Il formidabile spigolo del Filo a Piombo al Becco di Valsoera compie 40 anni

La via del Filo a piombo al Becco di Valsoera (Vallone di Piantonetto, Gran Paradiso) è stata aperta da Andrea Giorda e Alessandro Zuccon nel 1982. Quarant’anni dopo Giorda e Zuccon ricordano il formidabile spigolo, mentre la relazione della via è di Filippo Ghilardini.
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Andrea Giorda nel 1982 in apertura sul Filo a Piombo al Becco di Valsoera
Alessandro Zuccon

"Di sguardi al grande formidabile spigolo ne erano stati rivolti parecchi, da me e non solo da me…ormai il problema era palese, era la linea ideale, ma ci lasciava alquanto perplessi. Non dico non si possa salire ma chi vorrà accingersi all’impresa è bene che si organizzi per svaligiare tutti i negozi di chiodi (espansione compresi) della città."

Queste autorevoli considerazioni sono nientemeno che di Gian Piero Motti, il "formidabile spigolo" di cui parla è quello del Becco di Valsoera nel vallone di Piantonetto, una diramazione della Valle dell’Orco in Piemonte.

Nel 1960 il vulcanico Andrea Mellano era riuscito a dirottare verso il Becco di Valsoera la moto di Romano Perego. Perego, eccezionale scalatore e Ragno di Lecco, era diretto al Monte Bianco. I due, insieme a Enrico Cavalieri, salirono lo spigolo fino a circa metà, dove inizia a strapiombare presero un bellissimo diedro sulla sinistra che portava in vetta, oggi è una via ripetutissima, la Cavalieri Mellano Perego.

Come fa notare Motti, lo spigolo del Valsoera è una delle più belle prue di granito delle Alpi ed era il problema dei problemi. Nel settembre 1982, quando ormai la stagione stava per finire, Alessandro Zuccon ed io avevamo poco più di vent’anni e decidemmo di provarci. Eravamo in pienissima forma, veloci e determinati. Scalammo lo spigolo vergine andando poi ancora in vetta (600 metri in tutto) scendendo dal canale nevoso (non esistevano al tempo doppie sul versante Ovest) e nel pomeriggio tardi eravamo già al Rifugio Pontese, a goderci gli ultimi deboli raggi di sole, quasi autunnali.

Avevamo usato i nut, pochi chiodi, nessuno a pressione, perché eravamo fermamente contrari. Avevamo portato sul Becco, su una fredda parete a Ovest, a più di 3000 metri di altezza, un nuovo e moderno modo di scalare, che più che sui chiodi si basava sulla velocità e sulla capacità di passare in libera su alte difficoltà (per l’epoca), anche dove non si poteva chiodare o le protezioni erano precarie.

Decidemmo, forse un po’ compiaciuti, di chiamarla Via del Filo a Piombo. Nome anche un po’ ironico perché le vie del Filo a Piombo o Direttissime erano quelle denunciate da Reinhold Messner nel suo celebre articolo "L’assassinio dell’impossibile". Messner metteva all’indice il dilagare dei chiodi a pressione usati con le staffe per superare qualsiasi ostacolo e diceva "che gusto c’è a giocare ad un gioco dove si vince sempre?" e ancora "… io non ho nulla contro i chiodi a pressione, costano poco, ti fan passare dappertutto, hanno solo una controindicazione, ammazzano l’Alpinismo! "

Ecco, noi avevamo colto il messaggio, eravamo abituati a scalare in Valle Orco tentando la libera con pochi nut, ma la svolta in montagna venne con una delle primissime ripetizioni italiane della Diretta Americana al Dru, dove, nel 1981, incontrammo Patrick Berhault e Jean Marc Boivin. La coppia di fenomeni, in giornata aiutandosi con un deltaplano biposto, aveva scalato anche l’Americana all’Aiguille du Fou. Quanta strada avevamo da fare rispetto a quei due?

Sandro ed io non ci accontentavamo di guardare all’orticello di casa, ma consapevoli della nostra perfetta intesa in parete, tornammo l’anno dopo, nel 1982, sfrontatamente nel campo da gioco più famoso al mondo, le Aiguilles di Chamonix . Senza timori reverenziali aprimmo una nuova via sui Grand Charmoz, dove Zucs (Alessandro) mostrò le sue qualità di placchista, superando una sezione liscia e non proteggibile come solo lui sapeva fare.

