Tuttavita alla Torre Laura, una nuova via nel gruppo delle Marmarole, Dolomiti
Durante le vacanze estive del 2015, insieme al caro amico Alex Pivirotto e a mia figlia Letizia, mentre percorrevamo il sentiero di avvicinamento ad una delle nostre ascese, ci siamo soffermati a lungo ai piedi dell'avancorpo sud della Torre Laura, nel gruppo del Ciareido. Frequentiamo spesso le Marmarole, montagne di un tempo perduto. Stranamente poco frequentate, nonostante un ambiente mozzafiato, vette di notevole interesse e, aspetto non trascurabile, la presenza di due rifugi imperdibili per posizione e....cucina! E fu proprio in uno di quei rifugi che si materializzò l'idea, e poi il progetto, di cercare una nuova via per quell'avancorpo che tanto ci aveva rapiti. Una base ampia, spaccata, quasi dilaniata a prima vista. Ma solida. Una roccia a tratti simile al ferro forgiato. Già. Ferro, roccia, legno. Richiamo irresistibile, per noi alpinisti. E la vetta. La prua affilatissima di una nave. Una spada nel cielo!
2015, Ottobre. Nella piovosissima sera del 9 ottobre 2015, io, Leti (mia figlia allora dodicenne e anch'essa alpinista) ed Enrico (mio figlio di sei anni addetto alla radio e con il compito di allertare alla bisogna il soccorso alpino) percorriamo in auto lo sterrato che dal Pian dei Buoi porta al rifugio Bajon; colonna sonora dei Doors, bagagliaio carico di attrezzatura e l'immancabile impazienza mista ad emozione che accompagna le nostre vigilie.
Alex ci avrebbe raggiunto la mattina seguente, e quindi avevamo una sera intera per rilassarci al calore del fantastico camino aperto del Bajon, coccolati dalla gentilezza di Dino e dalla cucina irresistibile di Lucia. Tempo di sistemare le nostre cose ed eccoci davanti a zuppe fumanti, accompagnati dal rumore del fuoco.
La mattina seguente ecco Alex! Guida Alpina di rango, cavallo di razza purosangue Arabica. Chi ama lo sport equestre, bene intende l'accostamento! Tempo di abbracciarci contenti, e siamo già in auto diretti al Rifugio Ciareido. Avevamo infatti deciso di partire da li per l'avvicinamento, anche perché dovevamo recuperare dal magazzino del rifugio tasselli e spit. L'idea che avevamo in mente era di una nuova via ben protetta. Certo, chiodi e protezioni veloci hanno il loro indiscutibile fascino, ma noi pensavamo ad una via ripetibile. E sicura.
Dopo circa mezz'ora, eccoci quindi ai piedi dell'avancorpo, a scrutare nuovamente la possibile linea iniziale. Ad un tratto scorgiamo un chiodo. No, uno spit. Comunque qualcosa, e per giunta con un cordone! Delusione totale! Non possiamo certo passare di lì... Tentiamo allora verso destra, molto a destra. Guardiamo bene. Scrutiamo, un po' in apprensione. Non c'é nulla, possiamo andare.
La giornata era ottima, per quanto lo possano essere le giornate di inizio ottobre. Sole velato, assenza di vento e temperatura intorno ai nove gradi. Il primo tiro scorre via bene. Roccia articolata ma solidissima. Si va in verticale. Alex piazza pochi spit, giusto dove servono, e dopo trenta-trentacinque metri siamo già in comoda sosta. Siamo contenti, già vediamo bene la linea del secondo tiro con un tetto che ammicca e che sembra farci capire che si deve passare di là! Ma soprattutto, niente altri segni di passaggio umano!
In sosta ci mettiamo i guanti; le mani vanno tenute calde. Partiamo per il secondo tiro. Puntiamo alla placca soprastante nera, ed al tetto. Piazziamo un friend 2 su una fessura proprio sotto al tetto e attacchiamo la fessura di sinistra, per poi riattraversare a destra. L'esposizione e la delicatezza dei passaggi ci entusiasma, come poi la sosta del tiro, all'inizio di un bel camino canale. Una comoda nicchia che provvediamo a ripulire in vista della successiva calata. Nonostante gli spit lungo i tiri siano ancora pochi, le soste vengono attrezzate – sempre a spit – in maniera definitiva, con allegate le opportune maglie rapide! Fino ad ora, un bel lavoro.
