Dermatologica al Pizzo Cavregasco in Val Bodengo (SO) di Luigi Berio e Paolo Serralunga
Dal primo momento dell’apertura della via Dermatologica al pilastro Nord-Ovest del Cavregasco, Luigi Berio e io avevamo immaginato che l’ultimo punto della linea di salita sarebbe dovuto essere quello della cima del "Leone", come viene affettuosamente e rispettosamente chiamata talvolta questa articolata montagna. La sua criniera è formata da diversi crinali che digradano a valle, a tratti con creste di moderata pendenza e a tratti con vertiginosi salti. Il più notevole di questi salti è proprio quello del pilastro Nord-Ovest. Si tratta di un contrafforte ben nascosto alla vista: per iniziare a godere della sua visione occorre giungere quasi a Corte Prima in fondo alla Val Bodengo.
Mesi dopo aver aperto la via abbiamo letto che l’ombrosa parete del pilastro viene da qualcuno chiamata il Cuore. Ma tuttora non conosciamo l’origine né il significato di quel nome. Mi piace pensare che essi non siano da cercare in una analogia di forma – noi perlomeno non abbiamo notato somiglianze – ma piuttosto in qualcosa di più intimo e primitivo, magari associato a una misteriosa risonanza del cuore delle persone con le viscere del Leone di pietra, quando queste si avvicinano alla montagna.
Il 5 agosto 2019 avevamo completato l’apertura di Dermatologica in cima al pilastro, al termine delle maggiori difficoltà, ma ci eravamo presto riproposti di tornare a percorrere la via per tentare di salire in arrampicata libera anche i pochi tratti di artificiale della linea, nonché per continuarne il percorso fino alla cima della montagna, compiendo così un’ascensione completa di quel versante.
È l’1 settembre 2021, nell’aria di fine estate ci portiamo di buon ora alla base del pendio sotto la parete, solcato da una profonda gola. Risaliamo con le fresche energie del mattino il ben poco evidente percorso di accesso sul margine sinistro dell’erosione, usando piedi e mani su vegetazione e rocce per innalzarci.
Alla base del primo tiro ci leghiamo e organizziamo i due sacchi che isseremo su per la parete, con riserve d’acqua, cibo in abbondanza, sacchi a pelo, flauto e armonica. Come piccole pulci iniziamo a salire la prima parte del pilastro, e le rapide occhiate all’orologio ci danno presto la conferma che non avremo molto tempo per poter riprovare a salire in libera i tiri di corda, se non ci riuscisse al primo tentativo. Con il terzo tiro iniziano le maggiori difficoltà; riusciamo ad affrontare la placca ripida e l’esigente traverso alla sosta nel modo giusto, percorrendo questa lunghezza entrambi in libera (da primo e da secondo di cordata). Pensiamo così di avere un po’ di tempo per provare a liberare le poche sezioni non salite in libera durante l’apertura, che ci aspettano nelle successive lunghezze di corda.
Ma già sul quarto tiro l’ultima placca sotto la sosta resiste al nostro frettoloso tentativo di salita in libera. Scopriamo che quel tratto risulta più arrampicabile passando un metro e mezzo più a sinistra, ma servirebbe modificare il tracciato predisponendo nuove protezioni fisse, che qui avevamo usato. Non abbiamo né il tempo né gli strumenti per modificare e riprovare ancora il tracciato.
Dove possiamo cerchiamo di dosare le energie fisiche e mentali per disporne nel resto della salita. Infatti proprio su questo quarto tiro di corda ne abbiamo consumate alcune in modo imprevisto, quando un piccolo sbilanciamento, forse dovuto alla rottura di qualche cristallo degli appigli usati, provoca una emozionante caduta di uno di noi, con fuoruscita di un chiodo a lama e di un nut piazzato in modo non ottimale, che viene infine arrestata da un piccolo friend a tre camme posto a testa in giù dietro una lama. Sappiamo di essere in un angolo delle Alpi sufficientemente remoto, senza connessione, e abbiamo ben presente che non ci dobbiamo fare male.
Nonostante la compattezza della parete, non di rado il bordo dei sacchi che issiamo con una corda per il recupero trova il modo di incastrarsi sotto qualche presa rovescia. Questo ci ritarda e affatica un poco. Tuttavia in sosta, benché impegnati nel recupero dei carichi e del compagno, ci rimane il tempo per sorridere e pensare a quanto è meraviglioso e fonte di grande soddisfazione trovarsi di nuovo qui, a giocare con queste rocce, e poter di nuovo assaporare questa salita a noi così cara.
Mentre recupero le corde il ricordo corre fulmineo al processo di apertura di questa via. Esso era stato una miscela di entusiasmi, grandi dubbi sul possibile percorso della salita, decisi progressi, acciacchi fisici e altri impedimenti, che comunque in conclusione ci aveva consentito di arrivare colmi di gioia fuori dagli strapiombi sommitali del pilastro, per uno scambio di sguardi trasognati ed estasiati. Quelle giornate di apertura insieme erano state un forte legante della nostra cordata.
