Prima invernale del Makalu: intervista a Simone Moro e Denis Urubko
Come si sta dopo una prima invernale ad un 8000? Cioè dopo aver fatto una delle salite più ambite per l'alpinismo himalayano. L'abbiamo chiesto a Simone Moro e a Denis Urubko che, come tutti sanno, lunedì scorso sono stati i primi a realizzare uno di questi sogni: raggiungere la vetta del Makalu, la 5a vetta per altezza della terra, nella stagione più fredda. Certo non facciamo uno scoop dicendo che sono immensamente felici. Come ci sentiamo di affermare che la loro salita è stata accolta con felicità da tutto il mondo alpinistico.
Sì, è stata davvero una bella salita la loro. Anzi per una volta consentiteci di dire che è stata una grande impresa. Basta leggere la descrizione che Simone Moro e Denis Urubko ci hanno fatto della loro avventura per capire cosa vuol dire affrontare un 8000 d'inverno. Non a caso tra i tanti complimenti che hanno ricevuto ci sono anche quelli del polacco Krzystof Wielicki, un momumento dell'alpinismo Himalayano invernale ma non solo.
Ma ora sentiamo cosa ci hanno raccontato Simone e Denis su questo loro sogno invernale che si è realizzato sul Makalu. Non prima di ricordare però che Simone Moro (il bergamasco di ferro) con questa sua seconda prima invernale su un Ottomila- dopo quella sullo Shisha Pangma con Piotr Morawski - raggiunge nientemeno che un mito come Jerzy Kukuczka. Mentre il kazako Denis Urubko vanta, oltre alla vetta di 13 Ottomila e due nuove vie rispettivamente sul Broad Peak e sul Manaslu, la fama di indistruttibile “strong man” dell'Himalaya. Come dire che nulla è casuale.
SIMONE, DENIS E IL MAKALU D'INVERNO
Simone Moro e Denis Urubko dopo la prima salita invernale del Makalu. Intervista di Vinicio Stefanello
Prima invernale al Makalu, il tutto in 17 giorni dall'arrivo al Campo base. Ve l'aspettavate così veloce?
Per la precisione sono 19 giorni da quando siamo arrivati all’ABC. Eravamo talmente motivati che abbiamo solo montato la tendina senza aspettare che arrivasse qui il nostro cuoco ed aiuto cuoco e siamo subito “scappati su” il giorno dopo. In tre giorni fino a quasi 7100m. Con Denis devo ammetterlo mi trovo sempre benissimo. Forza, motivazione, tattica, spirito di sacrificio, ambizione, rabbia ecc sono pressoché uguali. Non a caso con Denis ho realizzato davvero delle bellissime salite. Mi azzardo in un paragone: se nella coppia Messner -Kammerlander, Loretan-Troillet, Kukuczka-Wielicki e pochi altri ho sempre visto il team perfetto, probabilmente il mio è con Denis...
Luci ed ombre della vostra avventura...
Le uniche ombre sono quelle delle tende o delle nostre sagome proiettate nella notte dalla luna sul freddo ambiente circostante. Qui grazie a Dio ci sono solo luci. Sullo stile, sulla velocità, niente ossigeno, niente sherpa, solo due persone, sulla cima raggiunta. Insomma, il sogno di 30 anni di alpinismo invernale si è realizzato nel modo più veloce e leggero possibile e di questo ringraziamo la sorte, la nostra determinazione e la voglia che avevamo di lottare ed andare in cima. Come sempre anche questa volta sapevo che c’era chi sperava nel fallimento. Anche ad Almaty pregavano perché Denis fallisse! Pensate che è venuto qui scappando dall’ordine del suo responsabile militare che gli negava la partecipazione a questa spedizione. A Denis manca un solo un 8000 (il Cho Oyu) ma non vogliono che sia lui il primo alpinista dell'ex Unione Sovietica a salire tutti i 14 ottomila o che realizzi imprese come questa. Ci sono altri alpinisti più schierati e proni al potere che dovrebbero avere la precedenza... L’alpinismo deve essere di gruppo e pure il merito. Individualità forti come Urubko danno fastidio, non sono contemplate dal “sistema”. Ed io che gli ho insegnato a varcare lo steccato sono amato/odiato…
Qual è stato il momento più difficile?
