Tomaz Humar dopo Annapurna Sud in solitaria
Intervista a Tomaz Humar dopo la sua salita solitaria del 28 ottobre sulla parete sud dell'Annapurna.
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Annapurna parete Sud: Tomaz Humar nella tempesta di vento
Tomaz Humar
Molto si è detto dell'ultima salita di Tomaz Humar sulla parete Sud dell'Annapurna (vedi news). In un articolo apparso recentemente su Alpinist.com si legge, per esempio, che Humar ha seguito una via già aperta nel 2000 da un Team di alpinisti - dei quali peraltro non si indica né il nome, né la nazionalità né si danno altri riferimenti a conferma della salita. Dalla rivista ALP n213 del 2003, la stessa via viene riferita a tre alpinisti non identificati (forse francesi) saliti senza permesso fino alla cresta sommitale in un punto circa 1 Km a ovest del Roc Noir. Non si hanno molti dati, insomma. Ma, se il tutto fosse confermato, ovviamente con tutti i riferimenti del caso, Tomaz Humar avrebbe fatto "solo" la salita solitaria della parete sud (!).
Nell'intervista che leggerete, Tomaz non entra nel merito di quest'ultimo particolare: per i dettagli sulla salita rimanda al suo report già pubblicato su PlanetMountain. Del resto è chiaro (come affermato anche su Alpinist.com) che se la precedente via era così "misteriosa" lui non poteva averne conoscenza. Ma non sono questi dettagli, appunto, che interessano a Tomaz: "Ho fatto una salita per la mia anima", ci ha più volte ripetuto. E' questo che gli interessa di più. E sinceramente, pur dando importanza ai dati statistici - per la verità sempre più difficili da verificare, sembra anche a noi che le motivazioni profonde di una salita siano essenziali per tentare di avvicinarsi al cuore dell'alpinismo.
Allora Tomaz... come stai, sei "uscito" (con la testa) dalla grande parete?
Dopo la salita mi sentivo molto tranquillo. Sto molto bene, ma è difficile percepire le stesse emozioni quando si ritorna nel mondo piatto… tutto è completamente diverso. Qui ciò che diventa più importante sono i numeri, le statistiche, le scadenze da rispettare... tutto ciò sembra più importante che l'anima stessa della salita.
Com'è nato il challenge sulla parete sud dell'Annapurna e cosa ti ha ispirato?
E' arrivato come una scintilla. Ho semplicemente seguito il mio istinto. E i pensieri sono diventati fatti...
Puoi descriverci nelle linee essenziali gli step della salita, i tempi e i "modi" (stile, linea, punto di arrivo, discesa)?
Le cose essenziali sono già menzionate nel report che avete già pubblicato.
Le difficoltà incontrate e i momenti più difficili
La cosa veramente difficile è stata attendere per un mese il bel tempo. Pioveva o nevicava, sempre. Aspettavo un'unica possibilità. Non a caso con gli altri componenti del Team, il Dr. Anda Perdan e Jagat Limbu, abbiamo chiamato questa spedizione la “spedizione della pazienza.” La cosa più complicata è stata la ricerca della strada giusta attraverso il pilastro di roccia e il labirinto dei crepacci nella parte inferiore della via, fino alla piattaforma dove io e Jagat abbiamo stabilito il nostro primo bivacco a 5800m. Dopo questo primo bivacco, la salita non è stata così difficile dal punto di vista tecnico. Certamente è stato più “lungo” il viaggio dentro me stesso. Credo anche che questa sia una delle salite più sicure in assoluto dell'Annapurna.
Non so esattamente quanto sia lunga la cresta fino alla cima est. Per la maggior parte l'ho percorsa dalle 8 alle 10.00 del mattino: sono stato abbastanza veloce anche se il vento mi colpiva direttamente sul petto. Invece, a causa dei lastroni di ghiaccio, l'ultima parte della cresta mi ha impegnato per molto tempo, per circa 5 ore. Poi, quando soffiava il vento forte dovevo sdraiarmi per terra per evitare di volare giù; e mi muovevo soltanto quando s'abbassava d'intensità.
