Serendipity dei fratelli Geremia alla Torre di Mezzaluna in Vallaccia, Dolomiti

Il doppio report dei fratelli Enrico e Nicolò Geremia che alla Torre di Mezzaluna, in Vallaccia, hanno aperto Serendipity. La via di 350 metri affronta difficoltà fino al 7c+ con ‘tiri strepitosi su roccia che difficilmente si può immaginare nelle Dolomiti.’
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Serendipity alla Torre di Mezzaluna in Vallaccia (Dolomiti) di Enrico Geremia e Nicolò Geremia
Enrico Geremia / Nicolò Geremia

I nostri sogni e visioni nascono durante l'apertura della Via dei Balotini, da dentro una grotta nella Torre Argentina nell'attesa che smetta di piovere. Abbiamo così tutto il tempo per osservare e immaginare una possibile linea nella Torre di Mezzaluna. Fantastico la linea, perfetta come il tao, serpeggiante tra il giallo e il grigio, condivido i miei voli pindalici con Enrico, che razionalmente mi riporta alla realtà cercando di perseguire il possibile senza cercare di incastrarsi in cose impossibili. Ma quando sogni, è difficile smettere di credere che sia possibile.

Dopo 2 anni torniamo, avevamo già aperto due tiri e mezzo, belli agguerriti con il brutto tempo per una settimana, continuiamo nell'apertura fino ad incrociare la sosta di una via nata in questi due anni che obliqua per la parete. Siamo demoralizzati per la linea che ci sembra vada a rubare la parte alta che avevamo deciso insieme, ma dentro di me sono contentissimo, forse ora riuscirò a convincere il fratellone a seguire la linea dell'immaginario, la linea del tao.

Enrico mi dice potremo non trovare prese per passare, e allora... faremo tanti voli; rimane così come unica opzione seguire quello che sembra estremo o forse impossibile. Attacchiamo convinti e la convinzione si fa sempre più forte nel momento in cui troviamo le prese, ed ogni volta il modo di passare in sezioni di roccia da urlo.

Tra caldi torridi da pianura padana, grandinate, pioggia e neve (tutto a giugno) proseguiamo gasati ad aprire. Ci sarà un altro piccolo equivoco durante l'apertura dell'ultimo tiro duro; Enrico esce dalla linea che avevo immaginato ed il muso che si disegna nella mia faccia rimane negli annali delle musagne, ma tra brontolii e bocche storte e qualche bacino convinco mio fratello e continuare il tiro dove sembrava certo più duro ma anche più bello. A rischio di una caviglia finisce di aprire l'ultimo tiro duro ma soprattutto uno dei tiri più belli che abbia mai visto, una sagra del monodito. Proseguiranno altri due tiri facili, scapperemo per il temporale e torneremo a completarla con il posizionamento dello spit finale.

Per me questa via significa tante cose, significa inseguire sempre i propri sogni e visioni, significa che se troviamo un ostacolo di fronte a noi non bisogna sbatterci il muso ma aggirarlo, e che molto spesso a quanto pare i colpi di fortuna sono portati dal fato, da un fato plasmato a nostro piacimento.

Serendipity il nome di una via combattuta tra me e Enrico, anche per il nome, ma siamo sicuri che piacerà a tutti coloro che andranno a ripeterla. La via la dedichiamo allo scorrere della vita, agli amori perduti e ritrovati, ma soprattutto all'invincibile forza della famiglia. Che la dea della randa sia con voi!

By Nicolò Geremia


NAMELESS ROUTE OVVERO SERENDIPITY by Enrico Geremia

"Nameless route"… alla fine è una specie di nome anche questo. Non ci veniva in mente altro di comune accordo. Non è facile dare un nome ad una via. Può accadere di trovare un evento particolare che ispira tutti gli apritori ma se non c’è? E se tutti gli episodi di apertura sono particolari? Alla fine rimane senza un nome per molto tempo!

Ecco che, dopo ormai cinque anni dal primo giorno di apertura, facendo un po’ di ordine nel materiale fotografico, riesumo una foto che posto in faccialibro e mi tornano alla mente quei momenti in compagnia del mio fratellino.

