Le Dolomiti di Reinhold Messner. Di Ivo Rabanser

Presentiamo un capitolo del libro di Ivo Rabanser: "Le Dolomiti di Reinhold Messner. Le scalate preferite del leggendario alpinista" (Athesia) in cui si traccia un ritratto di Battista Vinatzer, uno dei più grandi rocciatori e simboli dell'epoca d'oro del VI grado nelle Dolomiti.
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Le Dolomiti di Reinhold Messner. Le scalate preferite del leggendario alpinista" (Athesia) di Ivo Rabanser
archivio I. Rabanser
Dalla prefazione di Reinhold Messner: Ivo Rabanser della Val Gardena, patria di eminenti rocciatori da più di cent`anni, ha come me un approccio «classico» con le crode. Ripetendo le salite «classiche» e molte delle mie vie, egli si immedesima con i primi salitori che hanno dato vita e storia a nuove ascensioni. Ammiro la sua profonda conoscenza della storia dell’alpinismo nelle Dolomiti, così come l’esigenza di penetrare il carattere dei protagonisti di queste prime ascensioni, oltre alla sua arte arrampicatoria. Nessuno meglio di lui può rievocare le loro conquiste, il loro stato d`animo, e rivelarci cosa significano le Dolomiti per i rocciatori. Queste nostre scalate favorite serbavano e serbano un incomparabile potenziale di esperienze e di emozioni, purché non vengano degradate a delle vie preparate. Il modo migliore per riviverle è seguire Ivo Rabanser, che nello spirito dei pionieri, ci aiuta a comprendere il significato di queste avventure.

MUGONI: «UN LUMINOSO DIEDRO GIALLO-ORO» di Ivo Rabanser

«Quello che non deve essere eliminato, se il grande alpinismo vuole sopravvivere, è il concetto dell’abisso» Reinhold Messner

Partenza per l`avventura. «L’arte è morale, a condizione che stimoli e risvegli. Ma cosa avviene se essa stordisce, addormenta, si oppone all’attività ed al progresso? Anche questo può fare la musica e questo sta alla base degli oppiati. Un effetto diabolico, signori miei! L’oppio è del demonio, perché crea apatia, dipendenza, inerzia, stasi servile...»
Come spesso leggendo le opere di Thomas Mann, non potevo fare a meno di approfondirmi in varie considerazioni ed in pensieri complessi. Nel Zauberberg, uno dei grandi romanzi educativi del XX secolo, il giovane Hans Castorp, trovandosi nel mondo ermeticpo di un sanatorio di montagna, parte col pensiero per avventure spirituali, morali e sensuali che prima non si era mai immaginato neppure per sogno. Non succede forse di sperimentare un processo analogo a quello di Hans Castorp anche arrampicando, scalando le crode in uno spazio pericoloso per sua natura, sospesi sull’abisso, in alto sopra al limite del bosco e del mondo civile fondato sulla sicurezza?
Presupposto per un’evoluzione dell’alpinismo è la disponibilità ad integrarsi col mondo arcaico dell’alta montagna, a sbarazzarsi delle molte dipendenze della vita quotidiana pianificata fino all’ultimo dettaglio. Appena nel confronto col pericolo riconquistiamo i nostri istinti sopiti e sommersi ed impariamo nuovamente a convivere con le incognite.
La montagna può fare da medium, da mezzo per risvegliare la coscienza ed affinare le capacità di percezione. Se però la natura selvaggia dei monti viene addomesticata ed adattata all’uomo, allora il confronto perde il suo naturale equilibrio; allora le persone si privano della possibilità di fare quelle esperienze profonde e durevoli che alla fin dei conti sono l’attrattiva principale della «inutile» attività delle ascensioni.

