La traversata del Monte Rosa di Andrea Lanfri e Massimo Coda
Riassumere le molteplici emozioni di questa traversata non è sicuramente semplice. L’avventura è iniziata domenica scorsa, alla fine degli impianti di risalita che ha portato noi e i nostri immensi zaini fino a Punta Indren, alla base del ghiacciaio, sopra Gressoney. Qui abbiamo sistemato gli ultimi dettagli del carico (tenda, fornello, cibo, materassino, sacco a pelo, ecc) e una volta sistemati i ramponi ai piedi, bastoncino alla mano sinistra e picca sulla mano destra, abbiamo iniziato a salire di quota.
La prima in lista era l’attraversamento delle Punta Giordani e della Piramide Vincent per arrivare al pernotto presso il bivacco Giordani. Il meteo era già ballerino, nuvole e nebbia andavano e venivano, la neve non era ottima ma permetteva un buon avanzamento verso il nostro obiettivo giornaliero. Il peso dello zaino si faceva sentire ma in realtà è passato in secondo piano perché eravamo molto entusiasti di questa nuova avventura alle porte, e così nel giro di poco abbiamo visto la madonnina sulla Punta Giordani, da lì sarebbe mancato poco ad arrivare in vetta alla Vincent, per poi concludere con la discesa verso il bivacco, ma dopo il traverso a mezza costa della Piramide per evitare la brutta cresta, il tempo era decisamente cambiato...
All’improvviso nuvoloni e nebbia, infine è arrivata una bella nevicata, tutt'a un tratto la nostra velocità di cammino ha avuto una drastica riduzione. Si iniziava a sfondare nella neve, in alcuni punti arrivava fino alla vita, abbiamo iniziato a procedere con molta lentezza, proseguendo piano piano, calpestando più volte la neve per creare una piccola strada per raggiungere il nostro obiettivo giornaliero. Il tempo però stava nettamente e velocemente peggiorando, noi eravamo lentissimi, il freddo si iniziava a far sentire e alla fine dopo un breve tratto roccioso dove si sfondava meno, è tornato di nuovo un tratto ripido, molto nevoso. Lì non riuscivamo proprio a salire, se non di pochi metri all’ora.
Dietro di noi un piccolissimo spiazzo, non molto grande, ha catturato la mia attenzione. “Piazziamo la tenda qui” dico a Massimo, “così non riusciamo ad arrivare al bivacco.” Mancavano 60 metri di dislivello alla vetta e 1 km al bivacco... Era veramente poco, ma il tempo andava sempre per le brutte, e alla fine siamo riusciti giusto in tempo a sistemare la tenda in quel piccolissimo spazio leggermente in discesa, entrare dentro ai sacchi a pelo mentre fuori iniziava a venire giù di tutto... Vento forte, grandine e freddo, ma noi eravamo al calduccio. Al mattino successivo il tempo pur non bello era leggermente migliore, e così abbiamo fatto quest’ultimo chilometro che ci separava dal bivacco, in più di 4 ore! Tanta, tanta neve e nebbia, una visibilità di 1 o 3 metri, Massimo dietro di me non riusciva a vedermi, eppure ero in cordata con lui a 8 metri di distanza.
L’avventura, la nostra traversata era iniziata, con un giorno di ritardo e bloccati al bivacco, dove in comodità abbiamo riposato, organizzato gli zaini e cenato. Eravamo da soli quindi ci siamo goduti lo spazio fino alla sera, quando 3 tedeschi sono arrivati per ripararsi per la notte, anche loro in attesa e nella speranza che il tempo migliorasse.
Solamente il terzo giorno siamo riusciti a raggiungere la Capanna Margherita, aveva nevicato tutta la notte, ormai ogni traccia segnata era scomparsa, e anche se c’era molta nebbia abbiamo deciso di partire; in quel momento non stava nevicando e le temperature non erano così rigide, almeno così sembrava, con tutti gli strati di vestiti che avevamo indosso. Gps alla mano, passo molto lento per evitare crepacci e seracchi e di finire in qualche guaio, tastando la neve con passo cauto abbiamo percoso questi ultimi 4 km per arrivare al rifugio. Negli ultimi metri di dislivello una lastra di ghiaccio ci separava dal caldo e da una bella cioccolata calda per me… Ho preso dall’imbrago due chiodi da ghiaccio, uno per allestire una sosta e l’altro per proteggere la salita. Il meteo stava peggiorando nuovamente, ogni tanta arrivavano delle forti folate di vento che alzavano la neve fresca che poi ci arrivava con forza addosso. Ogni volta ci fermavamo e aspettavamo che passasse la folata per poi ripartire, abbiamo persino usato le scale del Margherita per fare sicura! Alla fine siamo entrati dentro al rifugio e ci siamo stati fino alla mattina successiva.
I giorni di ritardo aumentavano. Ci sarebbe piaciuto salire altre vette tipo la Parrot, la Zumstein, ma c’era veramente tanta neve fresca in giro che ci avrebbe rallentato e il nostro cammino verso Cervinia era ancora lungo e soprattutto incerto per il meteo, avevamo paura di trovare altro tempo brutto e subire un ulteriore rallentamento.
