Le stagioni dell'Ice climbing
Ezio Marlier e le molte stagioni dell'arrampicata su ghiaccio tra l'ice degli inizi, il dry tooling e un'idea di futuro.
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Ezio Marlier sulla Candela di Senden (Alpine Ice Tour 2005 - Valle di Gressoney, Gruppo del M.te Rosa, Valle d'Aosta).
Davide Camisasca
L’ennesimo inverno, le solite domande riecheggiano nella testa: ghiaccerà?... dove ghiaccerà? Passi un sacco di tempo, nei vari forum e siti internet, cercando notizie su cosa sia stato salito. E poi scatta la solita corsa a fare l’ennesima coda o a sobbarcarti alzatacce che ti permettano alle prime luci del giorno di essere la prima cordata. Quante volte mi è successo in questi 25 anni di cascate! Sempre la stessa musica. Certo è che nel 1985 c’erano molte più possibilità di oggi, l’attività su cascata era appena nata, e un timido movimento si stava organizzando. Erano per lo più gruppi di straordinari “avventurieri” che si lanciavano in “attacchi suicidi”, armati di attrezzature ben lontane dai moderni standard. Per esempio le piccozze avevano rigorosamente i manici diritti. Ed erano dei veri e propri strumenti “devasta nocche”: porto ancora i segni e i ricordi delle legnate che mi sono dato; dio che male...
Allora si scalava con la Chacal e il Barracuda, un cordino al puntale permetteva di appendersi agli attrezzi e chiodare. I chiodi erano buoni per stappare bottiglie... erano dei cavatappi e il famoso Snarg doveva essere battuto e poi, una volta infisso, con un solo mezzo giro avrebbe dovuto tenere una caduta! La disciplina però cominciò ad interessare le aziende produttrici che cominciarono a investire in questo mondo, ed inevitabilmente nacquero piccozze e ramponi sempre più performanti. Ma fino ai primi anni '90 le piccozze continuarono a mantenere sempre la forma originale, con il manico dritto, così le nocche rimanevano sempre gonfie… I chiodi ebbero un un miglioramento significativo: dai “cavatappi” si passò ai chiodi al titanio di fabbricazione russa. Erano leggeri, si riusciva ad avvitarli e si recuperavano. Però i test di caduta restavano rabbrividenti… ma non c’era di meglio e si usarono molto.
Eppure anche con quell’attrezzatura da “climberflinston” si passò per quella che risultò essere una tappa fondamentale dell'allora Piolet traction... la mitica Repentance Super. Una colata che rappresentava l’insuperabile e l’impossibile: chi fosse salito in cima a quella linea avrebbe raggiunto quello che tutti i ghiacciatori di allora sognavano. In realtà i primi salitori (Giancarlo Grassi, François Damilano e Fulvio Conta nel 1989 ndr) senza rendersene conto aprirono non solo una bellissima cascata, ma anche un modo diverso di approcciarsi all'arrampicata su ghiaccio. Quella salita rappresentò l’inizio di una corrente nuova, quella che guardava più in là di ciò che allora si poteva concepire e di ciò che si credeva possibile. Era l’inizio di una nuova visione, era “vedere” dove tanti avevano solo guardato. Inevitabilmente fu l'inizo di un nuovo modo di scalare, per stile e concetto. In quegli anni si salirono linee fantastiche, dure, pericolose, ma nessuna come Repentance ha rappresentato un passo fondamentale per l’ice climbing italiano e non solo, tanto da rimanere l’assoluto riferimento e “la salita test” da oramai 20 anni.
Erano gli anni '89, '90, sulla spinta di alcuni giovani climber, i cordini per la chiodatura non si usavano più e lo stile stava assumendo un connotato chiaro. Al posto del “pianto le piccozze e quando non ne ho più mi appendo”, si scalava, si cercava di essere più estetici, di rompere meno ghiaccio possibile e... si chiodava poco. Non perché non ce ne fosse l’esigenza, ma perché chiodare con quelle “cose” era troppo faticoso e così si andava oltre. Intanto le attrezzature subirono un’altra spinta in avanti, difficoltà sempre più elevate e strutture decisamente più fragili necessitavano di materiale diverso da quello in commercio. Inoltre questo stile di scalata, che non prevedeva più l’uso dei cordini per la chiodatura, impose o meglio sviluppò quella che fu la vera rivoluzione: il chiodo filettato.
