, poi il vento comincia a soffiare e ci obbliga a coprirci meglio, ricordandoci chi comanda lì sopra. La roccia nera dell'Ararat è lucente e solida e a tratti il sentiero diventa a scalini spigolosi. Sembrano fatti d'ebano.

Il campo alto è diviso su tre livelli: a 4000, a 4100 e 4200 m: noi ci sistemiamo a 4000m con le nostre tendine e con Ramazan che monta la tenda mensa: più tardi, intanto che aspettiamo la consueta tazza di the, saliamo fino a 4500m, un po' per acclimatarci meglio e un po' per onorare un agglomerato di roccia lavica, una sorta di monumento dedicato alla memoria degli armeni. Burhan mi spiega che gli alpinisti non sanno cosa rappresenta quel posto per la sua gente. Restiamo in silenzio pensando all'olocausto. Non c'è niente da dire. E non perché parliamo lingue diverse.

L'atmosfera è surreale: dietro di noi ci sovrasta un ghiacciaio lucente avvolto dalle nuvole; sotto di noi quella Dogubayazit polverosa e calma. Il pensiero dell'arca di Noè seppellita nell'altro versante della montagna ci sfiora. Sarebbe bello andare a curiosare... ma il pkk? Chiedo a Burhan che mi spieghi qualcosa degli attacchi dei terroristi di cui avevo sentito parlare prima della partenza, e che ci rendeva scettici al viaggio. Lui guarda la sua Dogubayazit e glissa il discorso. E' la prima volta che il suo inglese mi risulta confuso. Si alza e scappa giù.

Di notte fa freddo; siamo a cena con francesi, cechi, polacchi e kurdi; noi solleviamo un po' il morale perché ridiamo sempre. Il clima è bello e divertente e lo diventa ancora di più quando Doriano a sorpresa tira fuori un bel pezzo di speck e di grana sottovuoto. I francesi si illuminano... i cechi chiedono se c'è anche un po' di pivo... e l'ambiente si scalda. Siamo a casa. Non a 4000 metri nel cuore dell'Anatolia turca...

Partiamo all'una con le frontali. I francesi si vede che sono appesantiti dallo speck perché rallentano enormemente il passo. Qualcuno si scoccia: a tratti sembra la scampagnata della domenica tanto ridiamo. Nessuno ha il muso lungo, la quota non crea problemi tanto l'andatura è lenta e regolare. Cerchiamo di ricomporci e rendere l'ascesa almeno meno goliardica.

Attacchiamo il ghiacciaio e il panorama si fa splendido: ricordiamo la nostra Italia, le nostre Dolomiti. Affondare gli scarponi nella neve paragonandola a quella della Marmolada. Intirizziti dal freddo e dal wind chill cerchiamo un parallelo con gli scorci del Gran Paradiso o del Monte Rosa ma l'atmosfera che respiriamo non ha eguali: è magica.

Raggiungiamo la cima alle sei del mattino. Le nuvole ci avvolgono, si vede poco attorno ma non ci importa. Ci abbracciamo ognuno dentro ai propri piumini e pensieri cercando di ritagliarci ciascuno qualche secondo sul punto sommitale dell'Ararat, a 5165 m. Avvertiamo già un solletichio alle gambe: sarebbe bello salire e scendere la cima dell'Ararat per 3000 metri di dislivello con gli sci d'alpinismo, magari in primavera... E poi ci sarebbe anche il Damavan così vicino, di 5600 metri, nel confinante Iran... chissà...

Alice Prete (Gruppo Rocciatori Gir – Cai Agordo), Francesca Zambelli (Cai Belluno), Monica Scussel (Cai Agordo), Lelio De Bernardin (Cai Val Comelico), Doriano Filippi (Cai Sat Sez. di Mori).

Un grazie si cuore a Tito De Luca (www.noahsark.it) che ci ha accompagnati in questa meravigliosa avventura. Grazie a Burhan ed alla sua famiglia che ci ha trattati come dei principi e fratelli. E per chi desiderasse appoggiarsi a lui per l'ascesa del monte Ararat, Piccolo Ararat, Damavan etc o per la parte logistica a Dogubayazit, con stima proponiamo il suo contatto:
facebook: Burhan Saltik
celllulare: +90 (544) 569 86 04
mail: topofararat@hotmail.com
burhan_saltik@hotmail.com
skype: burhan cevarun
Note: Scheda tecnica M.te Ararat:
Ascesa al Monte Ararat 5165m E Piccolo Ararat 3900m (Turchia) versante sud
Aeroporti vicini a Dogubayazit raggiungibili con volo interno da Istanbul:
- Agri (circa 100 km da Dogibayazit)
- Kars (circa 200 km da Dogubayazit)
Dislivello a piedi: da circa 1400m a 5165m
Campi: Previsti 2 campi (campo base a 3000m e il campo alto a 4200m)
Difficoltà: facile
Attrezzatura: normale dotazione alpinistica da ghiacciaio
Periodo: è possibile salire il monte Ararat con gli sci d'alpinismo in primavera e da maggio a ottobre con ramponi e piccozza nel tratto di ghiacciaio finale.
Note: La salita al monte Ararat prevede la richiesta di un pass. Si accede solo alla parte sud. La parete nord è vietata perché zona militare. L'appoggio ad una guida locale elimina ogni problematicità di logistica e permessi.

Links www
www.caiagordo.it
www.noahsark.it



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