Ricordando Luis Vonmetz
Proviamo prima a destra e poi a sinistra. La relazione è poco chiara, ma è più probabile che siamo noi ad avere le idee confuse.
"Vedo un diedro nero sopra di noi, dici che si passa di là?"
Patrick risponde che secondo la guida bisogna traversare 30 metri a destra. Mah, sono indeciso e ridiscendo alla sosta. Non mi sembra che siamo animati da un grande slancio oggi. Tutto il contrario! Di comune accordo decidiamo di ritirarci, finché siamo in tempo. Succede nelle migliori famiglie, di perdere la retta via… "Der Weg ist das Ziel" – la via è la meta e non la vetta. In questo caso sarà la via del ritorno. Consultiamo il cielo con acritica generosità. Ma non è possibile trovare una nuvola che ci venga in soccorso e possa giustificare lo smacco. Dovremo escogitare un’altra scusa.
Come era prevedibile siamo tornati però! Questa volta la formazione è tuttavia cambiata: Patrick ha ceduto il posto a Stefan, poiché non intende sprecare altre rare giornate di bel tempo. Cambieremo strategia offensiva: buona organizzazione logistica e soprattutto massima decisione!
Risaliamo lo zoccolo come la volta precedente ed anche le prime lunghezze. Ben presto siamo sotto il diedro nero. Senza tentennamenti mi alzo lungo di esso, come se dovessi abbattere un ostacolo. E in effetti bisogna traversare a destra, ma al di sopra di questo diedro. "Può succedere – dico a Stefan un po’ imbarazzato – però dovevamo essere alquanto squinternati quel giorno!"
Luis Vonmetz mi aveva parlato con grande entusiasmo di questa sua via al Burgstall, come i locali chiamano il Monte Castello. Prima di dedicarsi alle attività sociali e promozionali del Alpenverein Südtirol, il suo interesse era rivolto tutto all’arrampicata. Con vari compagni aveva ripetuto numerosi classiche nelle Dolomiti ed ogni tanto gli riusciva anche qualche prima ascensione. Quella più conosciuta è il pilastro Sud-Ovest della Marmolada, tracciata in cordata con Reinhold Messner, Jörgl Mayr e Jochen Gruber nel 1973.
È un attento osservatore, tanto da scrivere: "Ho sempre cercato di trovare un parallelo tra lo stile di arrampicata di un uomo e il suo modo di comportarsi nella vita e ho trovato questa affinità. Nel loro modo di arrampicare gli alpinisti esprimono il loro temperamento e il loro atteggiamento verso la vita. Ho conosciuto alpinisti timorosi, timorosi anche nella loro professione. L’alpinista impetuoso che in montagna rischia tutto, anche nella vita è un cieco amante del rischio, molto spesso a suo svantaggio. Poi ci sono i saggi, che sanno fino a che punto possono spingersi. Essi sono più numerosi tra le persone più anziane che hanno già raggiunto la loro maturità alpinistica".
Quella volta allo Sciliar si erano trovati in tanti la sera prima al Schlernbödele. Buona parte dei membri della Hochtouristengruppe – il Gruppo Alta Montagna – si era radunata nell’accogliente rifugio, con l’intenzione di festeggiare la chiusura della stagione alpinistica. E festeggiarono fino a tardi, fra chiacchiere, canti, speck e vino rosso. Molto vino rosso!
La mattina seguente il tempo è splendido. I ragazzi si avviano un po’ svogliati: c’è chi va a fare la ‘Glanvell’ a Punta Santner, altri puntano alla ‘Burgstallkante’. Risalendo il canale Luis Vonmetz si ferma ripetutamente. Eh, del resto non si è risparmiato stanotte – pensano gli amici.
E invece Luis era attratto e scrutava la verticale placconata del Monte Castello. Già da diversi anni giocava con il pensiero di tracciarvi una via: un logico percorso in prossimità di quelle vistose colate nere. "Chi vuole venire con me? Tentiamo una nuova via sulla Burgstallwand?"
Sepp Schrott scuote la testa. Le loro condizioni fisiche non sono certo ottimali per un cimento del genere. Martl Koch invece si mostra battagliero: "Io ci sto! Quanti chiodi abbiamo in tutto?" Schrott mise loro a disposizione la sua scorta di chiodi, augurò buona fortuna agli amici, e si avviò con gli altri verso la Punta Santner.
Senza perdere altro tempo Vonmetz e Koch risalirono il canale fino al grande masso incastrato. Cinquecento metri di parete sovrastavano e loro disponevano di pochi chiodi e di non tante ore di luce.
Sulle prime balze arrampicarono ancora slegati, poi fu Vonmetz a condurre la cordata fino sotto il camino terminale. Nella parte centrale, una placca verticale arrestò l’intrepido bolzanino. Non gli riusciva di piantare un chiodo e l’ostacolo sembrava ostico. Infine trovò una minuscola clessidra, tuttavia il foro era troppo piccolo per i cordini di allora. Si aiutò con il sottile spago cui era legato il martello: per attaccarvi la staffa fu sufficiente.
Martl Koch era uomo di polso, per usare un eufemismo. Negli anni Sessanta in Sudtirolo si trovavano diversi manufatti che inneggiavano al regime fascista e ancora facevano bella mostra, malgrado la dittatura fosse caduta nel 1943. Il Duce a cavallo per esempio, che posava imponente all’ingresso della Val Gardena fu "dimesso" soltanto nel ’61. E quando ce n’era bisogno, Martl era sempre disposto a dare una mano.
Giunsero in cima dopo sette ore e mezza d’arrampicata, tutta d’un fiato! Giusto in tempo, poiché in ottobre le giornate sono brevi oramai. La sera al Schlernbödele vennero rinnovati i brindisi: del resto c’era un valido motivo per continuare a festeggiare.
Siamo entusiasti della scalata! Ripide placche di ottima roccia, su cui la via ricerca con abilità il percorso più facile. L’ambiente è severo e al tempo stesso rilassante, con le sottostanti foreste che fanno da sottofondo a questo mirabile castello roccioso.
Usciti come d’incanto dall’ombrosa parete sul vasto prato sommitale, Stefan ed io ci stendiamo sull’erba a fantasticare quali saranno le nostre prossime mete. Sono proprio contento di essere tornato!
Non era un generale di Napoleone che sosteneva: "Essenziale non è vincere una battaglia ma bensì la guerra"?
di Ivo Rabanser