Mountain Wilderness Wakhi Project, la conclusione di un'avventura
Il 7 giugno è rientrato dal Pakistan il gruppo composto da Carlo Alberto Pinelli, presidente di Mountain Wilderness Italia, Carlo Barbolini e Francesco Cappellari, istruttori nazionali di alpinismo e membri del CAAI, che hanno concluso la seconda e ultima parte del "Mountain Wilderness Wakhi Project". Il corso organizzato da Mountain Wilderness e Aga Khan Foundation, in collaborazione con il Club Accademico del CAI, il Alpine club of Pakistan e il Ministero degli affari esteri del Canada, per promuovere lo sviluppo di un turismo rispettoso di ambiente e cultura in linea con la filosofia e i principi dell’alpinismo classico.
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Esercitazioni su ghiaccio
Anna Sustersic
Rientriamo da Islamabad il 7 giugno, un ritorno che segna la fine dell'ultima - almeno per ora - avventura in Pakistan firmata Mountain Wilderness. Tre settimane per seguire la fase di follow up dell'Advanced course of environment friendly montaneering, iniziato nell'estate 2013 nella regione settentrionale del Gilgit Baltistan, Valle dell'Hunza. Un corso di "alta specializzazione alpinistica, ecologica e naturalistica" spiega Carlo Alberto Pinelli, direttore del corso e presidente di Mountain Wilderness Italia, "riservato a giovani del posto intenzionati ad acquisire le competenze necessarie per offrirsi come istruttori di tecniche alpinistiche, portatori d'alta quota specializzati, guide di trekking o di wild animal watching". Un corso che unisce esigenze di sviluppo territoriale a precetti di tutela ambientale e recupero dell'autentica filosofia alpinistica.
In agosto 2013 gli allievi erano 25 - reclutati su base volontaria e selezionati secondo criteri di una pregressa confidenza alpinistica - uomini e donne. Donne sì, perché nella valle dell'Hunza, secondo i precetti ismaeliti, la partecipazione, l'emancipazione e l'educazione femminile hanno un ruolo fondamentale. Dopo due settimane di corso intensivo, fra lezioni teoriche e pratiche, le numerose esercitazioni guidate dai sei istruttori italiani e i test finali, tredici dei 25 allievi si erano conquistati il titolo di istruttori, gli stessi che a maggio 2014 si rincontrano nel villaggio di Passu (Pakistan settentrionale), per seguire la fase di approfondimento del corso: neve e ghiaccio.
Non è il primo corso che Mountain Wilderness propone nella zona dell'Himalaya, Karakoram e Hindu Kush. In Afghanistan nel 2005, buona parte degli allievi era rappresentata da ex mujahidin, in cerca di riscatto professionale. Un successo, la cui eco si è propagata in India, dove espressamente richiesta è stata l'organizzazione dei corsi che già nel 1995 sono approdati per la prima volta in Pakistan. In un primo momento, spiega Carlo Alberto Pinelli, l'obiettivo era la formazione degli ufficiali di collegamento, incaricati di controllare le spedizioni alpinistiche internazionali. Oggi l'obiettivo è di trasmettere ai giovani locali le conoscenze alpinistiche tecniche sulla base delle quali poter costruire una nuova economia, gestire autonomamente e consapevolmente i flussi turistici, secondo i canoni di rispetto umano e naturale propri dell'autentica filosofia alpinistica.
I ragazzi che abitano queste valli hanno una sorta di istinto della montagna, una naturale inclinazione che li porta a compiere imprese che nel nostro mondo definiremmo eroiche, con la naturalezza di una passeggiata in centro. Molti di loro, come Amin Ullah o Rahmat, il figlio del capo del villaggio di Shimshal, hanno superato gli 8000, come portatori d'alta quota in spedizioni internazionali. Niamat è stato partorito su pascoli a oltre 5000 metri. "Hanno una dote naturale per la montagna" mi dice Afzel Sheraze, presidente di Mountain Wilderness Pakistan "ma sono carenti delle conoscenze tecniche" indispensabili per intraprendere una carriera di montagna.
