Nuove vie lunghe al Buco del Merlo nei Monti Reatini (Appennino Centrale). Di Pino Calandrella
Sono appena sotto lo strapiombetto del secondo tiro cercando di capire come superarlo, non riesco a proteggermi molto bene, c’è necessità di un po’ di fantasia nel piazzare le protezioni, sistemo due friends piccoli. Ginevra è in sosta, ben protetta. Sono molto tranquillo, ma soprattutto mi scopro molto concentrato e finalmente scollegato da tutto il resto. Sono pervaso da una bella sensazione che assaporo con piacere e che mi fa dire fra me e me: "…ma quanto mi piace l’alpinismo!"
Il Buco del Merlo è una piccola cima (1894m) addossata al M. Porcini, nei monti reatini, che presenta delle emergenze rocciose interessanti e spesso di qualità ottima (vi è infatti anche l’omonima falesia del Buco del Merlo), ma non configurano una vera e propria unica parete, anzi al contrario un insieme di pareti e pilastri di varia forma, che per anni su diverse foto ho cercato di collegare con un’ipotetica linea, nell’intento di capire se potessero ospitare una via d’arrampicata a più tiri.
All’inizio dell’estate quest’idea lungamente caldeggiata, anche se ormai dormiente nella cartella "Progetti" del mio PC, quasi per caso mi torna in mente e allora con mia figlia Ginevra andiamo a dare un’occhiata dal vivo per valutarne definitivamente la fattibilità. Il sopralluogo ci restituisce un bell’entusiasmo visto che la parete di attacco dell’ipotetica via è veramente bella, sia per colori, sia per la qualità ottima della roccia. Le foto complessive non consentono però di valutare la fattibilità dell’intera linea ipotizzata, tanto meno la qualità della roccia della parte alta, non resta quindi che andare a provare.
È sabato 22 luglio e con un po’ di lentezza raggiungiamo la parete (anche se l’avvicinamento è decisamente breve), con l’intento di aprire, visto l’orario pomeridiano, uno o due tiri. Il primo tiro si svolge su una bellissima parete, non molto alta, ma con una roccia gialla-rossastra solcata da scolature grige che la rendono decisamente unica. Le difficoltà si mostrano subito non banali per un’apertura dal basso e con protezioni tradizionali e il pomeriggio lo dedicheremo all’apertura di questo tiro, con successiva apposizione di protezioni "affidabili" a consentire una maggiore tranquillità nelle future ripetizioni. Gli impegni lavorativi e quelli familiari non lasciano molto spazio alle giornate libere e quindi, complici le luminose giornate di luglio, dopo il lavoro in una giornata infrasettimanale, torniamo ad aprire il secondo tiro, bello e scalabile. Come previsto facciamo un po’ tardi e ovviamente riscendiamo al buio. Camminiamo in discesa alla luce della frontale, parlottando della via, con gli ultimi rossori serali all’orizzonte. Guardo Ginevra, che mi precede verso ovest sulla strada del rientro, sullo sfondo di un cielo fantastico, sembra un sogno, tutto è perfetto.
Finalmente riusciamo a dedicare un’intera giornata a questo progetto e il 29 luglio, prima della partenza per le agognate Dolomiti, decidiamo di chiudere la salita, alla quale mancano teoricamente tre o quattro tiri. Scalando il pilastro del terzo tiro mi rendo conto che la roccia anche qui è veramente molto bella, un calcare compatto stupendo. Il quarto e il quinto tiro (un trasferimento) non oppongono difficoltà particolari e finalmente giungiamo alla base dell’ultima parete che dalle foto fatte da lontano mostrava un’interessante fessura. La parte centrale di questo tiro conferma sia la bellezza della fessura, sia la perfezione della qualità della roccia, un tratto di eccezionale fascino. Dopo un breve traverso di trasferimento non rimane che scalare la paretina sommitale. Scelgo di salirla per un bel diedro ammanigliato sul suo lato destro e di lì a poco sono in vetta. Attrezzo la sosta e recupero Giny con i raggi solari che ormai ci arrivano da ovest. Mi raggiunge alla fine della via, abbiamo il sole basso in faccia e una bella brezza ci rinfresca, è tutto incredibilmente molto bello. Alla destra della sosta vi è una morbida terrazza erbosa, perfetta per rifare il materiale e una brevissima risalita sul pendio ci consegna alla strada carrareccia che ci accompagnerà, in pochissimo tempo, al parcheggio dell’auto.
Torneremo successivamente un altro paio di volte ad assaporare il nostro bel Sogno di una notte di mezza estate, per apporre ulteriori protezioni e rendere la via più omogeneamente protetta.
Qualche settimana dopo sempre al Buco del Merlo, sfruttando gli studi effettuati per la precedente apertura, colgo la particolare bellezza di un pilastro con roccia stupenda e così torniamo ad aprire un nuovo itinerario a più tiri, ma con un carattere spiccatamente sportivo questa volta, che chiameremo Il Pilastro delle meraviglie. Una via con una roccia di ottima qualità, che culmina su una guglia di aspetto vagamente zoomorfo, costituita da un calcare stupendo, assolutamente perfetto!
Queste due vie rappresentano la creazione di un nuovo spazio per l’arrampicata e l’alpinismo, con un facile accesso, ma anche con una stupenda immersione nell’ambiente montano. Le vie rappresentano un unicum per il gruppo del M. Terminillo, sia per qualità della roccia, sia per il carattere spiccatamente sportivo (Pilastro delle Meraviglie). Prova ne sono le già numerose ripetizioni, avvenute a poche settimane dall’apertura.
Fra quelle vissute negli anni, queste due aperture sono state sicuramente un’esperienza eccezionale e non mi riferisco ovviamente al livello delle difficoltà tecniche, ma soprattutto al fatto di averle vissute con la cordata di famiglia, che io scherzosamente chiamo Cal&Cal. Aprire una via con la propria figlia non è cosa facile, si presentano e sovrappongono tantissime questioni, di cui va tenuto conto, di natura tecnica, ma anche e soprattutto di natura emotiva. Le emozioni sono amplificate, sia quelle positive, sia quelle negative.
Un connubio familiare che quindi ha regalato a entrambi un vissuto eccezionale e ha esaltato in me la bellezza dell’esperienza alpinistica, che è da sempre il mio linguaggio preferito. Perché per dirlo con le parole del grande Ermanno Salvaterra, che purtroppo da poco ci ha lasciati: "È per questo che mi piace scalare. Quando scalo sono solo lì. Sono solo con la roccia, con il granito, con il calcare. È come meditare senza sapere che lo stai facendo. È uno di quei pochi momenti in cui il tutto si riduce all'attimo, e l'attimo diventa tutto".
Non dimenticherò facilmente quanto è stato bello realizzare questo nostro piccolo sogno di una notte di mezza estate.
di Pino Calandrella