Spedizione femminile K2-70: Alessandro Filippini risponde ad Anna Torretta
Caro direttore,
consentimi il diritto di risposta a quanto scritto da Anna Torretta. Credo mi spetti per il semplice e incontestabile fatto che la stessa Torretta, affermata e apprezzata guida alpina di Courmayeur, è proprio a me che si rivolge, anche se lo conferma solamente all’ultimo capoverso.
Vedo che, purtroppo, non ha capito il significato dei miei “arcaici e roboanti aggettivi” riferiti alla spedizione “femminile” al K2.
Prima di tutto, Torretta dovrebbe darmi atto di non aver scritto “con il senno del poi”, visto che ho cominciato fin dalla presentazione a criticare la spedizione per come era stata ideata e giustificata. E l’ho fatto prima ancora di scoprire che – come ammesso dal presidente Montani ad Auronzo – non era nemmeno stata organizzata dal Cai. Si trattava invece soltanto di una iniziativa che il Cai ha deciso di finanziare, peraltro “lautamente”, e con l’unica richiesta di aggregare Federica Mingolla alle alpiniste scelte da Agostino Da Polenza, promotore della spedizione stessa.
Il presidente Montani ha ben spiegato, sempre in occasione della serata di Auronzo, organizzata in tempi “non sospettabili” da Luca Calvi, quali sono le attese ricadute positive che hanno spinto il Cai ad finanziare la suddetta spedizione. Il che però lascia intatte le motivazioni delle mie critiche.
Non ho scritto che la spedizione al K2 (“commemorativa” nei fatti solamente grazie alla stessa Torretta, che ha ricordato il povero Mario Puchoz recandosi al Memorial intitolato a lui e allo statunitense Art Gilkey e deponendovi una targa a nome della Società Guide Alpine di Courmayeur e dell’Associazione Amici delle Guide alpine di Courmayeur) è stata anacronistica perché si trattava di una spedizione commerciale. Bensì perché è stata presentata come una spedizione nazionale, con tanto di bandiera da portare in vetta (cosa peraltro fatta da un portatore d’alta quota pakistano). Una spedizione “pesante”, come dimostrato dai costi spropositati. Torretta, che spedizioni ne ha fatte, sa meglio di me che quattro alpiniste italiane potevano andare a tentare una salita del K2 in autonomia, anche se sulle corde fisse posizionate da Sherpa e HAPs, spendendo un decimo di quanto il Cai ha stanziato effettivamente per finanziare la spedizione.
Se e quando ho fatto riferimento alle spedizioni commerciali, è stato per specificare che la spedizione “femminile”, camuffata nella comunicazione da spedizione nazionale, in niente differiva da quelle che affollano le vie normali degli Ottomila, giacché comprendeva portatori e anche alpinisti.
Concordo con Torretta su quanto credo che le stia più a cuore: ben vengano tutte le iniziative “al femminile”. Ma ideate, proposte, organizzate e realizzate dalle donne, come al K2 già provò a fare più di 40 anni fa l’indimenticata Wanda Rutkiewicz. Che le donne siano dunque protagoniste in tutto e non “prescelte” da uomini. Come ho fatto notare ad Auronzo, in questo è stata decisamente più moderna la spedizione del 1954, che è stata commemorata così malamente (parere personale, ovvio): Ardito Desio e il Cai di allora organizzarono una selezione fra le candidature, che erano state sollecitate e che erano arrivate numerose. Selezione dall’esito discusso e discutibile, ma molto più moderna di una decisione caduta dall’alto su quattro donne alpiniste e per questo, a mio parere, decisione maschilista, visto che è stata presa da uomini.
Per quel che riguarda il numero delle partecipanti, 10 (su più di 20, se ho contato bene…) è cifra che sicuramente colpisce. Peccato che delle 4 pakistane (incluse con decisione neocolonialista, in quanto specchietto per le allodole come dimostrato dai fatti) una sarebbe salita con l’aiuto di un’altra spedizione e le altre tre non erano in grado di affrontare il K2. La prima è stata male subito, sfortunatamente, e di un’altra non è mai stato spiegato ufficialmente cosa le sia capitato.
Anacronistica, maschilista, neocolonialista: non mi sembrano aggettivo roboanti. Certamente non sono arcaici.
Io credo fermamente che le alpiniste italiane siano in grado di fare molto di meglio. Come peraltro hanno già dimostrato sia Tamara Lunger nel 2014 salendo il K2 in autonomia (e ovviamente senza ossigeno supplementare) sia, ancora prima, Nives Meroi, in vetta nel 2006 con Romano Benet totalmente soli: non soltanto lì, ma sulla intera via (a scanso di equivoci ribadisco: senza ossigeno supplementare e in totale autonomia). Mi auguro di avere presto altre conferme che le alpiniste italiane sanno fare da sole.
Alessandro Filippini