Molti di loro arrivano da Shimshal, una comunità di 200 famiglie a 3500 metri di altitudine, raggiungibile in macchina dalla nota Karakorum Highway, solo da tre anni. Non sanno cosa sia il mal di quota e marciano come treni dove noi fatichiamo a tenere il fiato. Incontriamo Amin Ullah, Rhiamat, Niamat, le due ragazze Haziza e Hafiza e gli altri a maggio, all'hotel Sarai nello splendido contesto di Passu. Un'ala del piccolo e accogliente albergo è intitolata a Pinelli. Approfondiranno il capitolo neve e ghiaccio introdotto la scorsa estate. Carlo Barbolini, istruttore nazionale e membro del CAAI, è stato istruttore già la scorsa estate e l'affetto con cui saluta gli allievi e con cui viene accolto da loro è il primo inequivocabile indice dell'esito dell'iniziativa.
Passu si trova al limite settentrionale del Pakistan, in un abbraccio di pietra alto non meno di 5000 metri, e dove la lingua dell'impressionante ghiacciaio arriva quasi a sfiorare la prima casa del villaggio. Uno scenario vertiginosamente bello. Qui, nel nord del Pakistan le cime oltre 6000 metri sono più di 700, 162 quelle che superano i 7000 e 5 gli 8000.
Due tappe per raggiungere il campo base, nel quale ci tratterremo per il corso delle esercitazioni, a 4300 metri, proprio ai margini del ghiacciaio del Passu, all'ombra del monumentale, ipnotico Shishpar (7611 m). I ragazzi cantano, salendo gli 800 metri di dislivello verticale che ci separano dal primo campo, io faccio fatica a respirare. L'entusiasmo è indiscutibile, penso mentre li guardo sorridenti montare le tende del campo. Hanno visi splendidi, una cortesia d'altri tempi e una manifesta, pragmatica tenacia. Intravedono un futuro diverso, costruito su qualcosa che amano e che conoscono intimamente: la montagna. Molti di loro già lavorano come portatori nelle spedizioni internazionali, ma i desideri vanno ben oltre a questa naturale possibilità. Alcuni di loro sognano l'alpinismo professionale, altri, con spirito imprenditoriale collaborano già con diverse agenzie per l'organizzazione di trekking e spedizioni.
"Dopo l'11 settembre 2001 le cose sono cambiate" mi aveva detto il Presidente del Club Alpino Pakistano Manzoor Hussain, il mondo si è ritirato dal Pakistan e gli afflussi sono drammaticamente diminuiti, e anche la zona dell'Hunza, da sempre stabile e tranquilla ha pagato le conseguenze delle profonde lacerazioni nazionali. Bisogna rilanciare il turismo "e non solo per quanto riguarda l'alpinismo" dice Manzoor "bisogna diversificare, non tutti siamo alpinisti. E per massimizzare coinvolgimento giovanile e valorizzazione territoriale, all'alpinismo vanno aggiunti il kajak, l'arrampicata su ghiaccio, l'escursionismo, la mountain bike. Quest'ambiente offre tutto e ognuno deve poter trovare la sua via all'esplorazione".
Pendii nevosi, piolet traction, sicurezza su ghiacciaio, tecniche di assicurazione. Informazioni che i ragazzi assorbono voracemente e rapidamente grazie alle spiegazioni di Francesco Cappellari e Carlo Barbolini (CAAI), instruttori del corso e alpinisti eccezionali. Francesco, fra le molte, ha alle sue spalle la salita al Gasherbrum II e al Broad Peak, mentre Carlo, professionista del Sud America, vanta le torri del Paine e il Fitz Roy. Francesco non era qui la scorsa estate, conosce ora i ragazzi ma ha già creato uno splendido feeling. "Nelle esperienze in cui dai" mi dirà qualche giorno più tardi facendo un bilancio "a volte, come in questa, è molto di più quello che ricevi". Soddisfatto di aver avuto l'occasione di contribuire alla creazione di nuove opportunità, sottolinea che prima ancora dell'insegnamento tecnico è felice di aver potuto trasmettere passione. I giorni passano fra esercitazioni impegnative, attraversamenti di ghiacciaio e serate di infinite stelle sulle note di dolci canzoni popolari che provengono dalle tende dei ragazzi.
