Take the long way home, nuova via nell’Isola di Baffin, Canada di Robert Jasper, Stefan Glowacz & Co
I due climber tedeschi Stefan Glowacz e Robert Jasper, accompagnati dal fotografo Klaus Fengler e i cameramen Holger Heuber e Mariusz Hoffman hanno effettuato la prima salita di "Take the long way home" (700m, 21 tiri, A4 10-) su una parete remota sull'isola di Baffin, Canada.
Il team ha lasciato Pond Inlet e la civilizzazione a fine aprile e si è avventurato verso nord in territorio poco conosciuto in cerca della loro parete da sogno. Con l'aiuto dei cacciatori Inuit e le loro motoslitte i cinque hanno esplorato la regione e, avendo solo l'imbarazzo della scelta, hanno finalmente optato per una linea molto evidente su una parete granitica da loro chiamata "The Bastion" situata nelle vicinanze del Buchan Gulf. Ansiosi per il lungo ritorno che li attendeva hanno subito iniziato la via, arrampicando con temperature al di sotto dello zero e con qualsiasi condizioni meteo. Con un mix di arrampicata libera e artificiale il team ha superato la prima parte, per poi salire la "liscia parete divisa a metà da un unico sistema di fessure, in poche parole: una linea perfetta."
Il team ha fissato una serie di corde per agevolare sia la salita sia le riprese e ha trascorso 12 giorni sulla via, di cui 3 notti nei portaledges. Il modo in cui Glowacz descrive la via nel suo diario la dice lunga sull’impegno globale del tutto, soprattutto se si considera la sua lunghissima esperienza: "nessuno di noi è mai salito in una situazione cosi esposta. Vediamo di fronte a noi gli iceberg e il mare aperto che si allunga fino alla Groenlandia. Dobbiamo ancora abituarci a questa roccia. Lame che sembrano essere sicure si rompono senza preavviso. Il grande sbalzo di temperature ci rende difficoltosa l'interpretazione della qualità della roccia. Dobbiamo essere estremamente attenti. Un incidente qui avrebbe conseguenze serie."
La spedizione ha raggiunto la cima l’11 maggio ma come sempre il punto più alto rappresentava solo la metà dell'impresa: il ritorno alla civiltà infatti ha li ha poi impegnati altri 15 giorni ed è stato effettuato a piedi, con gli sci e, vento permettendo, con i kite. Il 2 giugno il quintetto ha finalmente raggiunto la sicurezza di Clyde River dopo avere attraversato 350 km di terreno aperto.
Glowacz non è nuovo a questo tipo di imprese sulle big wall dell’Aartico: nell’agosto del 2000, sempre nell’Isola di Baffin Island, ha realizzato la prima salita di "Odyssey 2000" sul Polar Bear Spire, assieme a Kurt Albert, Holger Hember e il fotografo Gerd Heidorn. Nel 2005 invece Glowacz e Robert Jasper hanno coronato un sogno che durava da tre anni, salendo "Vom Winde verweht" sul pilastro nord del Murallón in Patagonia.
Intervista a Robert Jasper sull’esperienza di Take the long way home
Take the long way home era la tua prima esperienza nell’Isola di Baffin, ma l'anno scorso sei andato ancora più al nord, allo Spitzbergen, a soli1500km dal Polo nord. Cosa di ricordi di questa spedizione?
Nello Spitzbergen il freddo era costante. Nella nostra tenda al campo base la temperatura arrivava a -29°C, in parete invece è scesa fino a circa -35°C. Al contrario della maggior parte dei posti dove ti puoi fidare di un buon campo base, la vita qui è abbastanza dura. Ero li con alcuni amici sloveni e il mio compagno di cordata svizzero Markus Stofer e abbiamo arrampicato in stile alpino divisi in squadre di 2 persone. Abbiamo salito vie nuove su pareti remote alte fino a 900m di altezza e con difficoltà fino a M7+. Era così freddo che abbiamo salito quasi tutte le vie slegati per muoverci e scaldarci, legandoci solo sui tiri più duri.