Anche durante l’avvicinamento? Ma non è possibile! Ho già sentito questa sensazione miliardi di volte, ma durante un avvicinamento di solito noo! Di solito si brucia, di solito ci si scalda! Ma quanto freddo faaaa? Lo penso solamente ma so benissimo che Nicolò pensa la stessa cosa! E intanto che cammino mettendo un piede davanti all’altro sono completamente assorto in un pensiero non compiuto, magari per colpa del freddo che mi rallenta le sinapsi già di per sé labili: ci sono solo alcune parole che mi affiorano alla testa: parete nord, durissimaaa, gelo atroce, scarpette, mani e in fondo, ma tanto in fondo ai miei pensieri (e al saccone!), VINOOO!! Dopo la battaglia non potrà certo mancare! Come volete che faccia a mancare il vino in una spedizione dei Balotini?

Ed è così che dopo soli 800 metri di avvicinamento, pensando erroneamente di trovare un ambiente un pò più soleggiato, abbiamo deciso di spostare le nostre attenzioni sulla parete di fronte alla torre di Mezzaluna, iniziando l’apertura della via dei Balotini: "parete al sol levante xe freda al sol calante"; "chi di esposizione fallisce di esposizione perisce". Insomma dopo nemmeno un’ora, infatti, il sole ci ha abbandonati alla nostra glaciazione ma, questa è un’altra storia….

Ci sono voluti ben quattro mezze giornate di pioggia intermittente per terminare la Via Dei Balotini e il giorno dopo la conquista della cima della Torre Argentina ci siamo lanciati nell’apertura della "LINEA"! Una strepitosa elegante colata grigio nera con rare formazioni di taglienti lame di roccia, cannette accennate e buchi butterati a gocce, che già al sol pensiero ci facevano presagire il dolore ma allo stesso tempo il piacere di poterle stringere per la prima volta in un viaggio, in una avventura unica ed ineguagliabile. A tratti sembrava azzurra, liscia e talmente compatta da non lasciarci immaginare alcuna possibilità di passaggio; ma alla fine era ed è proprio quello che cerchiamo: una sensazione mistica di angoscia, di nodo alla gola, di fremito nervoso e di eccitamento da sfida placato quasi istantaneamente da un timore reverenziale. Basta uno sguardo al compagno di cordata e ci siamo, tutte queste sensazioni si trasformano in pura determinazione.

Ancora prima di prepararci siamo concordi su una cosa: faremo utilizzo solo di "spit" come protezioni. Sostanzialmente una via sportiva ma in montagna, in modo da poterla ripetere solo con un bel mazzetto di rinvii attaccati all’imbrago. Spesso cadiamo nell’errore e ci lasciamo trasportare dallo stile tradizionale/classico e quello che ne vien fuori è una via un po’ più dolce che segue linee più facili e proteggibili, a scapito, a volte, della bellezza della roccia e dell’arrampicata. Sicuramente si può azzardare, spingendo al limite il grado, ma il problema è proprio questo limite che in un’apertura dal basso è un’ incognita: la tanto agognata e allo stesso tempo temuta sfida dell’ignoto. Alla fine è quello che cerchiamo tutte le volte però appena si alza troppo l’asticella e ci si spinge oltre, ecco che il passaggio è fuori dalla nostra portata oppure è impossibile fermarsi su cliff. La soluzione più facile in questo caso sarebbe un banale artificiale ma sinceramente non è nel nostro stile e cerchiamo di evitarlo fin dall’inizio, sin dalla definizione della linea dal basso che inevitabilmente subisce variazioni in itinere.

I primi due tiri vanno via lisci. La roccia si presta bene ad una facile arrampicata dapprima in placca e poi su un verticale a buchi discreti, che fortunatamente è già quasi attrezzato a clessidrine discrete. Le difficoltà ovviamente non si fanno attendere troppo, infatti, il terzo tiro ci dà del filo da torcere già dopo qualche spit e, dopo qualche tentativo, ci blocchiamo al primo "boulder". Siamo a fine giornata e a fine braccia, torneremo più carichi. Ci caliamo contenti ed eccitati dei tiri aperti. Purtroppo sappiamo già che le prossime giornate disponibili non arriveranno a breve, infatti "solo" dopo due anni torniamo a metterci le mani.