E così, accompagnati dal sorriso e dall'entusiasmo di Leti, ci ritroviamo al quarto tiro. Una enorme fessura sulla destra e una placca sempre più aggettante. Passaggi sempre più delicati, cercando contiuamente di ripulire il più grosso. L'uscita del tiro va attraverso una fessura-camino che obbliga ad un movimento non proprio agevole, ma che ci deposita su un comodissimo spiazzo erboso. Una terrazza panoramica!
Incalzati da Enrico (aquila da falco, aquila da falco) e da una temperatura di due gradi, dopo nove ore di battaglia decidiamo di ripiegare, ripromettendoci di terminare l'anno successivo. Le calate avvengono per la via di salita, grazie alle soste a spit ed alle maglie rapide. Il recupero delle corde, specialmente nella calata del terzo tiro, non è proprio facile. E questo ci fa propendere per la necessità di trovare una nuova via di discesa... Una parte della parete è vinta. Ma sappiamo che durante il silenzio invernale, la montagna troverà modo di prepararsi per affrontarci con ritrovata forza.
2016, Estate. Finalmente. Siamo di nuovo nelle nostre montagne. Un anno in più, nuove esperienze e tutti i mesi invernali trascorsi ad allenarsi in palestra. Ancora con Alex (e ci mancherebbe) ed ancora con Leti (almeno fin che non si troverà un moroso), ci concediamo una "polpetta piccante", giusto per prepararci a terminare la nostra via. Torre Wundt, Via Valleferro e co. Non male..
2016, 22 Agosto. Carichi come muli partiamo alla volta della nostra parete, con un congruo numero di tasselli e spit e con batteria di ricambio per il trapano. Oltre naturalmente alle nostre NDA debitamente "pompate". Attacchiamo il primo tiro alle 10.45, iniziando una pulizia più approfondita e piazzando ulteriori spit oltre a quelli già esistenti. Modifichiamo inoltre l'uscita del quarto tiro rendendola più logica. Ora il tiro è perfettamente in verticale.
Arrivati alla sosta del quarto tiro, iniziamo nuovamente nel nuovo. Alex parte in free solo e va a curiosare sopra, grazie ad un insieme laterale di cengette e zone erbose.
Ritorna piuttosto deluso, raccontandoci che la roccia sembra rotta e non continua, ventilando l'ipotesi di chiudere al quarto tiro. La delusione non ci prende. Io e Leti propendiamo per andare avanti. E si va.
Aggirato un grosso gendarme sulla sinistra, si procede in verticale per circa 30 metri. Una divertente arrampicata. Non sostenuta, ma di sicuro non banale. Poi una buona sosta. Il tiro seguente è facile. Forse era quello che aveva visto Alex durante la sua ricognizione.Va sullo spigolo. Però è bello... Sorpresa! Ora il panorama cambia. La montagna ha cercato di respingerci con la subdola arma dell'inganno!
Dalla sosta del sesto tiro, un facile camminamento ci porta davanti una parete compatta, aggettante, e per giunta distante più di un metro da dove si può giungere con i piedi "per terra". Dopo i primi quindici metri circa, la parete si sviluppa con fessure sempre in verticale. Uno spettacolo! Alex è contento come una pasqua.
Attrezziamo la sosta del settimo tiro (una camminatina) e poi, vista l'ora, decidiamo di ritornare alla base (aquila da falco, aquila da falco).
2016, 26 Agosto. Siamo nuovamente al nostro rifugio Bajon. Per godere ancora del fuoco serale e della cucina, ma soprattutto per una due giorni che ci dovrebbe portare a liberare la via. La strategia stabilita è quella di dedicare la giornata al trasporto in quota del materiale necessario per l'apertura degli ultimi tiri. Porteremo su il trapano, batterie di ricambio, tasselli e spit. Inoltre, tenteremo di individuare la parte finale della via di discesa. Non sappiamo ancora cosa troveremo, ma siamo fiduciosi.
Trasportiamo quindi fino a forcella San Pietro, e poi ancora più su, il pesantissimo materiale, e poi attraverso cenge arriviamo ad attrezzare le ultime calate, ed a segnalare le cenge. Alex, maestro dei lavori in fune, piazza una bella corda fissa per completare l'opera. Dopo una intensissima giornata, scendiamo ed andiamo a depositare all'attacco della via le nostre NDA, imbraghi e caschetti. Ritorniamo al rifugio. L'indomani sarà il grande giorno.
