Ermanno Salvaterra e il tentativo sulla Torre Egger in Patagonia
GRANDE PATAGONIA: SULLA OVEST DELLA EGGER PIÙ RULETA TRENTINA
di Ermanno Salvaterra
Com’è andata? Direi bene a parte gli ultimi giorni dopo essere ritornati al Chalten: Perché Tomas e Francesco avevano ancora troppa voglia di arrampicare e così un giorno Tomas è andato a fare la Exocet alla Standhardt con un argentino e Francesco a fare una via all’Aguille Mermoz. Poi, non ancora sazi ma sempre carichi, sono partiti per la Supercanaleta al Fitz Roy. Sono saliti veloci per oltre mille metri e sul primo tiro in roccia una scaglia si stacca sotto la piccozza. Un breve volo, il friend tiene ma finisce in una fessura con un piede. Ahi! Sente un brutto rumore… Francesco gli dice che non è niente ma Tomas ha sentito troppo bene quel rumore di ossa. Rinuncia! Lunga discesa a doppie e altrettanto lunga camminata fino alla Piedra del Fraile. Poi l’arrivo al Chalten e brutta notizia. Due fratture ai malleoli. Siamo tornati ieri sera e si è fermato a Brescia in ospedale. Mentre scrivo Tomas è in ospedale. Gli ho parlato pochi minuti fa e mi ha detto che forse lo operano domani. Dai Tomas… torna presto che anche i tuoi atleti ti stanno aspettando sugli sci…
Partiamo il 14 ottobre e la sera dopo siamo al Chalten. Una giornata di preparativi e acquisti vari e il giorno dopo siamo alla Piedra del Fraile, ultimo campo nella vegetazione. Arriviamo prima delle 12 e un’ora dopo siamo già al primo carico fino al ghiacciaio del Piergiorgio. Nei giorni successivi riusciamo a portare tutto al Passo Marconi, proprio sullo Hielo Continental. Sono carichi e camminate che ci richiedono molto ma allo stesso tempo ci danno le prime soddisfazioni. Poi tutto sulle nostre slitte. Slitte semplici ma super-scivolose. Il tragitto non è breve ma con gli sci e i nostri "bobi" al guinzaglio in poche ore siamo al Circulo de los Altares. Un posto che io conoscevo già ma che ogni volta mi fa provare emozioni incredibili. Anche i miei compagni sono affascinati dal luogo. Una sorpresa non piacevole quando arriviamo al "Filo Rosso". C’è veramente poca neve quest’anno e iniziamo a scavare per costruire la nostra truna ma subito troviamo ghiaccio. Cambiamo posto più volte finché in qualche modo riusciamo a farci la nostra "casa bianca". Un giorno lo passiamo qui a metterci a posto e preparare la roba per la parete e nel pomeriggio facciamo un giretto verso la parete per vedere dove passare sul ghiacciaio. Poi via… Altri trasporti e iniziamo a salire e portare su tutto oltre lo zoccolo, proprio dove la parete si fa verticale. Poi iniziamo a scalare davvero. Sulle tracce di Sarchi, Nadali e Dal Prà. Ripenso a loro e a quell’anno. Penso ad Andrea che voleva venire con me ma poi, onestamente, mi ha detto che non se la sentiva più di fare quelle "strapaciadi" (strapazzate). Tomas e Francesco sono delle rocce. A trasportare i sacconi pesanti e ad arrampicare. Mai un lamento. E così, un tiro dopo l’altro, un saccone via l’altro, una jumarata dopo l’altra, una folata di vento seguita da una più forte. Una nevicata dopo l’altra. Seracchi che cadono, ghiacciaio molto crepacciato, scariche ogni momento. Un tiro duro e poi un altro ancor più difficile, faticoso, a volte da panico e sempre il venticello che ti sbatte le neve in faccia. Ma quanto è in piedi ‘sta parete, ma quanto è bella, affascinante anche se a volte da panico. Una notte dopo l’altra nelle nostre porta-ledge. Poi il trasloco 200 metri più sopra. Un altro tiro. Un sacco di parolacce mentre le mani si gelano. I sacchi a pelo bagnati. Se fosse bel tempo. E recuperare i sacconi. E anche quello pieno di neve. 11 giorni in parete. Poco più di due giorni di sole, se così si può dire. Il tempo fa sempre schifo. Non ne possiamo più. Allora decidiamo a fatica di mollare. Bisogna salire nel nostro punto più alto a recuperare della roba, delle corde per poter scendere. Giornata di lotta col vento che ti sbatte qua e là. Domani scenderemo. Il giorno dopo la discesa non è proprio così semplice. Siamo anche molto carichi e a terra arriviamo poco prima che sia buio. Con le frontali scendiamo sul ghiacciaio. Nuovi buchi che ci obbligano a giri viziosi. C’è un sacco di neve fresca. Quanta… non riusciamo a capire. Poi, poco prima di mezzanotte, siamo da Noaa, la nostra guardiana-amica. Verso le 3 finalmente nei sacchi. Bagnati… ma qui siamo a casa.
Ah, chi è Noaa? E’ la nostra donnetta di neve. Costruita all’ingresso della truna per segnarci dove spalare per poter entrare. E’ bravissima… Anche simpatica…
Il giorno dopo trascorre facendo progetti. Davanti a noi una parete che ricordo bene. Una montagna affascinate ma terribile con quel suo seracco in cima proprio sulla verticale di uno stupendo diedro ghiacciato. Ok, domani se il tempo non è male si va. Dico a Tomas e Francesco che io non sarò con loro. Preferisco riposare se poi andremo alla ovest del Torre. La mattina prima delle 6 sono in piedi e vedo loro sul primo tiro. Vorrei fargli un colpo al telefonino per dirgli di aspettarmi… vengo anch’io!!! Ma il cellulare non c’è, e loro salgono. Li guardo tutto il giorno e gli vado incontro quando nel pomeriggio sono già sul ghiacciaio. Bravissimi! Una grande salita! Sono emozionato quando li posso abbracciare. Quando arriviamo alla truna, poco dopo, 3 grandi scariche cadono dove loro sono passati da poco. Grande fortuna… La chiameranno "Ruleta Trentina"… nome appropriato. Il giorno dopo salutiamo Noaa e in compagnia del vento torniamo verso il verde…
di Ermanno Salvaterra
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