Chiedo a Carlo Alberto Pinelli quale sia il messaggio che con questi corsi vuole lasciare. "E' un messaggio etico" mi spiega "che include e ingloba quello ecologico. L'esperienza della montagna deve essere fatta con criterio o perde di significato, diventa un gioco ludico, atletico superomistico che ne soffoca la voce. L'insegnamento delle montagne è di attenzione e rispetto, sapersi sentire ospiti e non conquistatori. Insegniamo la tecnica insieme a un pacchetto culturale. Niente è isolato. La tecnica senza una prospettiva etica che significa comprendere perché si va in montagna, non è nulla". Capire che una montagna solitaria e pulita, è meglio di una affollata, è semplice e complesso allo stesso tempo "è un discorso in salita" riprende Pinelli "contro lo spirito del tempo, ma se l'alpinismo non prende con nuova consapevolezza la strada vecchia, finirà".
Si dichiara soddisfatto dell'esito dell'iniziativa che di sicuro ha suscitato l'entusiasmo dei ragazzi. Ora è necessario che questo impegno e questa passione proseguano e si concretizzino in nuove proposte e progetti che partano dai ragazzi stessi. "E' stato un grande successo dal punto di vista organizzativo" dice Afzel Sheraze "Questi ragazzi hanno un potenziale grandissimo, sono estremamente forti e capaci. Ma essere tecnicamente competenti è un'altra cosa e noi gli abbiamo dato la possibilità, con questi corsi, di integrare anche quell'aspetto. Se rimarranno in linea con questi insegnamenti e proveranno a trasmetterli, altri si interesseranno a queste attività, potenzialmente cambiando l'intero scenario tecnico – ed economico - di queste valli". La commozione dei ragazzi a fine corso - e la nostra - non lascia dubbi sulla qualità dell'esperienza.
Mi chiedo, alla fine, quale differenza di approccio ancora ci sia fra il nostro familiare modo di andare in montagna e il loro. Mi chiedo se la ricerca sia simile. Lo spirito metaforico e filosofico evoluto nell'alpinismo occidentale, la visione della montagna come percorso catartico e di autoconoscenza è frutto del nostro specifico percorso culturale. Per questi ragazzi, che finora hanno vissuto, più che cercato la montagna, l'ascesa ha più a che vedere con il proseguio di un retaggio familiare o con un pragmatico spirito di necessità. Una diversa inclinazione, figlia di una diversa storia, risuona nelle loro corde, ma quando chiedo di raccontarmi la loro più bella esperienza di montagna, hanno lo stesso sguardo rapito e usano le stesse parole di Francesco, quando mi dicono "l'alba. Quando il sole sorge da un mare di nuvole e tu ti senti il piccolo padrone del mondo" e mi confermano che è l'istinto del bello che ci rende fratelli.
Mountain Wilderness ringrazia il Dipartimento degli affari esteri del Canada, Aga Khan Foundation, Banca Sella, la sezione del CAI Firenze, il Club Accademico Alpino Italiano, Chiesi Farmaceutici e i donors privati.
Anna Sustersic
In agosto 2013 gli allievi erano 25 - reclutati su base volontaria e selezionati secondo criteri di una pregressa confidenza alpinistica - uomini e donne. Donne sì, perché nella valle dell'Hunza, secondo i precetti ismaeliti, la partecipazione, l'emancipazione e l'educazione femminile hanno un ruolo fondamentale. Dopo due settimane di corso intensivo, fra lezioni teoriche e pratiche, le numerose esercitazioni guidate dai sei istruttori italiani e i test finali, tredici dei 25 allievi si erano conquistati il titolo di istruttori, gli stessi che a maggio 2014 si rincontrano nel villaggio di Passu (Pakistan settentrionale), per seguire la fase di approfondimento del corso: neve e ghiaccio.
Non è il primo corso che Mountain Wilderness propone nella zona dell'Himalaya, Karakoram e Hindu Kush. In Afghanistan nel 2005, buona parte degli allievi era rappresentata da ex mujahidin, in cerca di riscatto professionale. Un successo, la cui eco si è propagata in India, dove espressamente richiesta è stata l'organizzazione dei corsi che già nel 1995 sono approdati per la prima volta in Pakistan. In un primo momento, spiega Carlo Alberto Pinelli, l'obiettivo era la formazione degli ufficiali di collegamento, incaricati di controllare le spedizioni alpinistiche internazionali. Oggi l'obiettivo è di trasmettere ai giovani locali le conoscenze alpinistiche tecniche sulla base delle quali poter costruire una nuova economia, gestire autonomamente e consapevolmente i flussi turistici, secondo i canoni di rispetto umano e naturale propri dell'autentica filosofia alpinistica.
