Up Project Patagonia, dopo il Cerro Piergiorgio
Prima della "nuova azione" al San Lorenzo, con Luca "Rampikino" Maspes, appena tornato dal Chalten, proviamo a guardare a quello che è successo e che ha vissuto in prima persona parlando ovviamente della "frana" che messo fine al tentatoivo al Cerro Piergiorgio, ma anche della Patagonia e del futuro...
Up Project Trip two, Patagonia, gira pagina. Dopo il tentativo sull'immensa parete Nordovest del Cerro Piergiorgio, terminato anzitempo per la spaventosa frana che ha (miracolosamente) risparmiato il team italiano e, in particolare, Luca Maspes, ora la spedizione (e il progetto) continua. Come da programma si passa al San Lorenzo, sempre in Patagonia. Con Hervé Barnasse che ha preso il posto del "bombardato" Maspes, e Giovanni Ongaro, Matteo Bernasconi e Lorenzo Lanfranchi che hanno dato il cambio a Kurt Astner, Yuri Parimbelli ed Elia Andreoli. Così, adesso, nel momento che precede la "nuova azione" e i nuovi sogni, con Luca "Rampikino" Maspes, appena tornato dal Chalten, proviamo a guardare a quello che è successo e che ha vissuto in prima persona, parlando ovviamente della "frana" ma anche della Patagonia, del Piergiorgio, e del futuro.... LA PATAGONIA, IL CERRO PIEGIORGIO, IL TEAM E GLI AVVERTIMENTI DELLA MONTAGNA - intervista a Luca Maspes di Vinicio Stefanello Luca, intanto come stai dopo il bombardamento del 20 febbraio al Cerro Piergiorgio… Sto finendo di zoppicare e sono ancora un po' ammaccato a mani e piedi ma, per fortuna, non ho nulla di rotto. Spero nel giro di una decina di giorni di ricominciare con l'attività fisica, altrimenti sarà dura recuperare dopo tutti quei bife mangiati in Patagonia! Immagino che quel momento sia difficile da descrivere… e forse anche da raccontare… Uscirne così poco rotto me la sta facendo rivivere positivamente a livello mentale, cercando anche di ricordare volutamente quel momento. Una persona immagina spesso quegli istanti in cui potrebbe avere la sfortuna di pensare che sta per morire e magari cercare di immaginare se penserà al classico “tutta la vita ti scorre davanti in pochi secondi”. Immaginavo anche io la stessa cosa, ma sicuramente non immaginavo di doverla vivere per tutto quel tempo, quel minuto interminabile in cui per un semplice calcolo di probabilità aspetti che un sasso più grosso degli altri ti centri la testa e spenga così la luce definitivamente... E i tuoi pensieri dove correvano... Non avendo riparo durante la frana, il mio pensiero era quello di cercare di diventare il più piccolo possibile, il bersaglio più difficile da prendere, e l'unico momento veramente spiacevole che ricordo è stato a metà del bombardamento, quando pareva che stesse terminando. Cominciavo a gioire dentro di me, sentivo che ero ancora integro e stavo per alzarmi. Poi è ripartito il rombo dei sassi ed in quel momento, un po' rassegnato, ho pensato che non mi avrebbe più graziato. La sera dopo, in paese, mi sono preso una sbronza con Hervé, festeggiando la spedizione più fortunata della mia vita! Pensi di aver commesso qualche errore… Beh, nel momento della frana ero nel posto sbagliato al momento sbagliato, un errore non facile però da evitare! Per la logistica del nostro tentativo, un errore individuato a posteriori potrebbe essere quello di aver provato la parete in stagione molto avanzata e sfortunatamente in una stagione già piuttosto secca, da qui anche il problema di dove mettere le tende sotto il canale che sale alla parete, scelta che si è rivelata poi non molto felice. Le alternative però non c'erano per il periodo del viaggio. Volendo provare questa combinata delle due cime dovevamo tentare il roccioso Piergiorgio a fine estate patagonica ed il misto del San Lorenzo ad inizio autunno, con i primi freddi e la prima neve. Stavate entrando nel cuore della parete, come era andata fino ad allora la spedizione? Stava andando... non così