Lo Spitzbergen ti ha preparato per Baffin?
Il freddo ci ha messo alla prova allo Spitzbergen e questo mi ha preparato molto per l’Isola di Baffin. Ma per me il fattore più importante è quello mentale - se sai che riesci a sopportare un freddo così intenso, allora hai già la chiave del successo in mano. Non devi avere paura del freddo, devi accettarlo e assecondare la natura: devi imparare ad amarla e il tutto funziona sorprendentemente bene. Se riesci a farlo, allora vivi delle sensazioni fantastiche. Lo Spitzbergen mi ha ovviamente anche aiutato a migliorare la mia attrezzatura e l'esperienza ha aiutato tutto il nostro team all’Isola di Baffin.
Qual è stato l'aspetto più difficile della spedizione? La via stessa o il lungo rientro alla civiltà?
La via è stata molto difficile. Ma noi siamo arrampicatori, siamo abituati a queste difficoltà, sapevamo che sarebbe stato così e ci siamo allenati molto prima di partire. Ma nonostante tutto abbiamo vissuto dei momenti difficili e anche pericolosi: sul tiro di A4 per esempio due cliff sono stati strappati da un volo, ma come per miracolo il terzo cliff ha trattenuto la caduta - siamo stati estremamente fortunati. Il ritorno con i nostri Pulkas, 100kg ciascuno, attraverso 350 km di ghiacciaio e mare ghiacciato ci ha messo alla prova. Eravamo molto esposti alle tempeste e l'orizzonte senza fine appariva molto deprimente, specialmente perché di giorno in giorni avanzi davvero molto lentamente. E' stato un gioco di nervi ed è sicuramente stato un’esperienza nuova per me.
Spesso queste spedizioni vengono definite "leali". Come interpreti questa espressione: "by fair means"?
Personalmente non mi piace molto utilizzare questa espressione, tutti sanno che dipende molto da come la definisci all’origine. "Completamente leale" significherebbe nuotare da qui e poi salire nudo senza attrezzatura, ma questo non è realistico, vero? Nelle mie spedizioni cerco di ridurre l'impatto tecnico il più possibile. Meno aiuto tecnico implica più impegno e sacrifici personali, che alla fine si traducono in un'esperienza personale maggiore, che è quello che cerco. La mia spedizione ideale è in stile alpino, con piccoli team, limitando al minimo possibile l’impiego di corde fisse e spit, e salire idealmente in arrampicata libera su roccia e ghiaccio per creare una grande avventura.
La nostra spedizione sull'isola di Baffin è stata seguita da un progetto per realizzare un film. Il progetto era interessante ma anche complicato e personalmente ho dovuto scendere a numerosi compromessi. Abbiamo dovuto fissare molte corde, senza le quali sarebbe stato impossibile fare delle riprese professionali. Avevamo a disposizione un numero limitato di giorni in parete e abbiamo arrampicato per 12 giorni, anche con tempo brutto siccome dovevamo ancora affrontare il rientro. I nostri 5 giorni di seguito nei portaledges sono stati un’esperienza bellissima e siamo stati molto fortunati con il tempo. Spero davvero che il film riesca a riprodurre qualcosa di autentico. L’importante per me è che la salita e le nostre esperienze vengano trasmesse in maniera veritiera, naturale. Se riusciremo a trasmettere il fascino per la natura, il sogno dell'avventura, la sopravvivenza e il credere in una cima personale, allora lo sforzo sarà valso la pena.
Si possono fare le cose in maniera ancora più "leale"?
Se siamo completamente onesti con noi stessi, allora credo di sì. Ma è anche importante capire l'intento di ciascuna spedizione. Stile alpino puro oppure stile russo per le spedizioni - siamo tutti liberi di fare quello in cui crediamo. Alla fine però bisogna essere molto chiari su quello che è stato fatto e con quale stile. Questo è l'approccio più onesto di tutti.
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