Due vie d'arrampicata in Val Mora

La bellissima Val Mora, al confine tra alta Valtellina ed Engadina, e il racconto di Martino Quintavalla dell'apertura di due delle sue vie d'arrampicata: Gli svizzeri di qua e Mutandenbaum.
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Gli svizzeri di qua: Martino Quintavalla sul terzo tiro
Martino Quintavalla
La prima volta che mia sorella Margerita ed io andammo in Val Mora fu nel 2006 per una gita in mountain bike con la nostra famiglia. Trovandoci in un luogo così bello non potemmo fare a meno di guardarci intorno alla ricerca di nuove pareti. Avevamo 14 e 18 anni ed eravamo presi dalla febbre dell’arrampicata in seguito a un periodo di continue scalate e qualche apertura, soprattutto sulle pareti intorno a casa nostra. Sapevamo che in quella bellissima valle a cavallo tra alta Valtellina ed Engadina era già stata aperta una via da Paolo Vitali e Sonja Brambati poco tempo prima e che, molto probabilmente, la migliore roccia era già stata individuata. Proprio per questo, fummo molto sorpresi quando vedemmo una parete di calcare grigio compattissimo, apparentemente intatta.

Qualche giorno dopo colti dall’entusiasmo partimmo in bicicletta alla volta della parete, armati di tutto punto e piegati dal peso degli zaini e, individuata una possibile traccia, cominciammo uno di quegli interminabili avvicinamenti tra indomabili pini mughi e ghiaioni scivolosi che chi ha scalato da queste parti ben conosce. Giunti alla base Margherita era stremata. Era ancora presto e l’aria era gelida. Il sole non sarebbe arrivato che nel pomeriggio sulla parete esposta a nord-ovest. Ci ristorammo alla meno peggio mangiando le solite barrette ai cereali che in quei momenti sembrano una manna dal cielo mentre a casa fanno venire la nausea e, trovato quello che sembrava un buon punto di attacco, cominciammo la salita. In tutta la giornata riuscimmo a completare solo i primi due tiri che portano fino a una bellissima cengia alberata. La parete sopra di noi si ergeva in tutta la sua bellezza: rigole, buchetti, concrezioni… non ci sembrava vero di aver scoperto "La Roccia" in un posto altrimenti rinomato per le sue pareti di calcare marcio e pericoloso! Troppo stanchi per continuare, ci calammo e tornammo a casa felici perché la parte più bella della parete era lì ad attenderci.

Dopo una settimana di pioggia tornammo e aprimmo lo zaino che avevamo lasciato nascosto in una grotta. Ridemmo del nostro stesso disgusto per la corda che, da gialla, era diventata verde e puzzava di muffa in modo insopportabile (in seguito si sarebbe seccata e irrigidita come una statica), ma dopo qualche attimo all’aria ci fu possibile riprenderla in mano e tornare a scalare. Quel giorno riuscimmo a finire la via con due tiri mozzafiato. Roccia stupenda, arrampicata in placca appoggiata e chiodatura vertiginosa. Nonché un gran freddo, soprattutto per Marghe che mi assicurava pazientemente mentre lottavo sull’ultimo tiro tirando su trapano e batterie.

Dicemmo subito a tutti gli scalatori che conoscevamo che avevamo aperto quella che forse era una delle vie più belle della zona, "è come in Wenden" dicevamo, anche se in Wenden in verità non eravamo mai stati. Battezzammo la via: "gli svizzeri di quà": un gioco di parole che ci faceva ridere, essendo proprio in Svizzera. Spero che nessuno si offenda per questo.

Tornai a ripetere la via con vari amici e ogni volta mi stupivo per aver messo gli spit così lontani, rendendo il grado della via veramente obbligatorio. Tuttavia sul concetto del "veramente obbligatorio" abbiamo sempre fondato la nostra etica. Quando si scala bene, si è pervasi da una bellissima sensazione: i pensieri corrono liberi mentre gli occhi scrutano la roccia e il corpo si muove da solo sapendo già dove andare. Gli spit però interrompono il movimento, e la corda ci rende schiavi di una traiettoria che è sempre verticale, ma l’arrampicata è ricerca e per cercare bisogna essere liberi di muoversi. Per questo gli spit lunghi che sono sempre tanto criticati.
Naturalmente scrivere è facile e arrampicare è una cosa diversa: sono rare infatti le volte in cui scalo come vorrei; altre volte invece, soprattutto quando la protezione è lontana, il cervello, invece di svuotarsi, si riempie di paure irrazionali che impediscono di salire con naturalezza, ma questa sensazione credo che l’abbiamo sperimentata tutti, maledicendo di conseguenza l’apritore.

Dopo la bellissima estate del 2006 abbiamo scalato sempre meno: scuola, università, impegni vari… ma il richiamo di quella parete è sempre rimasto forte, tanto che nell’estate del 2012 sono tornato lassù, questa volta reduce del Wenden, in compagnia di Cristian Martinelli, per aprire un’altra via. Anche questa volta lo stile è stato minimalista: solo gli spit necessari e protezioni veloci appena si può. Ne è nata un’altra bellissima via, un po’ più facile ma altrettanto ingaggiosa: Mutandenbaum. Solo per spiegare il nome non basterebbe una pagina.

Per qualcuno queste vie di quattro o cinque tiri di corda non saranno di sicuro uno stimolo sufficiente per doversi sorbire un avvicinamento così lungo (30 min in macchina da Bormio + 1h in bici/a piedi) ma se qualcuno venisse in estate per godersi le montagne o le acque termali e volesse provare a salire lassù di sicuro non rimarrà deluso!


SCHEDA: Gli svizzeri di qua, Val Mora

SCHEDA: Mutandenbaum, Val Mora


Relazioni su:
www.paolo-sonja.net
Valtellina, Valchiavenna, Engadina: Falesie e vie sportive (Versante Sud)
UP-Climbing 2012




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