I ragazzi che abitano queste valli hanno una sorta di istinto della montagna, una naturale inclinazione che li porta a compiere imprese che nel nostro mondo definiremmo eroiche, con la naturalezza di una passeggiata in centro. Molti di loro, come Amin Ullah o Rahmat, il figlio del capo del villaggio di Shimshal, hanno superato gli 8000, come portatori d'alta quota in spedizioni internazionali. Niamat è stato partorito su pascoli a oltre 5000 metri. "Hanno una dote naturale per la montagna" mi dice Afzel Sheraze, presidente di Mountain Wilderness Pakistan "ma sono carenti delle conoscenze tecniche" indispensabili per intraprendere una carriera di montagna.
Molti di loro arrivano da Shimshal, una comunità di 200 famiglie a 3500 metri di altitudine, raggiungibile in macchina dalla nota Karakorum Highway, solo da tre anni. Non sanno cosa sia il mal di quota e marciano come treni dove noi fatichiamo a tenere il fiato. Incontriamo Amin Ullah, Rhiamat, Niamat, le due ragazze Haziza e Hafiza e gli altri a maggio, all'hotel Sarai nello splendido contesto di Passu. Un'ala del piccolo e accogliente albergo è intitolata a Pinelli. Approfondiranno il capitolo neve e ghiaccio introdotto la scorsa estate. Carlo Barbolini, istruttore nazionale e membro del CAAI, è stato istruttore già la scorsa estate e l'affetto con cui saluta gli allievi e con cui viene accolto da loro è il primo inequivocabile indice dell'esito dell'iniziativa.
Passu si trova al limite settentrionale del Pakistan, in un abbraccio di pietra alto non meno di 5000 metri, e dove la lingua dell'impressionante ghiacciaio arriva quasi a sfiorare la prima casa del villaggio. Uno scenario vertiginosamente bello. Qui, nel nord del Pakistan le cime oltre 6000 metri sono più di 700, 162 quelle che superano i 7000 e 5 gli 8000.
Due tappe per raggiungere il campo base, nel quale ci tratterremo per il corso delle esercitazioni, a 4300 metri, proprio ai margini del ghiacciaio del Passu, all'ombra del monumentale, ipnotico Shishpar (7611 m). I ragazzi cantano, salendo gli 800 metri di dislivello verticale che ci separano dal primo campo, io faccio fatica a respirare. L'entusiasmo è indiscutibile, penso mentre li guardo sorridenti montare le tende del campo. Hanno visi splendidi, una cortesia d'altri tempi e una manifesta, pragmatica tenacia. Intravedono un futuro diverso, costruito su qualcosa che amano e che conoscono intimamente: la montagna. Molti di loro già lavorano come portatori nelle spedizioni internazionali, ma i desideri vanno ben oltre a questa naturale possibilità. Alcuni di loro sognano l'alpinismo professionale, altri, con spirito imprenditoriale collaborano già con diverse agenzie per l'organizzazione di trekking e spedizioni.
"Dopo l'11 settembre 2001 le cose sono cambiate" mi aveva detto il Presidente del Club Alpino Pakistano Manzoor Hussain, il mondo si è ritirato dal Pakistan e gli afflussi sono drammaticamente diminuiti, e anche la zona dell'Hunza, da sempre stabile e tranquilla ha pagato le conseguenze delle profonde lacerazioni nazionali. Bisogna rilanciare il turismo "e non solo per quanto riguarda l'alpinismo" dice Manzoor "bisogna diversificare, non tutti siamo alpinisti. E per massimizzare coinvolgimento giovanile e valorizzazione territoriale, all'alpinismo vanno aggiunti il kajak, l'arrampicata su ghiaccio, l'escursionismo, la mountain bike. Quest'ambiente offre tutto e ognuno deve poter trovare la sua via all'esplorazione".