rapidamente come potevo sperare nei sogni pre-partenza, ma stava comunque procedendo, aiutata anche da un po' di fortuna con il bel tempo che ci ha lasciato fare nei giorni in parete. Forse non ci aspettavamo una faticaccia del genere per spostare tutto l'occorrente per 20//25 giorni di azione fin sotto la montagna. Chi più chi meno ci siamo fatti centinaia di chilometri avanti ed indietro dalla Valle del Rio Electrico, sempre con carichi sui 25 kg a testa ed aiutati anche da amici-porters argentini. Poi c'era la scalata vera e propria che speravo fosse più dolce di come la ricordavo 10 anni fa ma che invece era un bell'osso duro vedendo come procedevano i miei allenatissimi compagni: 4 o 5 tiri al giorno, non di più, sempre due orette a tiro tra primi di cordata e quelli che seguivano. Da quello che si legge nel vostro diario di spedizione colpisce come la decisione di rinunciare e voltare pagina sia stata unanime… Come aveva funzionato il gruppo fino a quel momento? Dal punto di vista umano il team ha funzionato bene nelle sue scelte e tutti ascoltavano e rispettavano i pareri degli altri, nonostante che, a parte me ed Hervé, questo era un gruppo che si è conosciuto praticamente già in spedizione in corso. Che cosa fare dopo la frana è stata una scelta unanime. Tutti siamo stati partecipi dell'evento e sapevamo che la sorte l'avevamo già sfidata abbastanza. Dal punto di vista “mediatico”, uno dei capisaldi del progetto UP, la prima parte del viaggio ha funzionato invece meno bene del Trip One in Karakorum ma questo non lo posso additare solo al gruppo. In Patagonia vivi con la fretta radicata nelle tue gambe e quindi non è stato facile lavorare con calma con foto e video durante l'azione. L'imponente parete Nordovest del Cerro Piergiorgio, la più alta della montagna, era (ed è rimasto) un bel problema. Quali sono le caratteristiche di questa big wall? La parete nelle sue dimensioni è una sorta di Capitan, nella sua forma una “diga” la si potrebbe definire. La roccia è fantastica ed è un rammarico, o forse un pregio, il fatto che un muro roccioso del genere esista in un posto così scomodo e martoriato dal maltempo come la Patagonia. Sicuramente nelle Alpi quella parete sarebbe percorsa da decine di splendide e lunghissime vie parallele visto che con quel tipo di roccia, solide lame che si alternano a muri a tacche, si potrebbe salire ovunque e con poco artificiale. In Patagonia invece il Piergiorgio è una delle montagne più sconosciute, non ci fanno neanche le cartoline nonostante gli argentini lo considerino la parete “mas linda” della zona. Pensa che ci sono alpinisti che arrivano giù che neanche sanno dov'è. E' nascosto dietro il Fitz Roy, è lunghetto da raggiungere e richiede forse un impegno globale superiore della solita “toccata e fuga” tipica degli ultimi exploit patagonici. Si parla molto di stile alpino, quali sono gli ostacoli maggiori per una sua applicazione sulla Nordovest del Piergiorgio? Credo che tra gli ostacoli maggiori c'è il fatto che non esista ancora una via aperta sulla muraglia centrale, la più alta. Solo quando ci sarà un itinerario con relazione, delle soste già pronte e qualche buona protezione lungo i tiri si potrà pensare ad una salita rapida della Nordovest nello stile che tutti oggi invocano. A questo riguardo mi permetto di fare un appunto ai profeti del purismo: le vie nuove in Patagonia senza uso di corde fisse si contano sulle dita di una mano e le salite in stile alpino tanto esaltate sono quasi sempre delle ripetizioni, vedi Caldwell e soci sul Fitz Roy. Salire per primi è un'altra cosa. Come sulla Nordovest del Piergiorgio... Pochi poi sanno che la Nordovest del Piergiorgio è una scalata atipica della Patagonia, dove non si seguono dei diedri e delle fessure progredendo rapidi anche in caso di tempo non perfetto. Sul muro sei sempre su parete aperta, si deve veramente arrampicare, mica