Forse svegliarsi alle 3:00 la mattina del 9 febbraio, farsi la colazione e mettersi in cammino. C’era un freddo indescrivibile. Abbiamo dormito in sacchi a pelo da soli -9° gradi (confort) per essere leggeri ma c’erano almeno -40°C. Terribile! Siamo partiti con un ritmo di 30 passi, legati in conserva ed abbiamo raggiunto la cima con un ritmo di 20 passi dopo gli 8200 m, sempre in conserva. Lassù è stata una lotta col vento. Tra i 90 ed i 100 km/h. Se qualcuno ne dubita basta chiedere il bollettino meteo a Karl Gabl di Innsbruck... E’ stata davvero dura, una vera lotta. Le raffiche arrivavano come ceffoni inaspettati che ti stordivano e ti buttavano a terra. Molte volte rimanevamo attaccati al manico della piccozza per non volare via...
E il momento più bello?
L’urlo strozzato in cima! Ero con il mio migliore amico sulla vetta di un sogno che da tre decenni avevano fatto solo i migliori alpinisti del mondo. Io ho provato ad esserlo il migliore, non ci sono riuscito, ma ero lassù...
Forse tocco un tasto doloroso. Simone quando eri lassù hai mai pensato a Jean-Christophe Lafaille scomparso nel 2006, proprio sul Makalu, mentre tentava la prima invernale in solitaria?
Ho continuato a guardarmi attorno per tutta la salita. Ho cercato il corpo di Jean-Christophe. Non c’era neve, era tutto secco e dovevo, volevo trovarlo, identificare la sagoma magari sdraiata sul largo e piatto plateau che si affaccia sul versante Tibetano. Io non ho mai avuto problemi diretti con lui. Ma con lui io non potevo parlare, dovevo essere sempre filtrato dal suo “manager”... In alpinismo questo non esiste, e non dovrebbe esistere per nessuno. Persino Messner risponde alle mie email e questo gli fa un grande onore. Io e Denis siamo saliti in due sul Makalu. Penso che Jean-Christophe avrebbe potuto salirlo anche da solo. Spero solo che non abbia rischiato o che non sia stato portato a farlo per dimostrare che ne era capace, anche dopo il 21 dicembre... Non era necessario perché Jean-Christophe era un fuoriclasse e penso che sotto certi aspetti ci assomigliavamo parecchio... Purtroppo non l’ho trovato.
Un identikit tecnico del "vostro" Makalu winter partendo dallo vostro stile di salita per continuare con la via, i campi e le difficoltà...
Il Makalu innanzitutto è maledettamente alto. Tutti si ostinano a dare 8462 metri come altezza ma io mi fido di più dello “scienziato” alpinista polacco Jan Kielkowsky che dà 8485 metri dopo aver analizzato l’accuratezza di tutte le misurazioni (anche nel mio nuovo libro spiego nel dettaglio questa cosa). Significa 126 metri più basso del K2 e quando stai lottando col freddo e col vento, ogni metro in meno da scalare è manna preziosa, un dono di Dio e della sorte. Io e Denis abbiamo trovato qualche corda fissa vecchia di cui abbiamo fatto dei collage. Non ho mai utilizzato il discensore su nessun tratto di vecchia corda fissa perché non mi fidavo. Le prendevo semplicemente in mano ma me ne stavo ben piantato sui ramponi. Abbiamo sempre scalato in conserva, e portando tutto nello zaino. Assomiglia decisamente più ad uno stile alpino che ad una salita himalayana. Se infatti consideriamo che siamo andati due sole volte al Campo 2, tutto il resto è stato fatto una volta sola compreso il campo 3 e la vetta. Siamo sempre stati velocissimi e alcune volte l’ho specificato pure nel mio BLOG. 3 ore per salire al Campo 2, 28 minuti per scendere dal Campo 1 al Campo base, e meno di 1 ora e mezza per scendere dal Campo 2. Insomma stavamo bene e avevamo fatto il giusto acclimatamento. Tre settimane prima della spedizione avevo pure fatto una gara a piedi di quasi 100 km con 3000 metri di dislivello con 10 “montagnette” da salire… Insomma mi ero preparato tanto, correndo 150 km la settimana e scalando, volevo essere davvero pronto a soffrire a lungo ed intensamente.
Qual è stata la chiave del vostro successo?
Il team. Io e Denis siamo davvero una coppia affiatatissima in quota. Si fa a gara chi soffre di più e chi molla per ultimo. Usiamo però sempre il cervello e nessuno vuole fare l’eroe che si immola per il successo. Eravamo tutti e due iper motivati, sapevamo di avere il motore per farcela. Bisognava solo saper aspettare seguendo e fidandoci solo di noi stessi, di Karl Gabl, il metereologo, e dell’indispensabile fortuna.
