Ermanno Salvaterra, la Grande Traversata del Torre e il futuro dell’alpinismo in Patagonia

Dopo il grande viaggio di Rolando ‘Rolo’ Garibotti e Colin Haley sull’Aguja Standhardt, Punta Herron, Torre Egger e Cerro Torre, Ermanno Salvaterra, che di quella traversata è stato uno dei più ferventi innamorati e “tentatori”, ne ripercorre la storia e il sogno lanciando una visione per il futuro dell’alpinismo patagonico.
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Sui funghi del Cerro
arch. E. Salvaterra

“La traversata è stata fatta. Il grande progetto ha avuto finalmente esito. Ero stato il primo, con Giarolli ed Orlandi, a tentare questo progetto quasi vent’anni fa. Erano altri tempi, non avevamo forse nemmeno una grande esperienza per provare una cosa simile ma semplicemente l’idea ci attirava molto.

Ricordo le fatiche, la determinazione dei miei soci, le giornate e le notti al freddo passate su quelle pareti. Di come saliva Icio su ghiaccio. Delle parolacce che mi sentivo dire perché volevo partire anche se il tempo non prometteva nulla di buono. Ma si partiva. Si provava. E poi si tornava indietro bastonati, e tutto per colpa mia.

Ricordo Elio su Exocet quando risaliva a jumar, con un saccone inverosimile sulle spalle attaccato in alto alla corda per non essere rovesciato indietro. Ricordo anche la volta quando c’era anche Andrea Sarchi con noi. Quel bivacco estenuante di oltre 60 ore, seduti e rinchiusi nella nostra tendina da parete. Ricordo quel che mi dissero loro: “E quando torneremo a casa, dopo una settimana, non ti sognare di telefonare per programmare di ritornare l’anno prossimo…”.

A quel tempo non sapevamo niente della Standhardt, era stata salita per la prima volta pochi anni prima. La Herron la guardavamo come fosse un fantasma. Della Egger ci aveva detto due parole Giongo, una volta che ci eravamo incontrati a casa sua, a Merano. Del Torre poi, forse non ne avevamo nemmeno parlato fra di noi. L’idea però ci piaceva. E così seguirono 3 anni di tentativi e di rinunce. Grandi soddisfazioni ed altrettante batoste.

Poi nel 1991, quando con Adriano Cavallaro e Ferruccio Vidi, salimmo la Standhardt e la Herron ci parve di sognare. Questi ricordi rimangono impressi nella mia mente come incisi nell’angolo della memoria.
Col passare degli anni ogni tanto si riparlava di provare questa cosa. Qualcuno faceva finta di non sentire. Pochi anni fa, ricordo che la proposi ancora a Giarolli, ma la risposta fu molto impalpabile.

Ora qualcuno l’ha fatto questo mio grande sogno. L’ha fatto chi ha creduto in quel progetto, chi ha saputo provare e riprovare. Non è facile arrivare tanto avanti e poi avere la voglia di riprovarci di nuovo, lo so bene anch’io, credo lo sappiano in tanti questo.

Bisognerebbe imparare da Rolo, bisogna, se vogliamo che l’alpinismo continui ad andare avanti e non si fermi solo alla ricerca della difficoltà. Vedremo quanto tempo passerà ancora, prima di vedere qualcuno salire sulle grandi Vie degli Sloveni, di quei personaggi incredibili come Jeglič, Karo e Knez alla est del Torre, o alla sud, o al diedro della Egger, o al grande diedro degli Inglesi Burke e Proctor sulla est del Torre, o alla via dei mitici Americani Donini, Bragg e Wilson alla sud della Egger.

Erano altri tempi, era gente veramente tosta. Certamente si usavano corde fisse, ma erano altri tempi. Ora si dovrebbe salire su quelle grandi via in stile puro, alpino. Vedremo, mi piacerebbe molto, anche se non vedere, ma almeno leggere di salite così, vedremo…”

Ermanno Salvaterra





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