con i guanti, e si deve pensare molto, soprattutto su una via come “Gringos Locos” che curva molto e dove, per velocizzare la scalata, nel 1995 io e Maurizio Giordani avevamo limitato gli spit (5 sui tiri) preferendo l'uso di cliff hanger volanti. Ancora più importante forse il fatto che sul muro per 21 tiri non avevamo trovato nessuna cengia che si potesse chiamare tale per farci un bivacco. Quindi si dovrebbe pensare all'uso dei portaledge ma anche questi, esposti ai venti devastanti che possono arrivare da un momento all'altro, sarebbero un azzardo, peraltro già confermato dal tentativo dei tedeschi e ungheresi di 4 anni fa con il portaledge distrutto prima di cominciare! E allora cosa dobbiamo aspettarci? In sostanza c'è da aspettare una smentita a tutto quello che ho detto, con qualcuno che ripeterà la via incompiuta tutta in giornata e troverà una cengia per bivaccare poco sopra il punto massimo raggiunto, dorme lì e il giorno dopo se ne va in vetta per i più fessurati 5 o 6 tiri mancanti. Sarò il primo ad applaudirlo, noi non ne eravamo capaci e l'assalto finale in stile alpino sarebbe partito solo da metà parete attrezzata. Kurt Astner e Yuri Parimbelli i nuovi del gruppo Up project. Hervé Barmasse tuo socio anche nel Trip one in Pakistan, e il giovane Elia "Panda" Andreola… Puoi parlarci di loro, come compagni e come arrampicatori... Sono molto felice per il giovanissimo “Panda”, campione dello scialpinismo che ha messo a disposizione le sue gambe per caricarsi lo zaino sempre più degli altri. Poca esperienza di parete ma una grande voglia di vivere a diciannove anni un viaggio fuori dal comune. Un “senza pretese” che è stato premiato alla fine con due vette patagoniche (Guillaumet e Poincenot) dopo le faticacce del Piergiorgio. Di Kurt e Yuri invece si conosceva già il loro grande potenziale alpinistico e non hanno mai mollato fino all'ultimo, anche per il fatto che questa era la loro prima spedizione in Patagonia che, si sa, è anche un po' una vetrina per gli scalatori di punta. E' stato interessante confrontarsi con loro sulle innumerevoli decisioni logistiche da prendere in ogni momento della spedizione. Con Hervé non ci sono mai problemi e la fiducia è massima. Per questo ho il cuor leggero sapendo che al San Lorenzo potrà prendere la responsabilità logistica del Trip Two insieme a veterani patagonici come Ongaro e Lanfranchi. Leggendo il diario di spedizione sembra che sia sparita la Patagonia di un tempo con le lunghe permanenze nelle grotte di ghiaccio o al campo base. Sembra che le bufere patagoniche ora si passino giù al Chalten tra un boulder e una birra, aspettando la meteo via internet… Segno dei tempi, e cos'è veramente cambiato? E' cambiato che la moneta argentina, dopo la svalutazione di pochi anni fa, ha fatto sì che anche gli squattrinati alpinisti potessero vivere a poco prezzo gli agi del paese! Con il meteo via Internet o via telefono è anche diventato più comodo programmarsi il prossimo tentativo di salita, quindi per qualcuno, quasi tutti da quello che ho visto, non ha più molto senso trascorrere una settimana nella tenda o in una grotta di neve a logorarsi i nervi e piangere del maltempo. Si sta in paese dove quasi sempre c'è il sole, circondati da boulder che ti mantengono in forma, mangiando una pizza o un bife a buon mercato, festeggiando in continuazione fino a tarda notte secondo le usanze del pueblo. Un bello spirito UP che ha un significato non troppo nascosto anche nei confronti di come sta cambiando l'alpinismo. Del resto siamo tutti figli del benessere… Dean Potter, Alex e Thomas Huber, Steph Davies , Stephan Sigriest e molti altri climber e alpinisti sembrano essersi dati appuntamento in Patagonia... In questo periodo alcuni tra i più famosi alpinisti del pianeta li incontravi proprio nei bar di Chaltén. Una comunità internazionale che parlava la stessa lingua per quanto riguarda donne