2016, 27 Agosto. Alle 7.30 siamo alla base della parete. Siamo arrivati velocissimi, leggeri e veloci come ombre. Attacchiamo. Puliamo ancora, e nel frattempo ci rendiamo conto di aver protetto benissimo la via. Raggiungiamo la terrazza del quarto tiro alle ore 10.12 e l'attacco dell'ottavo alle 10.33. L'ottavo tiro è sostenuto. La non agevole partenza e la grande parete compatta ed aggettante, obbliga a movimenti difficili ed atletici. Leti mi incalza. E' velocissima! Superati i primi 15 metri, la parete ritorna verticale, ed i movimenti divengono delicati, anche se sempre difficili. Un bel tiro, ci stiamo divertendo un mondo.
Il nono tiro prosegue sempre in verticale e sempre sostenuto; poi, una zona di sfasciumi ci deposita alla base della sommità dell'avancorpo. Il tagliamare della nave in tutto il suo splendore. E' mezzogiorno, e ne aprofittiamo per bere una coca-cola prima del salto finale verso la vetta. Quasi non osiamo guardare verso l'alto, ben sapendo cosa ci aspetta. La via di salita infatti, e parlo dei tiri finali, era già stata individuata il giorno prima, durante il trasporto del materiale in quota. Ora però, è più vicina...
Ore 12.15. Attacchiamo il decimo tiro. Prima un camino da superare, e poi una fessura strapiombante gialla. Una scala rovescia. Per giunta, la roccia si presenta più mobile e quindi dobbiamo anche pulire. Al termine della fessura, non proprio breve, si deve obliquare verso sinistra per placca. Si passa quindi da una arrampicata tecnico-atletica ad una iper delicata senza soluzione di continuità. E infatti volo... Troppa foga in placca, punisce. Leti, al solito, sembra accarezzare la roccia. Nella sosta del decimo, forse la più scomoda della via, siamo in affanno. Il tiro è stato duro. Molto duro, e per giunta dopo altri nove non proprio elementari.
Alex parte per l'undicesimo tiro. Secondo noi, i tiri dovrebbero essere dodici. Il tiro sale a sinistra della sosta, e poi in verticale per fessura che poi si abbandona seguendo una fessurina verso destra. La roccia compatta e la fessura non proprio semplice ci mettono ancora alla prova. I movimenti sono lenti e l'esposizione totale.
Abbandoniamo la fessurina e ci riportiamo a sinistra, dove ci si presenta una placca verticale, e dove intravediamo la vetta. Saliamo la placca con i piedi pulsanti per il dolore, raggiungendo la vetta alle 14.21.
Per prima cosa, avvisiamo Enrico per radio. Falco da Aquila, Falco da Aquila... la via è aperta! Dall'altra parte gridolini di gioia...braviiiii. Festeggiamo. E ognuno di noi ha dentro qualcosa di grande. Leti da il nome alla via: Tuttavita. Semplice, come lo sono i sentimenti dei bambini. Ma grande, come lo sono l'amicizia, l'amore di un padre, la montagna.
Lasciamo in vetta il libro di via con una nostra foto, ed attacchiamo all'ultima sosta le bandierine tibetane. I lung-ta, i cavalli del vento. Con la speranza che le nostre preghiere, i nostri sentimenti e la nostra amicizia, aiutino e proteggano tutti quelli che vorranno onorare queste montagne salendo la nostra via. La via di Alex, di Letizia e di Riccardo. Tuttavita.
Alle ore 15,09 iniziamo le calate. Una prima doppia di 55 metri, di cui più di trenta nel vuoto, ci depositerà alla base della torre sommitale, poco distante dall'attacco del decimo tiro. Da lì per cengia fino ad un successivo spit per eventuale mini-calata e poi, dopo pochi metri, ancora spit per l'ultima calata di venti metri. Poi cengia segnalata e corda fissa ci permetteranno di raggiungere una forcella e da li scendere fino a forcella San Pietro, proprio dietro al Pupo. Scendono Alex e Leti.
E mi ritrovo solo in vetta, nel silenzio. Quando ho iniziato questa avventura, mi immaginavo qui. Immaginavo di riuscire nell'intento di aprire una via, di vincere una parete ed una montagna. Ma ora, ora che sono qui da solo nel silenzio, mi rendo conto e comprendo che una montagna non si può vincere. Si può solo tentare di salirci in vetta, se lei te lo permette. E questa montagna, queste rocce che mai hanno toccato una mano, me lo hanno permesso, regalandomi emozioni e sentimenti che porterò con me per il resto della mia vita.
Alle ore 16.45 siamo a forcella San Pietro. Alle ore 18.30, al rifugio Bajon a festeggiare con Enrico e con gli amici. Ma anche se non ce lo diciamo, i nostri occhi vanno continuamente alla nostra montagna.
SCHEDA: Tuttavita, Torre Laura, Marmarole, Dolomiti