Grivel: storia e meraviglie dei primi 200 anni di alpinismo
“Ci vogliono sette od otto generazioni per fare 200 anni. Ne sono passate circa una settantina dalla nascita di Cristo... meno di un battito di ciglia se paragonato al tempo del mondo”. Il Monte Bianco sta lassù, e sembra guardarci quasi con benevolenza. La giornata è magnifica, e il respiro senza tempo della natura pare davvero senza fine. Sì, 200 anni sono nulla: concordo con Gioachino Gobbi che sta per dischiudermi il suo luogo delle meraviglie. Una sorta di macchina del tempo che percorre i 200 anni di storia della Grivel. Anzi, i 2 secoli e più dalla nascita dell'alpinismo. Perché se l'alpinismo, o meglio il suo concetto, si fa iniziare da quel fatidico 8 agosto 1786 - data della prima salita del Monte Bianco da parte del dottor Michel Gabriel Paccard e del cercatore di cristalli Jacques Balmat - la Grivel sembra sia nata solo poco più di 3 decenni dopo, nel 1818 com'è inciso nell'architrave della vecchia officina, quindi esattamente 2 secoli fa.
Fu allora che quella famiglia di fabbri di Courmayeur, i Grivel appunto, cominciò a convertire i tradizionali attrezzi adatti per l'agricoltura sui pendii montani per rispondere alle esigenze di quei primi ricchi viaggiatori che, appassionati di quella nuova e stramba moda d'élite, volevano scalare le montagne. Una passione, quella per l'alpinismo, che ancora adesso ad alcuni risulta inspiegabile, e che la Grivel non ha più abbandonato. Così da 200 anni qui si produce attrezzatura (in gergo hardware) per l'alpinismo, spesso inventandosi soluzioni nuove, sempre con idee originali e mai scontate.
“D'altra parte non si saprà mai se sono le imprese dell'uomo che spingono la tecnica o viceversa”, mi dice intanto Gioachino. Lui oggi è in tenuta d'artista, con tanto di camice e berretto stile scultore bohemien. Solo che non siamo nella Parigi del 19° secolo ma appunto a Courmayeur, nella storica sede della Grivel, e lui mi sta aprendo la porta del suo “laboratorio”. La famiglia Gobbi è subentrata alla famiglia Grivel alla metà degli anni '80. E non è un caso se parliamo di famiglie. C'è continuità non solo di nome ma anche di storia in questo passaggio di testimone. Gioachino e Betta (appunto la famiglia Gobbi) sono il cuore della Grivel. Come Courmayeur e la sua montagna, il Monte Bianco, è il posto dove tutto è iniziato. E dove tutti i grandi uomini e le grandi donne dell'alpinismo sono passati.
Ma eccolo il “laboratorio”. Lì dove un tempo c'era la produzione ora c'è, oltre a quello che ti saresti aspettato, anche e soprattutto quello che non ti saresti aspettato di trovare per raccontare questa lunghissima storia. “Guai se la chiami mostra” mi intima Gioachino all'ingresso “questo è uno spazio vivo che si trasforma. Non è un museo, qui puoi toccare gli oggetti.” E' vero. E' proprio un salto dal presente al passato. Quasi una specie di tempo sospeso. Si possono ammirare le piccozze o i ramponi in tutte le loro fogge e interpretazioni. Soppesare quelle modernissime e leggerissime d'oggi e quelle di quei primi alpinisti dell'Ottocento da cui tutto è nato. Oppure soffermarsi sulla trasformazione di quegli scarponi chiodati (per non consumare la suola) dei montanari di una volta in quelli usati da Edmund Hillary e Tenzing Norgay per salire in vetta all'Everest nel 1953 o quelli della spedizione italiana al K2 del 1954. A proposito della possibilità di toccare gli oggetti esposti... quegli scarponi carichi di memoria li ho proprio accarezzati. Come sono rimasto incantato dai primi ramponi a 10 punte che sono nati proprio qui.
Pare di vederlo Henry Grivel “fabricant de pics et rampons pour glace” mentre Oscar Eckenstein, grande alpinista ed ingegnere inglese, gli mostrava proprio quel disegno che adesso sto guardando anch'io. Era il 1909 e il più bravo fabbro di Courmayeur raccolse la sfida. Così nacquero quei ramponi che rivoluzionarono l'alpinismo sulle pareti ghiacciate. Ma non fu l'unica volta. Le tradizioni di famiglia si rispettano. Così si possono ammirare, e se volete pure accarezzare, anche i ramponi a 12 punte con quell'aggiunta delle due punte frontali che tanto incisero (letteralmente) sul ghiaccio come sull'evoluzione dell'alpinismo. A forgiarli, mentre correva l'anno 1929, fu Laurent figlio di quell'Henry che aveva realizzato i suddetti primi ramponi a 10 punte. Questione di stile verrebbe da dire.
Come di stile, immenso, è permeato l'autentico viaggio (anche storico) tra le illustrazioni dedicate all'alpinismo. Si va dagli anni dei suoi inizi con le famose stampe della salita di de Saussure al Monte Bianco. A quelli in cui raccontare i fatti dell'alpinismo non era quasi mai possibile con la macchina fotografica. Fino alle celebri copertine della Domenica del Corriere, della Gazzetta dei lavoratori o dell'Illustrazione del popolo. Un mondo colorato e magnifico che riprende, con fantasia e pure con intenti propagandistici, il senso della montagna e delle scalate nella prima metà del secolo scorso.
Ma dicevamo degli uomini e delle donne. Degli alpinisti e delle alpiniste. E poi di chi li ha supportati, anche pensando all'attrezzatura più adatta, per quella loro passione immensa per le montagne e l'avventura. Qui ne sono passati tanti. E tante sono le testimonianze presenti in questa sorta di “camera delle meraviglie” che raccoglie 200 anni della storia di Grivel e dell'alpinismo. Sono tante, moltissime storie. Forse troppe per essere raccontate in un'unica soluzione. In un unico spazio. Ecco, forse è per questo che Gioachino parla di uno spazio aperto e in divenire. Sto per chiedergli se è proprio così, ma mi accorgo di essere rimasto solo in questo “spazio senza tempo”. Esco e lo ritrovo. “Vedi” mi fa “dopo tanti anni ancora non mi sono abituato a tanta bellezza”. Lassù, immobile, splende maestoso il Monte Bianco.
Vinicio Stefanello
info: www.grivel.com