Renato Casarotto e il trittico del Freney, un'avventura e un alpinismo irripetibili

Esattamente 32 anni dopo la partenza di Renato Casarotto per il grande viaggio sul trittico del Freney (Monte Bianco), Ivo Ferrari ricorda il grande alpinista italiano.
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Renato Casarotto sul Pilone centrale del Freney
archivio Goretta Casarotto

Il primo febbraio 1982, 32 anni fa, Renato Casarotto iniziava quel suo viaggio solitario e invernale che nella storia dell'alpinismo viene ricordato come il trittico del Freney. 15 giorni dopo l'alpinista vicentino approdò in vetta al Monte Bianco dopo aver percorso, senza soluzione di continuità, la via Ratti-Vitali sulla parete ovest dell'Aiguille Noire de Peutèrey, la via Gervasutti-Boccalatte al Picco Gugliermina e la via Bonington al Pilone Centrale del Frêney, per giungere poi in vetta al Monte Bianco il 14 febbraio e il giorno dopo scendere a Chamonix. Sulle spalle aveva uno zaino di 40 chili e nessun collegamento con il resto del mondo. Questo suo grande tour, lontano da tutto e da tutti, venne salutato - in primis dagli alpinisti francesi - come un'impresa immensa e stupefacente. Di quelle che resteranno per sempre e che fanno la storia. Ma aldilà della (altissima) difficoltà affrontata anche in quel progetto del "Trittico", quello che resta e resterà per sempre di Renato Casarotto è, anche e soprattutto, quel suo stile inimitabile di affrontare la montagna e l'avventura. Quel suo modo di essere tutt'uno con l'alta e altissima montagna, di viverla così intensamente e lungamente tanto da diventarne quasi un "abitante", di farne parte. E' stato così in tutte le sue innumerevoli salite ed imprese, alcune assolutamente memorabili, come quelle sulle "sue" Dolomiti o, appunto sul Trittico, o quelle extra-europee sullo Huascarán (1977), il Fitz Roy (1979), il McKinley (1984) per nominarne solo alcune. Così è stato anche sul K2 sulla "sua" Magic Line. Era il 16 luglio 1986 quando Casarotto perse la vita cadendo in un crepaccio: stava ritornando al Campo base dopo aver raggiunto gli 8300m quota, proprio di quella straordinaria linea sullo sperone sud-ovest del K2. Dicevamo che sono passati 23 anni dal "trittico del Freney"... e con Ivo Ferrari vogliamo ricordare quell'alpinista grande e silenzioso, e quel suo difficile e lunghissimo viaggio nel cuore del Monte Bianco che resterà per sempre.

RENATO CASAROTTO E IL TRITTICO DEL FRENEY. Di Ivo Ferrari

“...Di una cosa sono sicuro. Una cosa che ho sperimentato più volte nella mia lunga carriera di alpinista solitario: se si accetta la regola fondamentale di salire in modo semplice e pulito, senza barare con se stessi e senza imbrigliare con chilometri di corde fisse la montagna, le difficoltà, le preoccupazioni per il tempo che può cambiare da un momento all’altro, i dubbi di essere sulla via giusta e l’angoscia di una ritirata non sempre possibile arrivano piano piano a stemperarsi in una grande e appassionata partita con l’ignoto; una partita che trascende la dimensione normale dell’esistenza e rende l’arrampicata degna della più grande avventura umana, quella che ha affascinato gli uomini fin dai primi giorni della storia”.

Sono passati 32 anni, l’alpinismo e gli alpinisti sono cambiati, il materiale è cambiato, a volte anche le stesse montagne sono cambiate, il tempo... è cambiato! Ma, nessuno si è scordato quell’inverno, quel magico mese di febbraio, quell’uomo solo ed il suo enorme zaino, quell’avventura da sogno realizzata per farci sognare ancora adesso, 32 anni dopo!

Era una mattina, una fresca mattina, io, ragazzino, iniziavo i primi “giochi” verticali. Non ricordo come riuscii a raggiungere di buon ora la Cava di Nembro, allora punto di ritrovo dell’arrampicata in bergamasca. Era mattina e non c’era nessuno, solo io, mezzo spaventato dall’incapacità di salire e un uomo alto, robusto, un gigante... ai piedi portava scarponi bianchi in plastica, duri, pesanti, ma non sembrava facesse fatica attraversando a pochi metri da terra l’intero scuro ed umido androne della Cava. Quell’uomo era famoso, conosciuto ed importante nel mondo dell’Alpinismo, ma io, a quel tempo conoscevo poco e capivo ancor meno!

Fu solo qualche anno dopo che, ripetendo alcune superbe linee tracciate dall’uomo con gli scarponi bianchi, mi resi conto che, in quell’occasione, dinnanzi a me, non avevo avuto solo una persona alta di statura, ma avevo incrociato un Gigante dell’alpinismo, il più forte solitario di tutti i tempi. 1 Febbraio 1982, Renato Casarotto inizia il suo viaggio solitario. Quindici giorni di sforzi, salite e discese, sole e tormenta, quindici giorni per inventare e realizzare il “Trittico del Freney”. E qui, il tempo si ferma, si deve fermare, siamo obbligati a rallentare e pensare... quindici giorni nella più completa delle solitudini lungo tre delle linee più belle del versante italiano del Monte Bianco, fantascienza o realtà? Cosa è stato fatto poi di così puro, bello e duraturo? Molto, moltissimo, ma 32 anni fa Renato Casarotto usò la chiave magica della fantasia, della passione, regalandoci il “Sogno”.

Ho provato a dormire fuori nelle notti invernali, uno, due, poche altre notti, poi la testa ha detto basta, la fatica è andata oltre. Sì, perché per rimanere quindici giorni solo tra mille difficoltà bisogna essere diversi, forti, duri, decisi. Bisognava chiamarsi Renato Casarotto

“... La sommità del Bianco l’ho raggiunta il giorno dopo, quasi senza rendermene conto, nella nebbia fittissima. Erano le 12.10. In quel momento l’altimetro segnava 5000m. Da ovest stava arrivando il finimondo: ho scavato una buca nella neve e ho aspettato. Secondo la mia logica non c’era altro da fare. Ho bivaccato: è stata una delle notti più dure di tutta la mia carriera alpinistica. Sul Bianco, per la particolare posizione del massiccio, quando arrivano da occidente delle grosse perturbazioni sembra di essere nell’occhio del ciclone.”

Sono un ragazzo impaurito e quel gigante mi passa vicino, non c’è nessuno ed io ho paura, chi sarà? Cosa mi dirà? Non disse niente, solo un semplice sorriso che ricordo ancora. Non disse niente e continuò ad allenarsi a pochi metri da terra tirando prese rovesce, unte e umide... continuò usando i suoi pesanti scarponi bianchi!

Io non l’ho dimenticato e l’alpinismo non lo dimenticherà mai.

Ivo Ferrari

Si ringraziano a: Goretta Casarotto e la casa editrice Alpine Studio

>>Goretta e Renato Casarotto. Una vita tra le montagne. (Ed. Alpine Studio)




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