In discesa sono stato sorpreso dalla notte e le pile della mia frontale hanno smesso di funzionare. Il liquido nel mio camelbag, anche se protetto all'interno del piumino, si era congelato un'ora dopo la partenza dal bivacco; e non mangiavo né bevevo dalle 5 di mattina. Sulla cresta ho aspettato la luce della luna, poi ho iniziato a scendere. Prima ho perso le mie tracce, poi sono sceso su ghiaccio duro e delicato… ho trovato il mio bivacco alle 8 e 25 della sera.
I rischi e la difficoltà della sud... era come te la aspettavi?
Credo che un alpinismo senza rischi non esista. Ripeto: la zona del ghiacciaio è stata molto più complicata di quello che mi aspettavo, come d'altronde i pilastri di roccia. Dopo il primo bivacco la salita non è tecnicamente difficile, ma ci sono alcune sezioni di misto e altri pericoli dovuti ai seracchi... tutto sommato però si tratta di una salita sicura.
Se dovessi sintetizzare (e spiegare) l'esperienza appena vissuta a un “non alpinista”, cosa diresti?
Che per me non è soltanto arrampicata. Ma è un gioco per la vita. Un viaggio che faccio per me stesso. Prima di salire ho pensato, meditato e scritto. Ecco I miei pensieri dal campo base:
L'eccitazione è la conseguenza di vibrazioni,
Esse generano un pensiero, e questo si sviluppa in un'idea.
L'idea vive per come viene accolta nel proprio cuore,
Essa dipende dalla nostra onestà, dalla vigilanza della nostra mente, dalla vita stessa.
Quando ci arrendiamo all'idea, non ci sono più barriere, esiste solo la Via.
Ciò in cui si crede, il coraggio, la comprensione ci aiutano a raggiungere l'altare del sacrificio.
Per vivere una parte di unità ci devono essere molti e molti Noi.
Quello che viene non può essere scritto, non può essere letto al di fuori del tempo e dello spazio.
I legami dai segni terreni svaniscono nell'etere.
Tutto ciò che rimane è il viaggio, il viaggio nell'altro lato,
Dove coraggio, credo, comprensione non servono più.
Tutto quello che c'é, sei tu.
Tutto quello che sei, è.
Tu in passato hai molto curato la comunicazione: sei stato un antesignano dell'uso del Web, per esempio. Quella sulla sud, invece, è stata una salita assolutamente non mediatica. Tanto che a 11 giorni dalla tua cima non si sapevano ancora i particolari... è stata una scelta? E se sì perché?
Circa 11 giorni… Dopo la salita, a Kathmandu ho dato il mio report a Elizabeth Hawley e Richard Salisbury, per il loro database delle salite Himalayane. Ma quando sono tornato a casa, per prima cosa volevo trascorrere del tempo con le persone che amo. I miei figli, la mia ragazza, i parenti e gli amici.
Negli ultimi 20 anni, da quando l'alpinismo è diventato il mio modo di vivere, sono stato in tanti posti e ho partecipato a tante spedizioni. Tre volte sono stato seguito direttamente dalle videocamere... Tutto quello che faccio nella mia vita, lo decido per me stesso. Senza pressione, senza alcun suggerimento. Quindi me ne assumo la piena responsabilità e i vantaggi. Abbiamo tutti la possibilità di scegliere. Di vivere e di far vivere, come dicono i buddhisti. Forse non si sa, ma per esempio anche nel novembre 2006 sono stato in Himalaya. Ho salito il Mera peak (6476m) in poche ore, e dopo un paio di giorni abbiamo salito in giornata anche il Baruntse (7220m) lungo la parete nord e la cresta ovest. E' stata una scalata per l'anima, e mi è piaciuta. Mi ha fatto sentire bene. Nel Dicembre 2006 ero ancora in Himalaya a fare un trekking con mio padre di 76 anni, mio figlio Tomaz di 11 anni e mia figlia Ursa di 15 anni. E mi sono sentito ancora meglio.