Se scorrete il librone di Michel Piola sulle scalate sul Monte Bianco, non vedete, in quegli anni, nomi di italiani tra gli apritori sulle Aiguilles di Chamonix. Era la luna, era terreno esclusivo per exploit dei francesi. Zucs, io e Pierre Mauro, il terzo socio, ci siamo nel librone, con la nostra piccola bandierina, la Via degli Italiani.

Nel 1992, i famosi fratelli Remy, forse mal consigliati e forse ignari che esistesse già una via rimasero affascinati dallo spigolo e aprirono una via che andava ad intersecate più volte la via del Filo a Piombo. La via dei Remy, aperta a spit, seppur notevole, non ebbe mai un gran successo e la via del Filo a Piombo profanata con gli spit perse quell’aura di purezza che la caratterizzava. Per me e per Alessandro, ma non solo, era stata alterata una linea storica che faceva sognarechi voleva ripeterla con il nostro stile.

Sono passati 40 anni dall’apertura del Filo a Piombo e il nostro amico Filippo Ghilardini, giovane e forte istruttore della Scuola Gervasutti, ha lavorato di fino e ha convinto me e Zucs a tornare sul nostro spigolo, insieme in cordata. Oltre a noi un allievo istruttore ancora più giovane, Lorenzo Turletti, tre generazioni in due cordate.

Sia io che Alessandro, pur avendo passato i 60 da un po’, siamo molto attivi, non siamo tipi da guardare indietro con la lacrimuccia e abbiamo sempre nuovi progetti, forse troppi. Ma legarci insieme di nuovo, dopo 35 anni dall’ultima volta, per questa via speciale, è indubbio che abbia fatto riemergere i ricordi della nostra antica intesa. Entrambi eravamo un po’ curiosi di cosa avremmo trovato. La mia impressione è stata quella di una linea verticale, per niente banale, moderna e unica per estetica. A volte sei proprio a cavallo dello spigolo con un vuoto assoluto. Certo, ora ci sono le soste a spit, alcuni spit su punti chiave della via dei Remy, Agrippine.

L’ingaggio nostro del 1982, quando ci siamo lanciati all’avventura solo con qualche chiodo e qualche nut, senza sapere cosa avremmo trovato, è irripetibile. Oggi poi oltre agli spit abbiamo i Friend, un lusso assoluto che risolve quasi tutti i problemi. Mi chiedevo se oggi, pur con tutti i chiodi in loco, sarei in grado di salirla in scioltezza senza un Friend. Siamo carichi di materiale come asini, è presto fatto il confronto con l’unica foto originale che mi è rimasta, è una sentenza e una testimonianza. Grande lasco e pochissimo materiale in apertura per essere leggeri e veloci.

Una nota dolorosa è l’assenza assoluta di neve nei canali e sulle cime intorno, un deserto ormai. Mentre scalavo avvolto dai ricordi mi è venuto in mente il detto Tuareg "Le oasi sono per il corpo, il deserto per l’anima". Ecco forse perché siamo di nuovo qui a sessanta anni suonati, cosa ci ha fatto tornare, cosa cerchiamo su queste rocce fredde e immutevoli, cosa cerchiamo in montagna.

Filippo, che ringraziamo, ha scritto una nuova e dettagliata relazione della via che alleghiamo. Aiuterà i giovani alla riscoperta del percorso originale della via del Filo a Piombo, che ha rappresentato un passo importante nello stile di apertura nelle valli canavesane.

Lascio la parola al mio antico socio Alessandro Zuccon detto Zucs e poi al giovane Filippo Ghilardini detto Zucchino come seguace di Zucs, che vi raccontano le loro impressioni.

Un caro saluto va ai ragazzi del Corso Guide della Lombardia, che sul Becco ci hanno tenuto in allegra compagnia.

di Andrea Giorda

FILO A PIOMBO 40 ANNI DOPO di Alessandro Zuccon
Quante vie chiamate Filo a Piombo ci sono sulle nostre montagne? Una veloce ricerca sul Web ci da la risposta: parecchie.

Evidentemente l'idea della linea che sale verso l'alto dritta dritta piace, affascina sempre, simbolo di eleganza? Di purezza? Di sfida?

Anche noi, io e Andrea, 40 anni fa ci cascammo e l'affilato e verticale spigolo del Becco di Valsoera, che nelle giornate terse è visibile persino da Torino, fu Filo a piombo, forse la prima via sul Becco che osava uscire dal classico, era la metà di settembre 1982, due anni dopo fu la volta di Sturm und Drang.

