Azzardo Estremo, la nuova via di Chiara Gusmeroli e Matteo De Zaiacomo sullo Sckem Braq in Pakistan

Matteo De Zaiacomo racconta l’apertura della nuova via, insieme a Chiara Gusmeroli, sullo Sckem Braq nella Nangma Valley in Pakistan. Lunga 900 metri, la via è stata aperta in stile alpino ed è composta da 26 tiri con difficoltà fino al 7a e A3.
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Matteo De Zaiacomo e Chiara Gusmeroli durante l'apertura di 'Azzardo Estremo' sullo Sckem Braq nella Nangma Valley in Pakistan, estate 2024
archivio Matteo De Zaiacomo

La Nangma Valley è stata definita la Yosemite del Pakistan. Vedere con i miei occhi pareti come quelle dell’Amin Brakk ha confermato la fama di questo posto. Pareti di granito verticali a perdita d’occhio, un vero e proprio paradiso per gli arrampicatori. Rimasta in parte inesplorata dopo le grandi salite di fine anni ‘90 e inizio anni 2000, la valle lascia ancora spazio all’immaginazione con le sue bellissime cime e pilastri di perfetto granito che aspettano la prima salita.

Questa spedizione in Pakistan è nata dall’entusiasmo di voler visitare e scoprire il Karakorum: quando capita l’occasione, non ci si può lasciar sfuggire. Avevamo soltanto 20 giorni di campo base a nostra disposizione e questa valle accoglie pareti comprese tra i 4000 e i 6000 metri di quota. Questo ci imponeva un acclimatamento relativamente corto e, fortunatamente, una logistica piuttosto semplice: ci vogliono soltanto 3 giorni di viaggio dall’Italia al campo base, uno in aereo, uno di organizzazione ed un ultimo di spostamento in jeep da Skardu più trekking. La Nangma Valley è stata la scelta perfetta.

Partire in due invece è una scelta che non lascia spazio a compromessi, sai di poter contare solo sul tuo compagno e viceversa, condividendo motivazione, dubbi, difficoltà. Io e Chiara Gumeroli avevamo ben in mente tutte le montagne più famose con le linee già salite, ma una volta impugnato il binocolo ci siamo meravigliati di cosa potessimo ancora inventarci.

Sul fondo della valle, evidentissimo, si trova lo Skem Braq! Già dal paese di Kande è possibile intravederne la headwall finale ddi questa montagna, ma non abbiamo informazioni su salite già effettuate. In ogni caso c’è una linea che da subito cattura la nostra attenzione, una fessura che sale dritta, superando un ripido muro compatto. Arrivare ai piedi di quel muro non sembra troppo complicato, superarlo invece si rivela un’avventura piena di colpi di scena, di rischi vissuti e, fortunatamente, schivati. In più, le giornate di freddo intenso che mi costa l’insensibilità agli alluci dei piedi per qualche settimana, qualche imprecazione e la determinazione di non gettare la spugna.

Facciamo un primo tentativo partendo leggeri, convinti che saremmo riusciti a superare i 900 metri di parete in soltanto due giornate. Raggiunta la cengia dopo una prima parte più abbattuta il morale è alto. Il giorno seguente attacchiamo la headwall e la linea individuata attraverso le lenti del binocolo si rivela metro dopo metro strepitosa, un’arrampicata difficile, sempre in fessura. E con qualche spavento, quando mi porto dietro solo gli stessi due friend della medesima misura per 30 metri!

Arriviamo ad un punto dove le fessure diventano meno profonde, più piccole e superficiali e le troviamo piene di erba, la progressione rallenta terribilmente. La sera arriva velocemente e non abbiamo né cibo né giornate di bel tempo sufficienti per continuare. Torniamo verso campo base, con tutto il materiale sulle nostre spalle, sconsolati ma contenti d’essere stati capaci di arrampicare con efficacia anche in quota.

Ancora sulla strada del rientro per il campo base guardiamo lo Shingu Charpa e la sua magnifica parete ovest dove individuiamo una nuova possibile linea di salita, siamo motivati e sappiamo che una volta passato il brutto tempo e riposati a dovere possiamo assestare il nostro tentativo. Improvvisamente però cadiamo in uno stato di confusione e paura: davanti a noi vediamo crollare la parete ovest, che investe di polvere il fondovalle e frantuma le nostre convinzioni.