Con questa salita hai voluto dimostrare qualcosa a qualcuno?
Innanzi tutto ho voluto farla per la mia anima. Poi non avrei detto di sì a questa intervista se non avessi voluto comunicare la salita.
L'incidente mentre lavoravi sul tetto della tua casa, poi l'Aconcagua, e ancora la disavventura sul Nanga Parbat... in questi anni com'è cambiato il tuo modo di vedere e praticare l'alpinismo
Ho imparato che non è importante quante volte cadi, ma che ci si può sempre rialzare, andare avanti e guardare verso il futuro. Ogni salita è una storia a sé. Da ciascuna torni cambiato. Cresce la consapevolezza, questa è la cosa più importante. E se ti diverti ad ogni viaggio, allora non ce più nulla da aggiungere.
Molte volte hai affermato l'importanza della mente quando si affronta una via e un progetto alpinistico. Come definiresti il tuo alpinismo, o meglio qual è l'alpinismo che ti piace, e dove trovi la forza per farlo
Credo che la forza interiore sia più importante di quella fisica. Perché oggi viviamo i pensieri di ieri. Pensa, credi, ringrazia in anticipo e il futuro arriverà da solo.
Cosa ti auguri per il tuo futuro?
Mi auguro di rimanere sempre vicino alle montagne.
E per l'alpinismo e gli alpinisti?
Negli ultimi anni ho scoperto che ci sono due modi per fare alpinismo estremo. I puristi presentano a tutti il loro stile come l'unico. Giudicano ogni passo diverso come una deviazione. Se sei un passo dietro a loro, ti giudicano come inferiore, debole, come un alpinista-trekker. Se osi fare un passo in avanti rispetto a questo “stile puro” ti giudicano come ambizioso, troppo populista, troppo spirituale o troppo irresponsabile...
Per non essere frainteso: non c'è niente di sbagliato nello stile puro, se davvero si seguono le proprie regole... ma diventa un problema quando i puristi usufruiscono di benefici commerciali, in quel momento il loro spirito muore e nasce un (compromesso) ermafrodita.
Dall'altro lato dello specchio del purismo c'è lo "stile del violentare". A questi non importa molto di eventuali opinioni, dell'etica, della natura. Lo fanno per raggiungere l'obiettivo, la cima, il successo... Loro usano tutti i mezzi. Assomiglia più allo stile militare e non a quello che definivamo il “vecchio classico stile himalayano”. Per esempio, se non riescono a salire la parete con 10 persone, arrivano con 20. Se ancora non basta aumentano i numeri, non solo gli alpinisti, ma anche le bombole d'ossigeno, i chilometri di corde, i campi pesanti e le tonnellate e tonnellate di attrezzature. Che ne è dell'ambiente, dell'etica, del rispetto per la natura?
Il mio punto di vista su questi due modi estremi di intendere l'alpinismo è che entrambi questi stili non sono in armonia con il momento che stiamo vivendo adesso. Se mettessimo più attenzione alle nostre salite, invece di lamentarci tutto il tempo di quelle degli altri, probabilmente sarebbe meglio per tutti. Non so se questo sia soltanto il mio modo personale di vedere le cose. Ma se questi due modi di fare d'alpinismo continuano ad aumentare e a competere, manipolando ogni altra cosa, allora si arriverà a quello che Tiziano Terzani ha scritto nel suo libro “Lettere contro la guerra”: “È un vecchio detto che in tutte le guerre la verità è la prima a morire”.