Anche se lontani parenti di quelli attuali, questi chiodi permettevano di scalare ”in libera” senza appendendersi ai cordini. Così tenendosi alla piccozza con una mano con l’altra si riusciva a chiodare. Semplicemente fantastico! Finalmente ci si poteva proteggere senza alterare l’armonia della scalata. Eri obbligato ad assoggettarti alla conformazione del ghiaccio, metro dopo metro si cercavano le sue zone più deboli, non era più solo salire, era interpretare, leggere, andare oltre al conosciuto… In più, grazie al chiodo e alla “sicurezza che forniva”, si sdrammatizzò l’alone eroico del passato, e questo avvicinò molti praticanti alla disciplina. Con il chiodo filettato, nei primi anni '90, tutte le attrezzature ebbero una impennata tecnica e anche i ramponi e le piccozze subirono le prime importanti modifiche. Ma il vero cambiamento iniziò con l’avvento delle prime gare su strutture artificiali.
A Courchevel, nel '90, si disputò la prima gara su ghiaccio su struttura artificiale. A Cortina, nel 1999, si fece la prima gara internazionale di ice boulder, un evento che resterà nella storia. E poi arrivò anche la Coppa del mondo. La stagione delle gare, che oggi “resistono” con la sempre magnifica tappa di Daone insieme a quelle di Sass Fee, Busteni e Kirov, ha avuto l’assoluto merito di interessare le aziende. Così, anche per soddisfare le esigenze degli atleti, i materiali cambiano forma: le piccozze diventano sempre più arcuate e ai ramponi si aggiungono gli speroni. Di conseguenza i materiali diventano sempre più tecnici e performanti, il tutto a vantaggio della sicurezza dei praticanti che nell’arco di alcuni anni si sono accresciuti raggiungendo numeri molto interessanti. Intanto però in molte gare (ma non solo nelle gare) il ghiaccio cominciò a latitare. Un fenomeno che non si riesce a comprendere se non si fa un piccolo passo indietro.
Nel 1995 sulla copertina di rivista americana era apparso uno scalatore appeso a tentacoli di ghiaccio sospesi nel vuoto… è Octopussy, ovvero è l’avvento del drytooling. L’ice climbing per alzare le difficoltà in quegli anni prossimi al 2000 avrebbe dovuto spingersi su strutture troppo pericolose, dove gli standard di sicurezza non sarebbero stati sufficienti. Inevitabilmente un chiodo messo bene, e successivamente una linea di spit, risolvevano il problema e rendevano fattibili anche le strutture più impensabili o troppo pericolose, e anche qui il ghiaccio era sempre meno e le difficoltà si concentravano nelle parti rocciose.
Così dapprima Ice climbing e drytooling vengono mischiati e confusi in un'unica attività. Poi, piano piano e per diversi anni, le cascate di ghiaccio sembrano tornare nell’oblio per lasciar posto al drytooling con le sue evoluzioni decisamente spettacolari. Tanto più che il dry prende subito piede nell’alto livello tanto che sono molti i big che si ritrovano, picozze alla mano, a salire impressionanti strapiombi di roccia. E, in men che non si dica, le fantastiche immagini di queste salite rubano le copertine di tutte le riviste specializzate... Insomma sembra sia finalmente arrivata nuova linfa.
Intanto dalle piccozze sono definitivamente scomparse le dragonne e l’attrezzatura si conforma alle necessità. Con il drytooling le piccozze devono assolvere ad un diverso utilizzo: l’aggancio è diventato il padrone assoluto della tecnica di scalata. Così le forme e le impugnature cambiano, non sono più concepite per essere piantate ma per essere agganciate, nella maggior parte dei casi su roccia e resina… E le cascate? Nonostante ciò che molti pensavano e prevedevano il praticante medio continua ad arrampicare sulle cascate. Anzi nascono anche i primi Icepark dove il dry quasi non esiste.
