Dhaulagiri 2005: tra incontri con i "ribelli maoisti" e la lentezza
6-7-8/04 Seconda puntata di Manuel Lugli dal trekking di avvicinamento della spedizione di Meroi, Benet, Vuerich e compagni al Dhaulagiri. Tra incontri con i "ribelli maoisti" e la serenità della lentezza.
Seconda puntata di Manuel Lugli dal trekking di avvicinamento della spedizione di Meroi, Benet, Vuerich e compagni al Dhaulagiri. Tra incontri particolari (in)attesi con i ribelli maoisti nepalesi e il lento incedere verso la meta. A due giorni dal campo base l'impegno e la tensione per la salita è ancora lontano. E' il momento della lentezza di assaporare ritmi lontani, per vivere la natura semplice c'è tutto il senso della scoperta, come attimo in movimento di un'altra dimensione (e vita) da esplorare. LA VALLE DEL DHAULAGIRI cronache d'avvicinamento al Dhaulagiri, tra incontri con i "ribelli maoisti" e la serenità della lentezza di Manuel Lugli Pokhara, 6-7-8 aprile 2005 Siamo dentro finalmente, nel cuore più vero del Nepal, la Myagdi Khola, la valle che conduce al campo base del Dhaulagiri. Camminiamo e non vediamo altro che volti neplaesi, non un turista. Passiamo villaggi di un lindore rincuorante e non incontriamo altro che case private, niente lodge, ristoranti o negozi. Quelli che c'erano li ha chiusi il crollo del turismo degli ultimi tre, quattro anni. Per la verità, questo non è mai stato un itinerario frequentatissimo, specialmente se confrontato con i più famosi Khumbu e Santuario dell'Annapurna: l'ambiente è selvaggio, duro e va affrontato con un'organizzazione di cucina, tende, cibo, cuoco. Cosa che scoraggia molti. Il flusso di treks e spedizioni ora si è ulteriormente ridotto, con gli alpinisti che preferiscono volare su Jomsom o direttamente al campo base in elicottero ed i trekkers che si rivolgono, appunto, ad altre mete. Questa è infatti la roccaforte dei Maoisti che a Dharapani danno il benvenuto con tanto di porta in legno sovrastata dalla bandiera rossa con falce e martello. Noi li aspettiamo. Sappiamo che li incontreremo, anche se non sappiamo quando. Arrivano, chiedono una donazione, rilasciano la ricevuta e se ne vanno. Tutto qui. A Muri finalmente facciamo conoscenza. E, un piccolo e compito rappresentante dell'NCP, cioè un Maoista. Non armato. Ci spiega quali sono gli obiettivi dei maoisti che, detto tra parentesi, controllano buona parte del paese, soprattutto est ed ovest. Quello che vogliono per il Nepal, una democrazia popolare e perché sono contro il re Gyanendra. Francamente ci sembrano tutte istanze ragionevoli se non addirittura scontate: risoluzione dei problemi delle popolazioni delle aree remote come assistenza medica, istruzione e sostegno allo sviluppo economico locale. I governi che si sono succeduti, corrotti, e la monarchia non hanno fatto nulla per anni e la situazione si è fatta insostenibile. Come dare torto al nostro amico? Gli chiediamo del rapporto con i turisti; ci risponde che sono un patrimonio per le popolazioni delle aree remote e che saranno sempre i benvenuti. Alla fine gli versiamo la nostra donazione di 15 dollari (pro capite), "volontaria", come ci tiene a precisare e lui ci rilascia una bellissima ricevuta stampata che riporta la bandiera rossa sul lato sinistro e i padri del comunismo su quello destro: Marx, Engels, Lenin, Stalin e, s'intende, Mao. A riprova del buon rapporto instaurato, alla sera il paese ci organizza una festa con balli e canti tipici Magar. Con la benedizione di Mao. Certo non è tutto così idilliaco. Questa guerra ha fatto ormai 12000 morti in nove anni, nel silenzio totale dell'opinione pubblica e della politica internazionale. Ora due fazioni si contrappongono all'interno del partito maoista stesso: quella di Battarai, ideologo e filosofo del movimento, già membro del parlamento come rappresentante del partito comunista qualche tempo fa, che cerca la via politica, del dialogo e che dovrebbe avere il 60% dei consensi; e quella di Baburahm, che rappresenta l'ala armata e guerrigliera con il 40%. Purtroppo quest'ultima continua ad avere grande peso, determinando quella situazione di grande tensione che attanaglia il paese. Dopo l'incontro con la Rivoluzione Nepalese, continuiamo a salire, in un ambiente sempre più grandioso, facendo soste per mangiare qualcosa, per un bagno tonificante nel fiume Myagdi o anche solo per ammirare le montagne che ci circondano. La lunga fila di portatori si snoda sui sentieri, a volte altissimi ed esposti, altre incassati in quella che è una delle gole più profonde del mondo e ci fa sentire come esploratori d'altri tempi, alla ricerca di una via impossibile per l'Eldorado. Siamo a quattro giorni dal campo base, a duemila metri di altitudine, e la quota vera deve ancora arrivare, così come l'impatto con la montagna più "seria". Ma quasi tutti avvertiamo un magnifico senso di serenità che viene da questo procedere lento. Forse aveva davvero ragione Alex Langer quando invitava a ribaltare in "lentius, profundius, suavius" il celebre motto "citius, altius, fortius": quante cose in più da vivere. Manuel Lugli
Foto Manuel Lugli |
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