Domenica 10 luglio 2022 dopo appunto 40 anni, io e Andrea ormai over 60, coi giovani e forti Filippo e Lorenzo, una generazione più avanti, ci siamo tornati. Perchè? Commemorazione simbolica? Inconfessabile tentativo di illudersi che tutti questi anni siamo passati senza lasciare traccia sul nostro fisico e sul nostro spirito? Rito propiziatorio per gli anni a venire?

Probabilmente un poco di tutto ciò, ma comunque ancora una bella giornata in montagna, a dispetto del freddo mattutino e delle classiche nebbie pomeridiane del Piantonetto (peraltro questa domenica molto modeste), su una bella via, difficile ma non troppo dove, almeno io, ho ancora un poco di margine per divertirmi a scalare, con amici affidabili e collaudati. Filo a Piombo, alla prossima volta......

Alessandro Zuccon
12 luglio 2022

LA MIA ESPERIENZA SUL FILO A PIOMBO di Filippo Ghilardini
L’apprendista, nell’alpinismo come nella maggior parte dei mestieri, necessita di un Maestro. Un maestro è un’entità indispensabile perché, oltre alle nozioni teoriche, nell’andar per monti come in qualsiasi attività artigianale è fondamentale l’accompagnamento nell’esperienza, l’osservazione e l’emulazione, per formare un indirizzo proprio nell’approccio alla disciplina.

La recente ripetizione del Filo a Piombo al Valsoera è stata per me simile ad una tesi, un tassello di un lungo percorso di apprendimento, che tra gli altri ha avuto come maestri proprio Alessandro Zuccon e Andrea Giorda, i quali la tracciarono nel settembre 1982, 40 anni fa.

Se è vero che chi mi ha insegnato tutti i rudimenti, con grande pazienza, è stata un’altra persona, Giampiero, sono grato che il mio percorso si sia incrociato, grazie alla Scuola Gervasutti, successivamente con Andrea e Sandro. Grazie a loro ho trovato il mio indirizzo, fatto mia la loro visione. Un approccio fatto di esplorazione, visione in grande, duro lavoro per ottenere i risultati desiderati e una profonda ricerca estetica.

Il Filo a Piombo è una delle loro vie meglio riuscite, per armonia, visione, capacità. Una via che Motti tredici anni prima definiva quasi impossibile, chi avesse voluto tentarla avrebbe dovuto svaligiare tutti i negozi di attrezzatura tecnica di Torino, chiodi a pressione compresi, scriveva. Eppure, ripetendola per la prima volta domenica scorsa, ho trovato una via modernissima, lineare, continua su difficoltà tutto sommato abbordabili. Una via perfetta. Così moderna che purtroppo 10 anni dopo i fratelli Remy, i maestri apritori a livello mondiale che tutti conosciamo, ne ricalcarono quasi interamente il tracciato, cercando il loro spazio sull’evidente linea dello spigolo.

Sandro e Andrea sono stati dei precursori e dei visionari, ma non voglio qui incensarli, per questa o altre loro salite, voglio ringraziarli. Il tempo li aveva un po’ divisi, la loro perfetta complementarietà di stili nella scalata, si rispecchia anche in caratteri molto diversi nella vita, con gli anni la cordata si sciolse, e da quelle salite di inizio/metà anni ’80 non si erano mai più legati insieme.

Nel mio piccolo, ho scritto il mio nome prima vicino all’uno e poi all’altro, in aperture molto diverse tra loro ma tutte estremamente coinvolgenti ed istruttive. Il desiderio profondo, per esprimere loro la mia riconoscenza, era però quello di riunire la cordata.

Ci sono riuscito con questa ripetizione - 40 anni dopo - una giornata bellissima progettata insieme a Martina, la mia compagna, che purtroppo è stata costretta a casa dal Covid. Mi sono legato quindi con Lorenzo, giovane e forte allievo istruttore della Scuola, nel segno di quella continuità tra Maestro e Apprendista che lega la nostra attività, nella speranza che l’insegnamento di Sandro e Andrea passi ad un’altra generazione ancora. Quando tocchiamo la montagna, che ne valga la pena, che l’opera sia realizzata "a regola d’arte", che esprima genialità, fatica, perché no rischio, ma soprattutto visione e profonda onestà intellettuale, come l’opera di un sapiente maestro artigiano. Come il Filo a Piombo.

Filippo Ghilardini
12 luglio 2022

SCHEDA: Filo a Piombo al Becco di Valsoera




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