Tutto inizia nel 1996 al meeting in Colorado… Bastano un canyon e un albergatore che appronta dei bocchettoni su una linea d’acqua ed ecco nascere l’Icepark di Ouray in Colorado.Tutto perfetto. Soste, calate, tutto organizzato: puoi scalare in moulinette su più di 50 linee… Anche in Italia, ma solo nei primi anni del 2000 e grazie all’intrapendenza di alcuni appassionati, nasce il primo park Italiano. La Valvaraita già all’avanguardia nel 1988 per aver organizzato il primo meeting per ghiacciatori, ne è il fautore. Il Castello oggi raduna un incredibile numero di praticanti, perché si può scalare posizionando la corda in moulinette passando da un comodo sentiero. Un modo diverso di interpretare la disciplina, soprattutto molto “popolare” perché dà la possibilità di provare senza corere troppi rischi.
I materiali oggi sono efficacissimi, iper leggeri, tecnici. Ci sono ramponi strabilianti, chiodi iper veloci. Nasceranno sicuramente nel prossimo periodo attrezzi, scarpe e abbigliamento specifico ancora più performante. Perché i numeri sono importanti e le aziende del settore vorranno sicuramente investire. Anche perché basta girare per montagne per vedere le attrezzature da cascata usate su tutti i terreni misti in quota. Quello che però dovrà cambiare è il modo di salire, ne sono assolutamente convinto. Il livello medio in questi ultimi anni e sceso drasticamente. Abbiamo attrezzi iper tecnologici eppure si continua a tremare nell’affrontare quello che 20 anni fa era normale. Questo significa che il movimento culturale che stava dietro a tutto si è fermato? Che eravamo extratterrestri? No! Noi cercavamo la nostra identità e cercavamo di seguire quel percorso che il maestro Grassi aveva indicato. Cercavamo un’evoluzione che oggi i giovani sembrano non cercare, lo dimostra il fatto che la mia generazione è ancora sulla breccia. E siamo tutti 40enni suonati!
Una cosa per me è sicura. A distanza di 20 anni dalla prima salita non c'è stato nulla che ha abbia rappresentato ciò che “Repentance” ha significato per l'ice climbing. Certo arriveranno altre “invenzioni” ma, passata la moda del momento, il ritorno al “ghiaccio” sarà sempre inevitabile. Perché la maggior parte dei climber non ha mai smesso di scalare e di sognare le cascate di ghiaccio, le pareti nord e le goulotte.
Ezio Marlier
Allora si scalava con la Chacal e il Barracuda, un cordino al puntale permetteva di appendersi agli attrezzi e chiodare. I chiodi erano buoni per stappare bottiglie... erano dei cavatappi e il famoso Snarg doveva essere battuto e poi, una volta infisso, con un solo mezzo giro avrebbe dovuto tenere una caduta! La disciplina però cominciò ad interessare le aziende produttrici che cominciarono a investire in questo mondo, ed inevitabilmente nacquero piccozze e ramponi sempre più performanti. Ma fino ai primi anni '90 le piccozze continuarono a mantenere sempre la forma originale, con il manico dritto, così le nocche rimanevano sempre gonfie… I chiodi ebbero un un miglioramento significativo: dai “cavatappi” si passò ai chiodi al titanio di fabbricazione russa. Erano leggeri, si riusciva ad avvitarli e si recuperavano. Però i test di caduta restavano rabbrividenti… ma non c’era di meglio e si usarono molto.