Nell'intervista che leggerete, Tomaz non entra nel merito di quest'ultimo particolare: per i dettagli sulla salita rimanda al suo report già pubblicato su PlanetMountain. Del resto è chiaro (come affermato anche su Alpinist.com) che se la precedente via era così "misteriosa" lui non poteva averne conoscenza. Ma non sono questi dettagli, appunto, che interessano a Tomaz: "Ho fatto una salita per la mia anima", ci ha più volte ripetuto. E' questo che gli interessa di più. E sinceramente, pur dando importanza ai dati statistici - per la verità sempre più difficili da verificare, sembra anche a noi che le motivazioni profonde di una salita siano essenziali per tentare di avvicinarsi al cuore dell'alpinismo.
Allora Tomaz... come stai, sei "uscito" (con la testa) dalla grande parete?
Dopo la salita mi sentivo molto tranquillo. Sto molto bene, ma è difficile percepire le stesse emozioni quando si ritorna nel mondo piatto… tutto è completamente diverso. Qui ciò che diventa più importante sono i numeri, le statistiche, le scadenze da rispettare... tutto ciò sembra più importante che l'anima stessa della salita.
Com'è nato il challenge sulla parete sud dell'Annapurna e cosa ti ha ispirato?
E' arrivato come una scintilla. Ho semplicemente seguito il mio istinto. E i pensieri sono diventati fatti...
Puoi descriverci nelle linee essenziali gli step della salita, i tempi e i "modi" (stile, linea, punto di arrivo, discesa)?
Le cose essenziali sono già menzionate nel report che avete già pubblicato.
Le difficoltà incontrate e i momenti più difficili
La cosa veramente difficile è stata attendere per un mese il bel tempo. Pioveva o nevicava, sempre. Aspettavo un'unica possibilità. Non a caso con gli altri componenti del Team, il Dr. Anda Perdan e Jagat Limbu, abbiamo chiamato questa spedizione la “spedizione della pazienza.” La cosa più complicata è stata la ricerca della strada giusta attraverso il pilastro di roccia e il labirinto dei crepacci nella parte inferiore della via, fino alla piattaforma dove io e Jagat abbiamo stabilito il nostro primo bivacco a 5800m. Dopo questo primo bivacco, la salita non è stata così difficile dal punto di vista tecnico. Certamente è stato più “lungo” il viaggio dentro me stesso. Credo anche che questa sia una delle salite più sicure in assoluto dell'Annapurna.
Non so esattamente quanto sia lunga la cresta fino alla cima est. Per la maggior parte l'ho percorsa dalle 8 alle 10.00 del mattino: sono stato abbastanza veloce anche se il vento mi colpiva direttamente sul petto. Invece, a causa dei lastroni di ghiaccio, l'ultima parte della cresta mi ha impegnato per molto tempo, per circa 5 ore. Poi, quando soffiava il vento forte dovevo sdraiarmi per terra per evitare di volare giù; e mi muovevo soltanto quando s'abbassava d'intensità.
In discesa sono stato sorpreso dalla notte e le pile della mia frontale hanno smesso di funzionare. Il liquido nel mio camelbag, anche se protetto all'interno del piumino, si era congelato un'ora dopo la partenza dal bivacco; e non mangiavo né bevevo dalle 5 di mattina. Sulla cresta ho aspettato la luce della luna, poi ho iniziato a scendere. Prima ho perso le mie tracce, poi sono sceso su ghiaccio duro e delicato… ho trovato il mio bivacco alle 8 e 25 della sera.
I rischi e la difficoltà della sud... era come te la aspettavi?
Credo che un alpinismo senza rischi non esista. Ripeto: la zona del ghiacciaio è stata molto più complicata di quello che mi aspettavo, come d'altronde i pilastri di roccia. Dopo il primo bivacco la salita non è tecnicamente difficile, ma ci sono alcune sezioni di misto e altri pericoli dovuti ai seracchi... tutto sommato però si tratta di una salita sicura.
Se dovessi sintetizzare (e spiegare) l'esperienza appena vissuta a un “non alpinista”, cosa diresti?