Pendii nevosi, piolet traction, sicurezza su ghiacciaio, tecniche di assicurazione. Informazioni che i ragazzi assorbono voracemente e rapidamente grazie alle spiegazioni di Francesco Cappellari e Carlo Barbolini (CAAI), instruttori del corso e alpinisti eccezionali. Francesco, fra le molte, ha alle sue spalle la salita al Gasherbrum II e al Broad Peak, mentre Carlo, professionista del Sud America, vanta le torri del Paine e il Fitz Roy. Francesco non era qui la scorsa estate, conosce ora i ragazzi ma ha già creato uno splendido feeling. "Nelle esperienze in cui dai" mi dirà qualche giorno più tardi facendo un bilancio "a volte, come in questa, è molto di più quello che ricevi". Soddisfatto di aver avuto l'occasione di contribuire alla creazione di nuove opportunità, sottolinea che prima ancora dell'insegnamento tecnico è felice di aver potuto trasmettere passione. I giorni passano fra esercitazioni impegnative, attraversamenti di ghiacciaio e serate di infinite stelle sulle note di dolci canzoni popolari che provengono dalle tende dei ragazzi.
Chiedo a Carlo Alberto Pinelli quale sia il messaggio che con questi corsi vuole lasciare. "E' un messaggio etico" mi spiega "che include e ingloba quello ecologico. L'esperienza della montagna deve essere fatta con criterio o perde di significato, diventa un gioco ludico, atletico superomistico che ne soffoca la voce. L'insegnamento delle montagne è di attenzione e rispetto, sapersi sentire ospiti e non conquistatori. Insegniamo la tecnica insieme a un pacchetto culturale. Niente è isolato. La tecnica senza una prospettiva etica che significa comprendere perché si va in montagna, non è nulla". Capire che una montagna solitaria e pulita, è meglio di una affollata, è semplice e complesso allo stesso tempo "è un discorso in salita" riprende Pinelli "contro lo spirito del tempo, ma se l'alpinismo non prende con nuova consapevolezza la strada vecchia, finirà".
Si dichiara soddisfatto dell'esito dell'iniziativa che di sicuro ha suscitato l'entusiasmo dei ragazzi. Ora è necessario che questo impegno e questa passione proseguano e si concretizzino in nuove proposte e progetti che partano dai ragazzi stessi. "E' stato un grande successo dal punto di vista organizzativo" dice Afzel Sheraze "Questi ragazzi hanno un potenziale grandissimo, sono estremamente forti e capaci. Ma essere tecnicamente competenti è un'altra cosa e noi gli abbiamo dato la possibilità, con questi corsi, di integrare anche quell'aspetto. Se rimarranno in linea con questi insegnamenti e proveranno a trasmetterli, altri si interesseranno a queste attività, potenzialmente cambiando l'intero scenario tecnico – ed economico - di queste valli". La commozione dei ragazzi a fine corso - e la nostra - non lascia dubbi sulla qualità dell'esperienza.
Mi chiedo, alla fine, quale differenza di approccio ancora ci sia fra il nostro familiare modo di andare in montagna e il loro. Mi chiedo se la ricerca sia simile. Lo spirito metaforico e filosofico evoluto nell'alpinismo occidentale, la visione della montagna come percorso catartico e di autoconoscenza è frutto del nostro specifico percorso culturale. Per questi ragazzi, che finora hanno vissuto, più che cercato la montagna, l'ascesa ha più a che vedere con il proseguio di un retaggio familiare o con un pragmatico spirito di necessità. Una diversa inclinazione, figlia di una diversa storia, risuona nelle loro corde, ma quando chiedo di raccontarmi la loro più bella esperienza di montagna, hanno lo stesso sguardo rapito e usano le stesse parole di Francesco, quando mi dicono "l'alba. Quando il sole sorge da un mare di nuvole e tu ti senti il piccolo padrone del mondo" e mi confermano che è l'istinto del bello che ci rende fratelli.
Mountain Wilderness ringrazia il Dipartimento degli affari esteri del Canada, Aga Khan Foundation, Banca Sella, la sezione del CAI Firenze, il Club Accademico Alpino Italiano, Chiesi Farmaceutici e i donors privati.
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