Ed eccoci di nuovo carichi come i muli un’ennesima volta nel nostro affezionatissimo avvicinamento che mi par sempre più lungo, talmente lungo che quasi quasi lo vorrei chiamare allontanamento. Come al solito non lo prendiamo con calma e dopo circa un ora e mezza ci troviamo discretamente devastati all’attacco della nostra linea. Notiamo con disappunto e rabbia che al di sopra della sezione nero grigia che dobbiamo ancora aprire sembrano esserci delle corde fisse… un’altra via? Molto probabile… ma magari ci sbagliamo, vorremmo sbagliarci. Colpa nostra, abbiamo aspettato troppo. L’autocommiserazione non ci pervade per molto, troveremo sicuramente un’altra soluzione e con la viva speranza di esserci sbagliati ci prepariamo.

Non abbiamo lasciato corde statiche, troppo lusso per noi, quindi riarrampichiamo i primi tiri ed eccoci di nuovo alle prese con il rebus lasciato in sospeso. Dopo qualche voletto riusciamo a passare ed arriviamo all’inizio di uno dei tiri più belli della via. Valutazione dal basso: "ah non sarà più di 6c!". A posteriori probabilmente non ci avevamo azzeccato, ma sicuramente ne è venuto fuori un tiro superlativo nella sezione più bella della parete, su roccia nera strapiombante con concrezioni a foglia talmente esili da aver paura a tirarle. La gioia e la soddisfazione lasciano ben presto posto al rammarico di aver visto giusto: raggiungiamo proprio in una sosta a spit di un’altra via che sale dagli strapiombi gialli in basso a destra e occupa quello che sarebbe stata la nostra linea originale.

Che si fa? Nicolò con un sorriso mistico carico di eccitazione e follia, non ha un attimo di esitazione e…"beh andiamo di là!" indicando una linea a dir poco futuristica e, come si dice…proprio incazzata dura! Io intanto penos: "ecco come mettere il culo nelle pedate!" Comunque non c’è molto altro da fare tranne che credere in questa possibile linea. L’ingaggio c’è senza ombra di dubbio ma allo stesso tempo aumenta anche il rischio di trovare sezioni per noi inarrampicabili e quindi di incappare in possibili tratti di artificiale. Un bel azzardo che alla fine è stato decisamente ripagato, infatti dopo svariati voli ci regaliamo un tiro di inaspettata bellezza, a cui non manca nulla tacche buchi svasi e traversini tecnici.

La stanchezza si fa sentire e si iniziano ad intravedere le ossa delle falangette fare capolino dalla testa dei polpastrelli purpurei, quindi gettiamo l’ancora e torniamo a casuccia, al Bivacco Zeni, dove l’immancabile bozza di rosso ci distende gli animi mentre la nostra amichevole settimana enigmistica ci tiene compagnia mettendoci alla prova con semplici quesiti. A questo punto siamo proprio cotti a puntino e ci godiamo un beato sonno ristoratore.

Alla mattina non ci facciamo mancare il nostro bel riscaldamento preparatorio all’arrampicata: 60 metri di risalita su mezza corda. Con non poca fatica, voli e carambole riusciamo a raggiungere la sosta dell’ultimo tiro aperto. Mettiamo i primi due spit e... piove! Ci mancava solo questa! Ieri sole da far bistecche alla piastra, e oggi bagnati fradici. Aspettiamo che spiova e ovviamente continuiamo, asciughiamo le scarpette alla meno peggio e speriamo che lo faccia anche la parete.

Voloooo!! Volo lungo… arrivo in braccio a Nicolò, impatto male con la caviglia e sento che qualcosa non va… Non importa, mi tiro su per le corde e provo di nuovo più convito, riesco a passare la sezione. Il tiro è corto ma intenso. Mentre recupero Nicolò la caviglia inizia a dare cenni di cedimento ma di scendere non se ne parla. Apriamo ancora un paio di tiri divertenti ma molto meno severi ed arriviamo alla quasi cima. All’ultimo tiro manca uno spit per essere coerenti con lo stile di via sportiva ma ora è tempo di scendere, torneremo in un secondo momento.

Per quanto si possa pianificare la linea da seguire dal basso, il percorso migliore è spesso un colpo di fortuna che grazie all’audacia e alla determinazione, ti porta alla creazione di tiri che mai si potrebbe immaginare. Ogni tanto quello che può sembrare sfavorevole diventa il motore, diventa la scintilla di un’idea che deve essere cavalcata nel momento più inaspettato.

I fratelli Geremia ringraziano: Wild Climb, Linea Verticale




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