Quando siete partiti dalla tenda a 7700m per il tentativo alla vetta che percentuale di successo vi davate? Com'era il vostro spirito, avevate dubbi?
Stranamente sentivo che saremmo andati in cima. Le gambe erano toniche e scherzavamo già di buon mattino sulla “follia” di quella notte, sulle scomodità, sull’intenzione di essere veloci a chiudere i giochi. Le cose sono andate proprio come avevo sospettato, anzi desiderato.
Quando avete capito che ce l'avreste fatta?
La mattina del 9 febbraio, appena alzati. Eravamo decisi, allegri e ci fidavamo ciecamente delle previsioni meteo di Karl Gabl, non poteva aver sbagliato!! Sentivamo entrambi l'energia nelle gambe e questo è stata una sensazione molto convincente. Nessuno ha mai pensato per un secondo di rinunciare. Salivamo come due panzer… davvero bello.
Vi conoscete da sempre (da 9 anni), avete fatto molto spedizioni insieme. Denis non è certo un chiacchierone e a te Simone la parola non manca di certo. Cosa vi siete detti in vetta? A proposito, cosa si fa in cima ad un Ottomila con - 40°C e venti a 100 km/h...
Non conoscete Denis! E’ peggio di me. Parla come una matto quando può esprimersi nella sua lingua. E’ un fiume in piena ed anche lui ha una lista infinita di sogni e di progetti. Io e lui parliamo inglese e ci esercitiamo a vicenda in Italiano ed in russo. Questa è la nostra settima spedizione assieme (snow Leopard 99, Everest 2000, Marble Wall invernale 2001, Lhotse 2001, Karakorum 2003, Khali Himal 2004, Makalu 2009) e sulla cima abbiamo davvero cacciato un bell’urlo e ci siamo abbracciati.
Denis: Il più grande pregio di Simone e il suo più grande difetto...
Simone è una persona carismatica. Quando sono con lui mi sento davvero di vivere un’avventura, non una spedizione qualunque. E’ contagioso negli entusiasmi e con lui so di vivere una scalata che può rappresentare una vera impresa. Il difetto più grande è che vive troppo lontano da me e uno come lui mi manca proprio nella mia Almaty.
Simone: Il più grande pregio di Denis e il suo più grande difetto...
E’ il compagno giusto. Che se ne frega di essere simpatico o odiato. Che tira dritto per la sua strada e, come un Katerpillar, schiaccia tutti i moscerini polemici. E’ davvero uno dei migliori al mondo. Punta sempre altissimo e si allena duramente per questo. Il difetto che per andare ad Almaty mi ci vuole sempre un sacco di tempo per il visto.
A tutti e due: il difetto e il pregio del Makalu
E’ sicuramente un 8000 difficile, è alto e d’inverno ha fatto vedere quanto bisogna soffrire per riuscire a salirlo. Difetti sinceramente non ne vediamo…
Sono ancora 5 le prime invernali sugli 8000, tutte in Karakorum, se doveste sceglierne una ora... quale scegliereste di salire e perché?
Denis dice il Nanga Parbat, e forse sono d’accordo. Al versante Rupal ci arrivi in poche ore a piedi dalla jeep. Dall’altro versante, il Diamir, in due giorni a piedi. Insomma non sei fuori dal mondo. Io però un conticino aperto con il Broad Peak l’avrei anche se spero che Heizer e compagni lo chiudano per me. Certo che, prima o poi, verrà anche il turno del K2...
Non vi chiedo perché e quanto rischiate nel vostro alpinismo, voglio invece chiedervi cosa state sognando ora, magari aldilà della montagna
Denis dice che ha una gran voglia di finire i 14 ottomila nel suo modo e stile e poi regalarsi 6 mesi di vacanza, senza pressioni esterne e rivalità personali e politiche all’interno del corpo sportivo militare. Sogna di avere qualche soldo in tasca, che non ha mai… e di regalarsi un periodo di spiaggia, mare e relax vero. Poi ricomincerebbe a sognare scalate e vie nuove senza “obblighi gerachici” e con i veri amici per i quali non deve chiedere il permesso di frequentazione.
Da parte mia sono contento così. Non mi manca nulla, vorrei solo consolidare ancor più la mia posizione economica in vista di tanti altri anni di sogni non solo alpinistici. Nuove passioni si stanno facendo avanti...
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