Niente da fare, a questo punto decidiamo di tornare e chiudere i conti con la parete dell'inviolato Skem Braq. Ci organizziamo per stare più giorni in parete, portando con noi più materiale, chiodi e persino una piccola piccozza per ripulire alcuni brevi tratti di fessura pieni d'erba.

Saliamo la parte che già conosciamo il primo giorno fino alla cengia, il secondo scaliamo sulla headwall sistemando alcune soste per velocizzare la discesa. Proprio mentre siamo sulla cengia, una grossa frana investe la parte bassa della via e ringraziamo il cielo di essere già sopra quella sezione e non ai piedi della parete. Il terzo giorno piove e ci riposiamo nella nostra tenda sulla grande cengia.

Il quarto giorno è quello decisivo! Arriviamo al punto più alto raggiunto al primo tentativo, siamo abbastanza veloci da avere ancora molte ore di luce per risolvere la parte che ci aveva respinto qualche giorno prima. Saliamo lentamente, un tiro alla volta, scalando in libera e fermandoci a pulire le fessure alternando tratti in artif. Poi mi ritrovo al comando proprio sul tiro più cattivo della via, ma questo ancora non lo so. Impiego 3 ore e mezza a superare una sezione di artif, con pendoli, mille dubbi, totem cam piazzati su due camme in fessure svase, e ancora lame expandig e chiodi entrati per pochi centimetri e strozzati con la fettuccia. Quando guardo l’ora non ci credo sia passato tutto quel tempo, è stato tutto così frenetico, non ho mai smesso di muovere le mani nel cercare la soluzione ideale. Arrivo in sosta sfinito. Con un ultimo tiro superiamo definitivamente la headwall, ora è sotto i nostri piedi e ci abbandoniamo esausti in un bivacco di fortuna.

Chiara si sveglia ed infila l’imbrago alle 5 di mattina. O forse non ha mai veramente chiuso occhio. In ogni caso parte per un tiro ripido in un diedro, a metà inizia a nevicare ma né a me né a lei sfiora il pensiero di scendere: manca così poco che se il prezzo è quello di dover scalare nella neve, allora lo pagheremo! Arrivati fino a qui, non siamo affatto disposti a rinunciare!

Quattro ore dopo mettiamo i piedi sulla cima ed improvvisamente il cielo si apre. E noi siamo lì, a goderci quel momento speciale che abbiamo desiderato così tanto da esserne quasi disorientati, riuscendo a malapena a capire che si sia realizzato davvero. Felicità e soddisfazione si leggono in faccia.

Sulla via del rientro troviamo la nostra tenda, lasciata in cengia, trivellata di buchi per una frana scesa durante l'ultima notte, ancora una volta capiamo solo a posteriori quanto un paradiso possa trasformasi in un inferno.

Il nome della via è stato scelto durante una delle cene a campo base: ci cade contemporaneamente lo sguardo su un libro scritto da Joe Tasker, Azzardo Estremo, pensiamo a Tasker e Boardman sul Changabang e nel nostro piccolo ci immaginiamo come loro a bivaccare in parete. A superare le difficoltà con le nostre forze. Poi ripensiamo ai rischi corsi e il nome ci sembra perfetto.

Azzardo estremo è la prima via che sale sulla cima dello Sckem Braq (circa 5.300m) in Pakistan, una montagna che ci ha regalato una fantastica avventura ed una emozionante scalata. Non ci avrà cambiato la vita, ma forse ha lasciato un piccolo indelebile segno nel nostro carattere.

Ringraziamo tutte le persone che ci hanno sostenuto. Al Cai Nazionale per aver creduto in un progetto di questo tipo, ai Ragni di Lecco ed ai nostri sponsor tecnici. Ed ovviamente a chi ci aspettava a casa.

di Matteo De Zaiacomo

Matteo ringrazia CAI nazionale, Ragni di Lecco, Go Vertical, SCARPA, CAMP, Totem Cam
Chiara ringrazia: Cai nazionale, Karpos, CAMPSCARPA




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