Che per me non è soltanto arrampicata. Ma è un gioco per la vita. Un viaggio che faccio per me stesso. Prima di salire ho pensato, meditato e scritto. Ecco I miei pensieri dal campo base:
L'eccitazione è la conseguenza di vibrazioni,
Esse generano un pensiero, e questo si sviluppa in un'idea.
L'idea vive per come viene accolta nel proprio cuore,
Essa dipende dalla nostra onestà, dalla vigilanza della nostra mente, dalla vita stessa.
Quando ci arrendiamo all'idea, non ci sono più barriere, esiste solo la Via.
Ciò in cui si crede, il coraggio, la comprensione ci aiutano a raggiungere l'altare del sacrificio.
Per vivere una parte di unità ci devono essere molti e molti Noi.
Quello che viene non può essere scritto, non può essere letto al di fuori del tempo e dello spazio.
I legami dai segni terreni svaniscono nell'etere.
Tutto ciò che rimane è il viaggio, il viaggio nell'altro lato,
Dove coraggio, credo, comprensione non servono più.
Tutto quello che c'é, sei tu.
Tutto quello che sei, è.
Tu in passato hai molto curato la comunicazione: sei stato un antesignano dell'uso del Web, per esempio. Quella sulla sud, invece, è stata una salita assolutamente non mediatica. Tanto che a 11 giorni dalla tua cima non si sapevano ancora i particolari... è stata una scelta? E se sì perché?
Circa 11 giorni… Dopo la salita, a Kathmandu ho dato il mio report a Elizabeth Hawley e Richard Salisbury, per il loro database delle salite Himalayane. Ma quando sono tornato a casa, per prima cosa volevo trascorrere del tempo con le persone che amo. I miei figli, la mia ragazza, i parenti e gli amici.
Negli ultimi 20 anni, da quando l'alpinismo è diventato il mio modo di vivere, sono stato in tanti posti e ho partecipato a tante spedizioni. Tre volte sono stato seguito direttamente dalle videocamere... Tutto quello che faccio nella mia vita, lo decido per me stesso. Senza pressione, senza alcun suggerimento. Quindi me ne assumo la piena responsabilità e i vantaggi. Abbiamo tutti la possibilità di scegliere. Di vivere e di far vivere, come dicono i buddhisti. Forse non si sa, ma per esempio anche nel novembre 2006 sono stato in Himalaya. Ho salito il Mera peak (6476m) in poche ore, e dopo un paio di giorni abbiamo salito in giornata anche il Baruntse (7220m) lungo la parete nord e la cresta ovest. E' stata una scalata per l'anima, e mi è piaciuta. Mi ha fatto sentire bene. Nel Dicembre 2006 ero ancora in Himalaya a fare un trekking con mio padre di 76 anni, mio figlio Tomaz di 11 anni e mia figlia Ursa di 15 anni. E mi sono sentito ancora meglio.
Con questa salita hai voluto dimostrare qualcosa a qualcuno?
Innanzi tutto ho voluto farla per la mia anima. Poi non avrei detto di sì a questa intervista se non avessi voluto comunicare la salita.
L'incidente mentre lavoravi sul tetto della tua casa, poi l'Aconcagua, e ancora la disavventura sul Nanga Parbat... in questi anni com'è cambiato il tuo modo di vedere e praticare l'alpinismo
Ho imparato che non è importante quante volte cadi, ma che ci si può sempre rialzare, andare avanti e guardare verso il futuro. Ogni salita è una storia a sé. Da ciascuna torni cambiato. Cresce la consapevolezza, questa è la cosa più importante. E se ti diverti ad ogni viaggio, allora non ce più nulla da aggiungere.
Molte volte hai affermato l'importanza della mente quando si affronta una via e un progetto alpinistico. Come definiresti il tuo alpinismo, o meglio qual è l'alpinismo che ti piace, e dove trovi la forza per farlo
Credo che la forza interiore sia più importante di quella fisica. Perché oggi viviamo i pensieri di ieri. Pensa, credi, ringrazia in anticipo e il futuro arriverà da solo.
