Everest, sguardi al campo base del tentativo di salita invernale di Alex Txikon
Dopo essere arrivati a Gorak Shep il primo gennaio e aver festeggiato il Capodanno a Lobuche, inusuale cornice ambientale con l'enorme mole del Nuptse sopra di noi, con Ali (Ali Sadpara ndr), ieri, 2 gennaio, siamo saliti al Kala Pattar a circa 5500 m. In una giornata fredda e luminosa, come ormai succede da molti giorni. Dalla vetta, si apre un panorama straordinario sul ghiacciaio del Khumbu e sugli anfiteatri di roccia e ghiaccio che circondano la grande mole dell'Everest, la cui cima si intravvede appena dietro il Lhotse.
Un breve riepilogo delle condizioni del gruppo: a Gorak Shep siamo arrivati io, Alex (Alex Txicon) e Ali con alcuni portatori, il resto del gruppo si è trattenuto a Lobuche, a causa di evidenti sintomi di mal di montagna che hanno colpito alcuni membri del team. Soprattutto Dani, il surfer di Barcellona, continua a soffrire da giorni di emicrania.
Ieri, 2 gennaio, appena rientrati dal Kala Pattar, dopo una colazione veloce ci siamo avviati verso il campo base. Una risalita lenta attraverso morene e pietraie che coprono la grande lingua di ghiaccio del Khumbu, in circa tre ore. Il campo è disposto a raggio, intorno alle due tende principali, dove sono sistemate la cucina e la sala da pranzo. Io mi sono ficcato dentro la tenda comoda e accogliente. Sopra di noi, incombente, la seraccata del Khumbu, su cui dovranno esser montate le scale per consentire l'attraversamento complesso dell'Icefall. Ma ben presto ho percepito di trovarmi in un luogo estremo, in condizioni ambientali proibitive.
Nel tardo pomeriggio il cielo si è chiuso sotto una coltre di nuvole dense. Il vento del nord cominciava ad abbattersi sulle nostre tende, e la sensazione primaria era di essere in balia di forze grandiose. Anch'io cominciavo ad avvertire qualche sintomo, mal di testa e inappetenza. Alex, sempre sereno e sorridente, mi sottopone alla saturazione dell'ossigeno nel sangue, in effetti era di 71, al di sotto dello standard necessario per una buona acclimatazione.
Intanto Ali, mio compagno fidato, si prendeva cura di me in modo amorevole, preparandomi il sacco, sistemandomi i materiali, offrendomi del tè... Con Ali ho stabilito un rapporto profondo, fatto di piccoli doni reciproci (gli ho dato dei guanti pesanti d'alta quota è un paio di mutandoni), di sorrisi complici, di riflessioni intorno alle sue salite sugli ottomila insieme ad Alex, Nardi ed ai polacchi. E di tutto questo vi dirò in modo più approfondito in un report dedicato ad Ali Sadpara. Uomo generoso e semplice, ma dotato di una forza psicofisica straordinaria.
La notte è stata una delle più dure della mia vita. Solo al campo due dell'Aconcagua, in Argentina, avevo vissuto qualcosa di simile. Per quanto fossi ben equipaggiato, sentire intorno a me il vento impressionante che a tratti si abbatteva sulla tenda con raffiche potenti e il calo drastico delle temperature, almeno 23/24 gradi sotto zero, con tutti i sintomi del mal di montagna, francamente era troppo. Ma ho cercato di concentrarmi e valutare ogni possibile opzione. L'unica concessa era quella di aspettare che il tempo passasse.
In piena notte, avvertii dei conati di vomito e usai un sacchetto. La notte era ancora lunga, la condensa produceva cristalli di ghiaccio che si depositavano sul sacco creando una condizione di freddo ulteriore. Potevo solo avvolgermi nel sacco e attendere. "A dda fini' a nuttata!". Dopo 14 ore di attesa il cielo ci aveva concesso stamattina, una delle albe più belle. Oggi sono rientrato a Gorak Shep in uno stato di sfinimento.
Domenico Perri
info: Everest 2018 Winter Expedition b.c. 5364 m