L’ennesima 'epopea' di Simon Yates con Mick Fowler sul Patkhor (6089m) in Tagikistan

In occasione di 'AlTre Storie sotto le Cime' ad Auronzo di Cadore, l'alpinista britannico Simon Yates ha raccontato, succintamente come d’abitudine, del suo ultimo avventuroso viaggio sulle montagne del Tagikistan. Incalzato dal suo amico e traduttore italiano Luca Calvi, ha poi deciso di raccontare la storia per intero.
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Simon Yates con il volto bruciato all’arrivo a Basid dopo la discesa dalla parete e tre giorni di cammino.
Simon Yates archive

Ad inizio luglio Simon Yates e Mick Fowler, che non scalavano assieme una montagna da circa venticinque anni, vista la comune passione per le montagne remote, isolate e poco conosciute, hanno deciso di andare a tentare l’ascensione di una parete inviolata di una montagna che conta a tutt’oggi solo tre salite, il Patkhor. Situata nella catena del Rushan Pamir, questa montagna arriva ad un'altitudine di 6089 metri.

Arrivati alla spalla e a poca distanza dalla vetta, quindi dopo aver risolto l’enigma dell’inviolata parete nord (raggiunta partendo dalla parete est), la formidabile coppia di scalatori britannici si è trovata costretta ad effettuare la discesa lungo la via di salita. A causa della nebbia fitta hanno dovuto desistere dal progetto iniziale di effettuare una traversata scendendo dal versante sud.

Per una qualche ragione, legata soprattutto al caldo eccezionale anche in quelle zone, durante la discesa Simon Yates aveva appena passato la corda per la doppia dentro il discensore quando ha deciso di dare uno strattone all’Abalakov per verificarne la tenuta. L’Abalakov si è staccato e Simon ha cominciato a cadere lungo il ripido canalone che stavano seguendo per tornare al Campo Base ed ha continuato a ruzzolare fermandosi solo dopo cento metri di caduta.

Raggiunto immediatamente da Mick, Simon si è reso conto che, nonostante i forti dolori alla schiena ed al torace, sarebbero dovuti scendere rapidamente, durante la notte, prima dell’arrivo del sole, che avrebbe aumentato i pericoli oggettivi della discesa. Una volta tornato in patria, il responso dell’ospedale sarebbe stato chiaro: sei costole rotte e compressione di tre vertebre!

Arrivati alla base sul ghiacciaio si sono accorti di aver perso lo zaino di Simon, che Mick aveva lanciato nella speranza di poterlo poi ritrovare alla base. Quindi hanno realizzato di non avere la tendina e di avere a disposizione solo due materassini ed un sacco a pelo in due.

Non è poi servito a molto la loro ricerca di aiuto con l’uso del telefono satellitare e dopo due giorni decisamente difficili, praticamente senza cibo e senza gas, Mick si è trovato costretto a lasciare l’amico per scendere in cerca di soccorsi. Simon ha così passato da solo trentasei ore prima di veder arrivare un paio di ragazzotti locali che gli hanno portato qualcosa da mangiare assieme ad una notizia non confortante: non c’era assolutamente da sperare nell’arrivo di un elicottero! La flotta tadjika è composta di quanto rimane degli elicotteri toccati in dote dopo la divisione dell’Impero Sovietico… E funzionano – quando si accendono – molto male.

Ha avuto così inizio la discesa a piedi fino al villaggio di Basid, raggiunto dopo tre giorni estenuanti e con dolori lancinanti, da dove, dopo una giornata di riposo, con due giorni di jeep gli alpinisti sono riusciti a raggiungere l’aeroporto che li ha riportati in Gran Bretagna.

Maggiori informazioni sugli aspetti tecnici della salita sono pubblicati sul sito di Berghaus, sponsor di Mick Fowler. Per quanto riguarda il racconto di Simon, vale la pena ricordare che è stato solo accennato senza enfasi eccessiva in occasione della serata auronzana 'Altre Storie sotto le Cime' per essere poi approfondito e raccontato con dovizia di dettagli. Alla fine della serata decisamente conviviale mi sono limitato a chiosare il tutto con la seguente frase: "Un’ennesima avventura in perfetto stile Yates!".

di Luca Calvi per Planetmountain

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