e piaceri della vita, a tratti diversa se si parlava dei contenuti del proprio alpinismo. Qual è l'aria che si respira al Chalten… e quali gli obiettivi di questi alpinisti di punta, e quanto c'è ancora da fare laggiù? La tendenza degli americani, parlo di Potter, Bowers, Caldwell, Croft e altri, era per tentativi di traversate e salite rapide in velocità, possibilmente sempre in arrampicata libera. Loro fanno vette di corsa, si muovono rapidi in giornata e le grandi vie nuove non gli interessano molto, per questo hanno tanto spazio per i cronometri delle cronache patagoniche. I fratelli Huber e lo svizzero Sigriest, con i quali abbiamo passato molte ore tra boulder, discussioni sul Torre e cene in paese, erano lì invece per il loro obiettivo che è quello che l'ambiente reclama come il grande problema patagonico, la traversata Standhart-Herron-Egger-Torre. Per cui aspettavano pazienti la meteo che indicasse almeno 2 giorni e mezzo di bello per provare, una finestra di bel tempo che non è mai arrivata almeno finché eravamo giù noi. Nell'attesa Alex e Stefan si erano già fatti una bella e rapida via nuova in fessura sull'Aguja Desmochada, chiamata “Golden Eagle”. Poi c'erano altri fratelli celebri come gli spagnoli Iker e Eneko Pou ed il loro progetto “Sette pareti per sette continenti”. Per loro obiettivo semplice sulla carta, ripetere la classica via “Franco-Argentina” del Fitz Roy, ma esito negativo e non abbiamo ancora capito per quali cause. Li invidiavamo, in quasi due mesi dovevano solo sperare in un giorno di bel tempo per la loro salita mentre noi ne cercavamo almeno cinque in un solo mese. Iker comunque si è fatto credo il primo 8a boulder della zona, veramente duro! Ora il Trip two di Up Project ha fatto rotta, come da programmi, verso il San Lorenzo… Non vorresti essere là con loro? Chiaro che vorrei essere là con loro” dirlo sarebbe forse una ovvia banalità. Dico allora che, anche se fossi integro, avrei comunque forse un po' di apprensione ad essere là sul San Lorenzo dopo questo incredibile e fortunatissimo jolly giocato sul Piergiorgio. Mi piace interpretare i messaggi della montagna, ci credo molto. E sul San Lorenzo quattro anni fa io e Diego Fregona eravamo stati ricacciati a valle proprio dalle scariche di sassi… Ripensando all'epilogo (fortunato) di quest'avventura… dove corrono i tuoi pensieri? E i desideri? Con i condizionali d'obbligo imposti da mamma Patagonia, il primo desiderio è che gli amici se la possano giocare bene sul San Lorenzo, sperando in un miglioramento delle condizioni che possano permettere almeno un tentativo alla parete. Hervé, Giovanni, Pala e Berna sono carichi ed in gran forma, potrebbero farcela. Poi, a Trip Two terminato, si penserà alla prossima avventura che magari vorrei più “arrampicatoria”... Ci sarà anche il Piergiorgio nel tuyo futuro? Il Cerro Piergiorgio nel futuro diventa per me un capitolo chiuso dopo che mi ha “parlato” in questo modo. Già marchiato con le vie “Greenpeace” (Manica-Vettori), “Pepe Rayo” (Dal Prà-Girardi-Nadali-Sarchi) e i tentativi sulla Nordovest nostri e dei Ragni di Lecco, chissà mai che i prossimi a provarci non siano magari altri alpinisti italiani. “Suerte” per loro! UP TRIP TWO - PATAGONIA 2006 www.montagna.tv (progetto, team, diario e comunicati dalla Patagonia) in collaborazione con: EV-K2 CNR - FERRINO - MICO - GRIVEL - MATT
Nelle foto dall'alto: Cerro Piergiorgio la parte alta della parete; Kurt Astner sul sesto tiro sul Piergiorgio; Nordovest del Cerro Piergiorgio; Panda ed Hervé in partenza per la Pietra del Fraile; Panda e Kurt, sosta sul ghiacciaio verso il Piergiorgio; Sotto la parete, la cengia dove si è scaricata la frana; Il campo base montato alla base del canale che sale alla parete; Icona Patagonia; Yuri e Panda abbracciano la loro seconda vetta del viaggio (ph UP TRIP TWO) |
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