Eppure anche con quell’attrezzatura da “climberflinston” si passò per quella che risultò essere una tappa fondamentale dell'allora Piolet traction... la mitica Repentance Super. Una colata che rappresentava l’insuperabile e l’impossibile: chi fosse salito in cima a quella linea avrebbe raggiunto quello che tutti i ghiacciatori di allora sognavano. In realtà i primi salitori (Giancarlo Grassi, François Damilano e Fulvio Conta nel 1989 ndr) senza rendersene conto aprirono non solo una bellissima cascata, ma anche un modo diverso di approcciarsi all'arrampicata su ghiaccio. Quella salita rappresentò l’inizio di una corrente nuova, quella che guardava più in là di ciò che allora si poteva concepire e di ciò che si credeva possibile. Era l’inizio di una nuova visione, era “vedere” dove tanti avevano solo guardato. Inevitabilmente fu l'inizo di un nuovo modo di scalare, per stile e concetto. In quegli anni si salirono linee fantastiche, dure, pericolose, ma nessuna come Repentance ha rappresentato un passo fondamentale per l’ice climbing italiano e non solo, tanto da rimanere l’assoluto riferimento e “la salita test” da oramai 20 anni.
Erano gli anni '89, '90, sulla spinta di alcuni giovani climber, i cordini per la chiodatura non si usavano più e lo stile stava assumendo un connotato chiaro. Al posto del “pianto le piccozze e quando non ne ho più mi appendo”, si scalava, si cercava di essere più estetici, di rompere meno ghiaccio possibile e... si chiodava poco. Non perché non ce ne fosse l’esigenza, ma perché chiodare con quelle “cose” era troppo faticoso e così si andava oltre. Intanto le attrezzature subirono un’altra spinta in avanti, difficoltà sempre più elevate e strutture decisamente più fragili necessitavano di materiale diverso da quello in commercio. Inoltre questo stile di scalata, che non prevedeva più l’uso dei cordini per la chiodatura, impose o meglio sviluppò quella che fu la vera rivoluzione: il chiodo filettato.
Anche se lontani parenti di quelli attuali, questi chiodi permettevano di scalare ”in libera” senza appendendersi ai cordini. Così tenendosi alla piccozza con una mano con l’altra si riusciva a chiodare. Semplicemente fantastico! Finalmente ci si poteva proteggere senza alterare l’armonia della scalata. Eri obbligato ad assoggettarti alla conformazione del ghiaccio, metro dopo metro si cercavano le sue zone più deboli, non era più solo salire, era interpretare, leggere, andare oltre al conosciuto… In più, grazie al chiodo e alla “sicurezza che forniva”, si sdrammatizzò l’alone eroico del passato, e questo avvicinò molti praticanti alla disciplina. Con il chiodo filettato, nei primi anni '90, tutte le attrezzature ebbero una impennata tecnica e anche i ramponi e le piccozze subirono le prime importanti modifiche. Ma il vero cambiamento iniziò con l’avvento delle prime gare su strutture artificiali.
A Courchevel, nel '90, si disputò la prima gara su ghiaccio su struttura artificiale. A Cortina, nel 1999, si fece la prima gara internazionale di ice boulder, un evento che resterà nella storia. E poi arrivò anche la Coppa del mondo. La stagione delle gare, che oggi “resistono” con la sempre magnifica tappa di Daone insieme a quelle di Sass Fee, Busteni e Kirov, ha avuto l’assoluto merito di interessare le aziende. Così, anche per soddisfare le esigenze degli atleti, i materiali cambiano forma: le piccozze diventano sempre più arcuate e ai ramponi si aggiungono gli speroni. Di conseguenza i materiali diventano sempre più tecnici e performanti, il tutto a vantaggio della sicurezza dei praticanti che nell’arco di alcuni anni si sono accresciuti raggiungendo numeri molto interessanti. Intanto però in molte gare (ma non solo nelle gare) il ghiaccio cominciò a latitare. Un fenomeno che non si riesce a comprendere se non si fa un piccolo passo indietro.
Nel 1995 sulla copertina di rivista americana era apparso uno scalatore appeso a tentacoli di ghiaccio sospesi nel vuoto… è Octopussy, ovvero è l’avvento del drytooling. L’ice climbing per alzare le difficoltà in quegli anni prossimi al 2000 avrebbe dovuto spingersi su strutture troppo pericolose, dove gli standard di sicurezza non sarebbero stati sufficienti. Inevitabilmente un chiodo messo bene, e successivamente una linea di spit, risolvevano il problema e rendevano fattibili anche le strutture più impensabili o troppo pericolose, e anche qui il ghiaccio era sempre meno e le difficoltà si concentravano nelle parti rocciose.
