Metanoia: l’alpinismo, l’equilibrio e il cambiamento di Jeff Lowe
Nel 1991 Jeff Lowe affronta da solo, in inverno e per una linea diretta, mai tentata né pensata prima, la parete Nord dell’Eiger. Un progetto a dir poco pazzesco, anche solo da concepire. Lui è uno degli alpinisti statunitensi più forti in assoluto, che ha ispirato e cambiato il modo di affrontare le pareti e anche l’ice climbing. Le sue salite, in Nord America e non solo, hanno stabilito un nuovo grado di difficoltà. Le sue solitarie, come quella sull’Ama Dablam, sono l’emblema del puro stile alpino. E quella salita del Latok 1 con annessa l’epopea della discesa resta una pagina indimenticabile. Ciononostante a detta di molti alpinisti, e soprattutto dei suoi stessi amici, il suo è un tentativo che rasenta il suicidio. Non solo perché la Nord dell’Eiger è una delle pareti più pericolose e difficili del mondo e per la difficoltà del progetto ma soprattutto perché Jeff sembra affrontarlo da “kamikaze”. O meglio come una vera fuga da una vita, la sua vita, che sta precipitando. Il suo matrimonio è fallito. E’ attanagliato dai rimorsi per aver trascurato sua figlia, che all’epoca aveva due anni. La sua azienda di materiale per l’alpinismo è fallita e lui è letteralmente inseguito dai creditori. Insomma, a 41 anni, la sua passione totalizzante per l’avventura e l’alpinismo, che da sempre l’ha visto vagabondare per le montagne del Nord America e del mondo, sembra aver mandato fuori controllo ogni equilibrio. Così Jeff si aggrappa alla montagna e al suo alpinismo, anzi sembra inconsciamente chiedere alla montagna e all’alpinismo una risposta alle sue difficoltà. Metanoia, il pluripremiato film di Jim Aikman, racconta proprio di questo viaggio di Jeff verso una qualche risposta, se non proprio una vera e propria soluzione sul senso della vita.
Perché la storia di Metanoia è appunto la ricerca tutta umana e perciò universale di un equilibrio e di un senso. D’altronde, a ben vedere, l’alpinismo ha molto a che fare con l’equilibrio. Per superare dal punto di vista fisico la forza di gravità, ma anche, e forse soprattutto, dal punto di vista tutto psicologico per conciliare una vita verticale oltre i limiti con quella della “normalità” del mondo orizzontale. Ed è proprio quest’ultima, che il più delle volte, rappresenta la vera sfida o meglio la difficoltà maggiore. Non a caso gli alpinisti spesso parlano di “dipendenza” o di “malattia” per spiegare la loro passione irrefrenabile e mai sazia per le montagne e l’avventura. E ancora più spesso vivono e “giustificano” i rischi dell’alpinismo come mezzo per ricercare se stessi e il senso di una vita “normale” che sembrano stentare a trovare. Dunque Lowe è lì ad affrontare l’Orco, l’Eiger, quasi come fosse l’ultima spiaggia: decide di guardare negli occhi il Drago e quell’abisso che forse sente anche dentro di sé. D’altra parte quella è la sua vita ed è lì che ha sempre ricercato il senso delle cose.
Il suo sarà un viaggio epico. Nove giorni durerà la sua lotta verso l’alto. Poi, quasi alla fine, di notte, in mezzo alla tormenta e in una situazione di estrema difficoltà, mentre guarda una foto stropicciata della figlia, dal suo profondo emergerà, improvvisa ed inattesa, una risposta. Anzi un’illuminazione. Il segreto sembra proprio nella “metànoia”, ossia in quel cambiamento del suo modo di pensare, o meglio di prospettiva, che riesce a fargli capire che la soluzione non è abbandonare l’alpinismo per essere un buon padre o un buon marito. La risposta sta nell’equilibrio che consente di scegliere e riconoscere le priorità. In quel momento sa e capisce che vuole essere un uomo migliore, un padre migliore. Non rinnega l’alpinismo ma sa di doverlo mettere in una diversa prospettiva. E sa anche che, forse, senza l’alpinismo non sarebbe mai stato in grado di capirlo.
Tutto questo avviene mentre è ancora nel bel mezzo del ballo. Deve ancora salvarsi. Deve assolutamente uscire dall’Eiger, scappare prima che la bufera lo travolga. In un ultimo slancio arriva a 20 metri dalla fine, ma è senza materiale e senza chiodi. Ha lasciato lo zaino 50 metri più in basso… Così arriva la decisione che forse, senza quella “metànoia” che l’ha trasformato, non avrebbe mai preso. Si slega e raggiunge la cresta, là dove lo recupererà l’elicottero. A quella straordinaria via sull’Eiger, da cui si è salvato e che l’ha cambiato e salvato per sempre, Jeff darà il nome di Metanoia. Nessuno fino a d’ora è mai riuscito a ripercorrerla.
Poche volte l’alpinismo ha trattato racconti così profondi e senza veli, mettendo in luce la grandezza ma anche i lati più nascosti di uno dei suoi protagonisti. Questo film lo fa con grande maestria e sincerità. Incrociando e ripercorrendo tutta la straordinaria vita di Jeff per comprendere quel suo prima e dopo l’Eiger. Per far questo il regista ha chiesto aiuto a molti degli alpinisti (tutti super) che hanno condiviso un pezzo di strada o addirittura la vita con Jeff Lowe. Come a quelli delle generazioni successive alla sua. Così Metanoia, attraverso il racconto dell’esperienza di Lowe, si intreccia con le visioni e il senso dell’alpinismo e della vita di molti altri per un profondo e appassionante viaggio. Un viaggio che diventa ancora più vero, potente e anche sinceramente commovente quando affronta la più grande battaglia di Jeff, quella del presente. Da 15 anni infatti lotta con una malattia degenerativa simile alla SLA, ma la sua forza, la sua volontà, la sua voglia di vivere e di essere un uomo migliore è la stessa che ha compreso sull’Eiger. E, ancora una volta, la sua “metànoia” l’ha salvato e un po’ insegna qualcosa anche a noi.
Vinicio Stefanello
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