Battista Vinatzer in gioventù era un rocciatore d`eccezione. Segaligno, taciturno e solitario, sapeva come comportarsi con i suoi dubbi e le sue ansie, e come avanzare nell’ignoto durante le arrampicate estreme. Il suo istinto, tenuto sveglio dal vagabondare per lunghi anni nella natura ostile, gli consentiva di trovare l’equilibrio fra l’esporsi al rischio ed il senso per il limite del fattibile. Vinatzer non andava in cerca del pericolo, ma lo considerava elemento naturale delle sue scalate. «Arrampico in maniera da poter sempre tornare, in caso di evenienza; mi lascio guidare dal mio istinto.»
Negli anni trenta ben pochi conoscevano quel geniale rocciatore gardenese. Appena in seguito la nuova generazione rimase strabiliata dalle sue imprese, riconoscendo che le vie nuove di Vinatzer superavano di gran lunga le difficoltà e l’audacia di altre vie dolomitiche ben più celebrate e percepite come metro di valutazione. Oggi Vinatzer viene considerato un innovatore dell’arte di arrampicare nell’epoca eroica degli inizi del «sesto grado», che costituiva il nuovo estremo limite dello scalabile, esprimendosi per lo più su pareti pericolose e friabili.
I Mugoni sono un imponente complesso roccioso a sud-est del Catinaccio. La gialla e luminosa parete della cima principale cade a picco direttamente sopra ad un sentiero escursionistico assai frequentato. Vari itinerari storici percorrono le vistose fessure di quell’impressionante muraglia impressionante, alta trecento metri. Quando nel 1904 fu inaugurata la vicina «Rotwandhütte» (ora Rifugio Roda di Vaèl) nessuno poteva ancora immaginare che col tempo anche quell’apicco all’apparenza inaccessibile sarebbe stata scalata.
Negli anni trenta nelle Dolomiti la viabilità era ancora molto limitata; per raggiungere pareti fuori mano, in mancanza di veicoli a motore spesso non restava altro che «il cavallo di san Francesco», ovvero quello di ricorrere stoicamente alla forza motrice dei propri piedi. Vinatzer ed i suoi amici potevano scalare solo crode vicine alla loro valle, perché per pernottamenti ed imprese costose mancavano loro sia il tempo necessario sia i mezzi finanziari. Le Odle, il Sella, il Sassolungo erano raggiungibili in giornata; il cammino dalla Val Gardena al Catinaccio era lungo e faticoso.
Tuttavia nell’estate del 1935 Battista Vinatzer e Vinzenz Peristi marciarono ripetutamente fino al regno pietrificato di Re Laurino, come nella leggenda viene chiamato il «Rosengarten». Con grande piacere scalarono le Torri del Vaiolet e la celebre via Steger sulla parete est del Catinaccio; inoltre aprirono una via nuova sulla parete nord della stessa croda, lungo una fessura gialla che dalla conca del «Gartl» sale direttamente alla sommita dell’anticima. Dal Passo Cigolade scorsero infine il complesso dei Mugoni, sul quale spicca un luminoso diedro giallo-oro, seducente nel sole del mattino. «Come si chiama questa parete?» chiese Vinatzer all’amico, responsabile dell’aspetto organizzativo del viaggio e competente in geografia e storia di quei monti. «La dobbiamo salire... assolutamente!»
Oltre mezzo secolo dopo, quando con mio cugino raggiunsi la base di questo marcato diedro, la via Vinatzer non aveva perso molto del suo carattere originario. Nel corso degli anni i ripetitori avevano soltanto lasciato qualche chiodo di assicurazione in più, che diminuivano di poco la serietà della scalata. Il sudtirolese Hanspeter Eisendle, guida alpina e conoscitore della storia, precisa acuto: «Un grande maestro nell’arte dell’arrampicare ci ha lasciato qui un fantastico campo d’azione. Grazie alle moderne suole ad aderenza, alle leggerissime corde gemelle ed all’attrezzatura mobile di assicurazione, qui la scalata non esige più il massimo del rischio; ma trasmette ancora l’emozione dell’essere sospesi sul vuoto con tale immediatezza, che si preferisce salire con leggerezza e delicatezza, piuttosto che dinamicamente a strappo di appiglio in appiglio.»
Itinerari come questo richiedono un’arrampicata pulita e cauta, fiuto ed acume per individuare e sfruttare prese ed appoggi effettivamente sicuri. Con crescente entusiasmo procedemmo tiro dopo tiro di corda, sempre concentrati ed in uno stato di estrema vigilanza e circospezione. Conveniva controllare ogni appiglio ed appoggio per assicurarsi della loro solidità, poichè una caduta su quei passaggi avrebbe avuto conseguenze oltremodo spiacevoli. In tali casi la sicurezza non è delegabile a corde, chiodi ed altri attrezzi moderni, quanto piuttosto e principalmente dall’accortezza e le precauzioni del rocciatore. Esperienza e competenza nelle decisioni sono spesso doti più importanti della padronanza virtuosa di alti gradi di difficoltà. Ogni tanto trovavamo singoli vecchi chiodi, certamente più numerosi di quelli usati da Vinatzer, ma ciò nonostante la via conservava a tutt’oggi il suo carattere severo.

L’arte della sopravvivenza. Per Battista Vinatzer e Vinzenz Peristi le arrampicate su pareti repulsive erano vincolate all’arte della sopravvivenza. Avevano a disposizione pochi mezzi tecnici, che dovevano per forza di cose essere sufficienti. Per potere sopravvivere al passaggio su pareti di rocce spesso infide, dovettero imparare a piccoli passi a potenziare la loro resistenza fisica e psichica fino all’estremo limite.
È auspicabile che anche in futuro si riesca con sensibilità rispettare queste risorse storiche, affinché anche le prossime generazioni possano trovare in montagna la caratteristica selvaggia di auto-responsabilizzazione, che la distingue dagli ambienti addomesticati.

«Li ho osservati, i giovani acrobati sulla roccia; la dinamica e la bravura nei movimenti sono impressionanti: ma sarebbero in grado di procedere in tal modo anche su roccia friabile, senza quasi assicurazione, nell’incertezza di quello che li aspetta più in alto?»
Battista Vinatzer




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