Per questo abbiamo deciso di scendere ed attraversare verso il Rif. Quintino Sella, passando dal Naso del Liskamm, una zona a noi nuova. In passato eravamo già stati più volte nella zona del Margherita, del Mantova, ma oltre a quella era terreno completamente inesplorato. Siamo scesi e abbiamo inziamo ad attraversare, tutto rigorosamente senza traccia, affidandoci a cartine e gps, arriviando a salire le facili roccette della salita al Naso, per poi scendere le ripide roccette che portavano alla vista del Felik. Questa giornata alla fine è stata una delle migliori, climaticamente e non solo, il tempo era bello e la situazione neve nell’altro lato era migliore, quindi siamo arrivati al Rifugio Quintino molto bene. Qui siamo stati accolti con grande calore visto che il rifugio è del CAI di Biella, un nostro “partner” del progetto, insieme a banca Sella e al CAI centrale.
Dopo essere stati veramente “coccolati” abbiamo lasciato le comodità per fare la traversata del Felik e Castore, con obiettivo: bivacco Rossi e Violante. La giornata non era delle migliori, non c’era nebbia, né grandine, né neve, in compenso c’era un fortissimo vento. All’inizio eravamo un po' in dubbio sul partire o no, dovevamo attraversare una cresta abbastanza affilata, con forte vento e in spalla zaini da 20kg, non sarebbe stato piacevolissimo.
Il ritardo di un altro giorno era alle porte e le previsioni tramite il mio gps satellitare davano: vento a 40km/h con raffiche di 60km/h fino alle 12! Erano le 9,30 quando eravamo proprio sotto al Felik, e tante cordate scendevano. Noi chiedevamo il tempo in vetta, e tutti rispondevano che non lo sapevano perché non ci erano arrivati, molti infatti erano tornati indietro proprio per il vento.
A quel punto ci siamo fermati proprio sotto la salita al Felik, eravamo leggermente riparati e abbiamo aspettato che il tempo passasse e il vento pure, ma a star lì fermi non era semplice e ad un certo punto ho pensato di montare pure la tenda per una sosta più comoda. Alla fine abbiamo proseguito, molto lentamente, per cercare di arrivare nel punto critico il più tardi possibile, ma in realtà abbiamo attraversato quella cresta con il vento, con molta calma, un po' in cresta un po' a mezza costa, di lato al filo di cresta. E così siamo arrivati in vetta al Castore. È stato un tratto molto delicato che ha richiesto molta attenzione, un'attenzione così alta che non ci ha fatto pensare ad altro, anche il peso dello zaino era scomparso! Una salita tutta d’un fiato, senza mai fermarsi né per bere, né per mangiare.
Arrivati in vetta al Castore siamo scesi, nuovamente senza traccia; abbiamo scelto la parte meno pendente della parete facendo una sorta di zig zag, evitando crepacci, disarrampicando con due picche alla mano. In lontananza sul ghiacciaio una cordata tentava di salire, vedendoli ho cercato di collegare la mia traccia con la loro in modo da essere più veloci. Una volta congiunte, le difficoltà erano comunque elevate, davanti a noi in alto su una roccia nera si vedeva il bivacco, nostra meta giornaliera. Gli ultimi 50 metri di dislivello erano molto ripidi, poi finalmente arrivati siamo entrati al riparo. Abbiamo pranzato e bevuto, molto soddisfatti della giornata, anche quella non facilmente dimenticabile grazie anche alla nostra grande amica di queste giornate: la nebbia. Sì perché il vento in realtà nel pomeriggio è andato via ma la nebbia no, quella ormai è stata la nostra amica sin dall’inizio.
Ultimo giorno! Dal bivacco a Cervinia, bella! C’era il sole, senza vento e senza nebbia, la neve era bella “croccante” al punto giusto, ormai era l’ultimo giorno. E alla fine stavamo proseguendo come da programma, il venerdì sera sarebbero venuti a prenderci e quindi con molta calma ci siamo incamminati verso gli impianti di Testa Grigia.
Mentre camminavamo ci giravamo per guardare dietro, per vedere la parete del Castore dove in questa giornata molte cordate salivano. Si vedevano i zig zag sulla neve, ma noi eravamo saliti e scesi senza… eravamo stati bravi, e soprattutto non ci siamo mai persi d’animo, abbiamo stretto i denti quando serviva e alzato la concentrazione ai massimi livelli per non commettere errori.
Ci sarebbe piaciuto salire anche altre vette, ma di questa traversata abbiamo imparato molto. Il bello è il cammino. La cima è solo un punto geografico sulla carta, quello che conta davvero è il viaggio fatto, e la magia è arrivare al traguardo carichi di tutto il percorso che ci si è lasciati alla spalle.
La nostra traversata, unica al mondo, l’abbiamo fatta contando esclusivamente sulle nostre forze. E' stata un'esperienza forte, in condizioni difficili, che ha messo alla prova non solo la nostra resistenza fisica, ma soprattutto quella mentale, non potevamo mai abbassare la guardia, abbiamo avuto intoppi ma abbiamo sempre cercato una soluzione, un po' è come quello che abbiamo fatto con i nostri problemi: cercare soluzioni ed alternative per seguire i nostri sogni, nonostante tutto!
di Andrea Lanfri
Link: andrealanfri.com, IG Andrea Lanfri, FB Andrea Lanfri, Ferrino, La Sportiva
Andrea Lanfri
Classe 1986, nel 2015 in seguito ad una meningite fulminante con sepsi meningococcica ha perso entrambe le gambe e sette dita delle mani. Ex membro della Nazionale Paralimpica Italiana di atletica, è vincitore di un argento mondiale a Londra nel 2017.