Così dapprima Ice climbing e drytooling vengono mischiati e confusi in un'unica attività. Poi, piano piano e per diversi anni, le cascate di ghiaccio sembrano tornare nell’oblio per lasciar posto al drytooling con le sue evoluzioni decisamente spettacolari. Tanto più che il dry prende subito piede nell’alto livello tanto che sono molti i big che si ritrovano, picozze alla mano, a salire impressionanti strapiombi di roccia. E, in men che non si dica, le fantastiche immagini di queste salite rubano le copertine di tutte le riviste specializzate... Insomma sembra sia finalmente arrivata nuova linfa.
Intanto dalle piccozze sono definitivamente scomparse le dragonne e l’attrezzatura si conforma alle necessità. Con il drytooling le piccozze devono assolvere ad un diverso utilizzo: l’aggancio è diventato il padrone assoluto della tecnica di scalata. Così le forme e le impugnature cambiano, non sono più concepite per essere piantate ma per essere agganciate, nella maggior parte dei casi su roccia e resina… E le cascate? Nonostante ciò che molti pensavano e prevedevano il praticante medio continua ad arrampicare sulle cascate. Anzi nascono anche i primi Icepark dove il dry quasi non esiste.
Tutto inizia nel 1996 al meeting in Colorado… Bastano un canyon e un albergatore che appronta dei bocchettoni su una linea d’acqua ed ecco nascere l’Icepark di Ouray in Colorado.Tutto perfetto. Soste, calate, tutto organizzato: puoi scalare in moulinette su più di 50 linee… Anche in Italia, ma solo nei primi anni del 2000 e grazie all’intrapendenza di alcuni appassionati, nasce il primo park Italiano. La Valvaraita già all’avanguardia nel 1988 per aver organizzato il primo meeting per ghiacciatori, ne è il fautore. Il Castello oggi raduna un incredibile numero di praticanti, perché si può scalare posizionando la corda in moulinette passando da un comodo sentiero. Un modo diverso di interpretare la disciplina, soprattutto molto “popolare” perché dà la possibilità di provare senza corere troppi rischi.
I materiali oggi sono efficacissimi, iper leggeri, tecnici. Ci sono ramponi strabilianti, chiodi iper veloci. Nasceranno sicuramente nel prossimo periodo attrezzi, scarpe e abbigliamento specifico ancora più performante. Perché i numeri sono importanti e le aziende del settore vorranno sicuramente investire. Anche perché basta girare per montagne per vedere le attrezzature da cascata usate su tutti i terreni misti in quota. Quello che però dovrà cambiare è il modo di salire, ne sono assolutamente convinto. Il livello medio in questi ultimi anni e sceso drasticamente. Abbiamo attrezzi iper tecnologici eppure si continua a tremare nell’affrontare quello che 20 anni fa era normale. Questo significa che il movimento culturale che stava dietro a tutto si è fermato? Che eravamo extratterrestri? No! Noi cercavamo la nostra identità e cercavamo di seguire quel percorso che il maestro Grassi aveva indicato. Cercavamo un’evoluzione che oggi i giovani sembrano non cercare, lo dimostra il fatto che la mia generazione è ancora sulla breccia. E siamo tutti 40enni suonati!
Una cosa per me è sicura. A distanza di 20 anni dalla prima salita non c'è stato nulla che ha abbia rappresentato ciò che “Repentance” ha significato per l'ice climbing. Certo arriveranno altre “invenzioni” ma, passata la moda del momento, il ritorno al “ghiaccio” sarà sempre inevitabile. Perché la maggior parte dei climber non ha mai smesso di scalare e di sognare le cascate di ghiaccio, le pareti nord e le goulotte.
Ezio Marlier
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