Sono ormai quasi le 19 quando completiamo la salita dell’impegnativo quinto tiro, con la sua difficile partenza in placca, il tetto fessurato e infine un lungo tratto di roccia bitorzoluta di colore più bruno. Siamo stanchi. Per la salita integrale della montagna abbiamo pensato di dormire proprio qui, alla fine del quinto tiro, nell’unico punto della parte alta del pilastro dove si può riuscire a sonnecchiare un poco – rannicchiati e sostenuti da qualche cordino e fettuccia. Questo è il piccolo anfratto dove sostiamo per ricaricarci, una parentesi nel mezzo dei due intensi giorni vissuti sulla nostra linea di salita in contropelo al Leone. Presso questo punto di sosta è possibile sedersi, ci sembra un posto davvero molto accogliente! Un posto ideale per profondi respiri e per allargare lo sguardo e i pensieri.
Prima di "accomodarci" usiamo le energie residue per fare un tentativo di libera anche sul sesto tiro di corda, prima dell’arrivo del buio. Facciamo buoni progressi su questo tratto che si sviluppa come un arco sotto un tetto spiovente, richiedendo alcuni movimenti contorti. E lasciamo montate le corde sul tiro per poterlo salire senza troppe difficoltà l’indomani mattina, quando probabilmente avremo ancora i muscoli rattrappiti e freddi.
Tolte le scarpette, ci assicuriamo sopra questo piccolo terrazzino. Ooh, riposo finalmente! Ci adoperiamo per organizzare il bivacco. L’aria è ferma, e non sembra si stia raffreddando di molto rispetto alle temperature del giorno. Sul versante opposto della valle, all’Alpe del Notaro, ci sembra di vedere una finestra rischiarata da un lume. Un po’ per gioco e un po’ per non destare eventuali preoccupazioni se qualcuno avesse visto luci in piena parete, abbiamo tenuto spente le nostre lampade frontali e abbiamo cenato al buio, recuperando a tentoni il cibo dagli zaini che avevamo laboriosamente recuperato durante la giornata. È tutto a portata di mano, e siamo già infilati nei sacchi a pelo; davvero luce non ce ne serve. Siamo contentissimi, il cibo ci sembra gustosissimo, i corpi si rilassano sotto la fioca luce delle stelle. Mezzi accovacciati e mezzi stesi, con lo sguardo rivolto verso l’alto, tra il colore nero dello strapiombo soprastante e le dolci lucine delle costellazioni in cielo, ci parliamo.
Tiriamo fuori flauto e armonica e suoniamo numerosi motivi, nel silenzio di Bodengo. Buonanotte! È davvero una buona notte, questo bivacco è un sogno. Nella nottata cambiamo posizione quasi in continuo, non ne troviamo una del tutto soddisfacente. Riusciamo comunque a riposare discretamente. Il cielo inizia a schiarirsi; ci attiviamo e cerchiamo di seguire i tempi che ci siamo dati.
Il sesto tiro l’abbiamo già premasticato il giorno prima e va via veloce, mentre il settimo – nonché l’ultimo per arrivare alla fine del pilastro – ci richiede tanto tempo. Riusciamo però a fare in arrampicata libera tutti i passi di questo lungo diedro leggermente strapiombante.
Arriviamo quindi alla fine della via Dermatologica, all’ultimo punto di sosta che avevamo predisposto in apertura. Per poter giungere fino alla cima della montagna rimane però ancora da percorrere una lunga cresta ascendente a noi ignota. Ci rifocilliamo e mettiamo le scarpe da avvicinamento, i piedi sono contenti. Quando iniziamo a salire ci imbattiamo fortunatamente in difficoltà più contenute di quanto sperassimo. Dopo qualche risalto poco più impegnativo, la salita avviene agevolmente lungo camminamenti e canalini da camosci, fino a poco sotto la vetta. Un ultimo risalto più compatto con divertente arrampicata su roccia solida ci porta sulla cima. La meteo è stabile ma siamo per lo più dentro le nuvole, solo alcuni squarci ci mostrano frammenti del panorama. Un oblò si apre verso Chiavenna, uno verso la Val Darengo. In cima ci rilassiamo mentre segniamo il passaggio sul libro di vetta, custodito in una pila di sassi. Basta un attimo di relax che quasi ci addormentiamo!
La discesa è lunga, da cercare e su terreno non agevole. Ci vorrebbero parecchie righe per raccontare in dettaglio il tortuoso percorso della via normale del Cavregasco, il raggiungimento della Bocchetta delle Streghe e la discesa a Corte Prima, ma non ci dilunghiamo in questa sede. Diciamo che è una discesa ben selvaggia e tutt’altro che breve.
Siamo molto contenti di essere tornati sulla nostra via per cercare di migliorare lo stile di salita nei tratti dove non eravamo riusciti a passare in libera in apertura. Pochi metri rimangono ancora da liberare. Poco ci importa, siamo comunque soddisfatti, e grati per quell’alchimia di casi fortuiti e sogni che porta due esistenze, con la complessità di limiti e impegni, a legarsi per alcuni giorni per arrancare su lastroni di roccia, andando a distillare ricordi indelebili per le loro vite.
Ci piacerebbe molto sapere che qualche persona si è interessata alla nostra linea sul Leone ed è andata a ripercorrerla. E immaginiamo che ci saranno altre pulci felici!
di Paolo Serralunga
SCHEDA: Via Dermatologica, Pizzo Cavregasco, Val Bodengo