Cosa ti auguri per il tuo futuro?
Mi auguro di rimanere sempre vicino alle montagne.
E per l'alpinismo e gli alpinisti?
Negli ultimi anni ho scoperto che ci sono due modi per fare alpinismo estremo. I puristi presentano a tutti il loro stile come l'unico. Giudicano ogni passo diverso come una deviazione. Se sei un passo dietro a loro, ti giudicano come inferiore, debole, come un alpinista-trekker. Se osi fare un passo in avanti rispetto a questo “stile puro” ti giudicano come ambizioso, troppo populista, troppo spirituale o troppo irresponsabile...
Per non essere frainteso: non c'è niente di sbagliato nello stile puro, se davvero si seguono le proprie regole... ma diventa un problema quando i puristi usufruiscono di benefici commerciali, in quel momento il loro spirito muore e nasce un (compromesso) ermafrodita.
Dall'altro lato dello specchio del purismo c'è lo "stile del violentare". A questi non importa molto di eventuali opinioni, dell'etica, della natura. Lo fanno per raggiungere l'obiettivo, la cima, il successo... Loro usano tutti i mezzi. Assomiglia più allo stile militare e non a quello che definivamo il “vecchio classico stile himalayano”. Per esempio, se non riescono a salire la parete con 10 persone, arrivano con 20. Se ancora non basta aumentano i numeri, non solo gli alpinisti, ma anche le bombole d'ossigeno, i chilometri di corde, i campi pesanti e le tonnellate e tonnellate di attrezzature. Che ne è dell'ambiente, dell'etica, del rispetto per la natura?
Il mio punto di vista su questi due modi estremi di intendere l'alpinismo è che entrambi questi stili non sono in armonia con il momento che stiamo vivendo adesso. Se mettessimo più attenzione alle nostre salite, invece di lamentarci tutto il tempo di quelle degli altri, probabilmente sarebbe meglio per tutti. Non so se questo sia soltanto il mio modo personale di vedere le cose. Ma se questi due modi di fare d'alpinismo continuano ad aumentare e a competere, manipolando ogni altra cosa, allora si arriverà a quello che Tiziano Terzani ha scritto nel suo libro “Lettere contro la guerra”: “È un vecchio detto che in tutte le guerre la verità è la prima a morire”.
Note: Alcune salite di Tomasz Humar
2005 - Cholatse (6.440 m)
2003 - Aconcagua (6.960 m) parete sud
2002 - Shishapangma (8.026 m) parete NO
1999 - Dhaulagiri I (8.167 m) parete nord
1999 - Dhaulagiri I (8.167 m) parete sud
1998 - El Capitan "Reticent wall"
1997 - Pumori (7.165 m) parete sud est
1997 - Labouche east (6.119 m) parete NO
1996 - Ama Dablam parete nord est
1996 - Bobaye (6.808 m) parete nord ovest
1996 - Nuptse W2 (7.742 m) parete ovest
1994 - Ganesh V (6.986 m) parete sud est
1994 - Annapurna (8.091 m) parete nord
2005 - Cholatse (6.440 m)
2003 - Aconcagua (6.960 m) parete sud
2002 - Shishapangma (8.026 m) parete NO
1999 - Dhaulagiri I (8.167 m) parete nord
1999 - Dhaulagiri I (8.167 m) parete sud
1998 - El Capitan "Reticent wall"
1997 - Pumori (7.165 m) parete sud est
1997 - Labouche east (6.119 m) parete NO
1996 - Ama Dablam parete nord est
1996 - Bobaye (6.808 m) parete nord ovest
1996 - Nuptse W2 (7.742 m) parete ovest
1994 - Ganesh V (6.986 m) parete sud est
1994 - Annapurna (8.091 m) parete nord
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