La via Afanassieff al Fitz Roy, un'avventura infinita in Patagonia per Chiara Gusmeroli e Matteo De Zaiacomo

Il récit d'ascension di Matteo De Zaiacomo della ripetizione, insieme a Chiara Gusmeroli dal 11-13 gennaio 2024, della via Afanassieff che si sviluppa per 2300 metri sulla Nordovest del Fitz Roy (3405m). Aperta nel 1979 da Guy Abert, Jean Afanassieff, Michel Afanassieff e Jean Fabre, è stata una "grande avventura" durante il primo viaggio in Patagonia per Gusmeroli e il secondo per De Zaiacomo.
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La ripetizione della Via Afanassieff, Fitz Roy, Patagonia, di Chiara Gusmeroli e Matteo De Zaiacomo, gennaio 2024
archivio Matteo De Zaiacomo

"Questa è una delle vie più lunghe sul Cerro Chaltén."
"Il punto chiave è un'ampia fessura a metà, che si sale all'esterno."
"Ma la serietà sta nella sua lunghezza e nel fatto che non è facile scendere in caso di emergenza."

Storia. Nel 1976, Jean Afanassieff e Guy Abert tentarono l'impresa con Pierre Bodin (FR). Ritornarono tre anni dopo, alla fine del 1979 con Michel Afanassieff, Jean Fabre e Gilles Sourice. Hanno fissato 300 metri di corda e poi sono saliti in vetta in quattro giorni.

Queste, parti delle informazioni presenti nella guida di Rolando Garibotti "Macizio de El Chaltén", sono seguite dai soli schizzi delle sezioni più impegnative della via Afanassieff al Fitz Roy... a libera interpretazione! Mi piaceva tanto questa incognita!

La relazione si conclude con un consiglio: "Se non raggiungi il ritmo previsto, girati, la montagna sarà lì per un altro tentativo". Era difficile per me e Chiara Gusmeroli capire in anticipo quale fosse un buon ritmo in funzione alla stanchezza e all’immensità del Fitz Roy, perché ne io ne lei eravamo mai stati lì. A partire dalle tempistiche sull'avvicinamento, a quanto stanchi saremmo arrivati dopo la prima giornata di arrampicata, come avremmo reagito? Era l'unica cosa che mi lasciava veramente perplesso e dubbioso. Ma come sempre c'è solo un modo per scoprirlo.

È la mattina del 10 gennaio, siamo seduti nella sala comune del "Lo de trivi" sono le 3:17 del mattino. Chiara sorride e si prende il suo tempo per la colazione, ha organizzato tutto lei nei giorni precedenti, io non son bravo a organizzare cose, il taxi arriverà a prenderci direttamente davanti all’ostello. Ci vogliono circa 20 minuti di jeep per arrivare al ponte prima di iniziare a camminare per un oretta verso la pedra del Fraile.

Saliamo dunque verso il passo de quadrado e lo raggiungiamo alle 9 della mattina. Non capisco se è un buon ritmo o meno, ma in quel momento vedo per la prima volta l'enorme spigolo che abbiamo deciso di scalare e mi sembra possano volerci giorni. Scendiamo e raggiungiamo il ghiacciaio, lo costeggiamo lungo il fianco della montagna. In poche ore di cammino siamo ai piedi della Super Canaleta. È un momento emozionante! Abbiamo ascoltato così tante storie di amici che hanno salito questa via incredibile, direttissima verso la cima e tutta l'energia nei loro racconti si trasforma in realtà! Siamo davvero lì sotto! Per me è la presa di coscienza che ancora aspettavo! Due giorni prima ero in aereoporto a Milano e tutto è andato fino a quel momento come un copione già scritto. Da ora in avanti bisogna concentrarsi sulla salita. A Chiara brillano gli occhi! È la via dei suoi sogni, conoscendola probabilmente tornerà a farla, ma quest’anno non è in condizione per un tentativo.

Raggiungiamo l'attacco della via vero e proprio verso mezzogiorno, i primi tiri sono ripidi ma decidiamo di partire comunque in conserva, capiamo subito che il peso degli zaini impaccia la nostra manovra. La scelta del materiale è sempre qualcosa da discutere. Quanti friend portare, quale materiale da bivacco, quanto cibo... fare scelte volte alla leggerezza sacrifica il comfort di una buona notte di riposo per esempio. Noi abbiamo deciso di portare la tenda, un sacco a pelo e materassino a testa, è sicuramente il set up più conservativo ma più pesante. Si è rivelata la scelta giusta per poter recuperare energie importanti durante i bivacchi, ma già dai primi tiri ci sentivamo schiacciati da questo peso sulle spalle, tra l'altro la divisione dei pesi non ha per nulla considerato il rapporto peso potenza mio e di Chiara e penso lo zaino abbia gravato più sulle spalle della mia compagna di cordata. Ma d'altronde io incomincio ad essere vecchio abbastanza da poter rifilare questo tipo di fregature a compagni più giovani ;-)

Saliamo alternandoci al comando su alcuni tiri davvero ripidi e difficili fino ad una sezione più semplice, siamo già stanchi e decidiamo di fermarci a sciogliere un po’ di acqua per reintegrare con sali minerali gli sforzi fino a quel punto. Proseguiamo di nuovo in conserva per qualche centinaio di metri, poi Chiara prende il comando per gli ultimi tiri su roccia lunare fino alla cengia da bivacco. Mi stupisco come tenga alta la concentrazione mentre nel mio caso ormai è la stanchezza a farla da padrone, ma mi accorgo immediatamente di quanto anche lei stia combattendo quando si addormenta per qualche minuto nell'esatto momento in cui appoggia lo zaino sulla cengia da bivacco.

Sono le 18 e abbiamo tutto il tempo per rilassarci, preparare il campo e la cena e goderci le tante ore di riposo. Aspettiamo due ragazze americane che abbiamo incontrato sull'avvicinamento ma non arriva nessuno per qualche ora, inizio a preoccuparmi un pochino poi quando ormai stiamo dormendo sento il tintinnio degli attrezzi attaccati all'imbrago passare affianco alla tenda. Mi affaccio convinto di vederle ma son due ragazzi svizzeri, anche loro partiti da El Chalten la mattina stessa. Chiedo delle due ragazze americane e mi dicono che hanno preferito scendere perché erano troppo pesanti e lente, mi torna in mente la chiusura della relazione di Garibotti e son contento che gli alpinisti sappiano ancora trovare rispetto per le montagne e i propri limiti da capire quando è il momento di rinunciare. Raphaela e Simon invece hanno un set up da bivacco completamente diverso dal nostro, hanno soltanto un sacco a pelo in due e niente tenda, ancora una volta son scelte che fanno la differenza e assolutamente razionali, ho pensato anche io tanto di muovermi con i loro stesso approccio ma alla fine siamo stati più conservativi. La mattina dopo loro ci precedono nella scalata, son stati molto più rapidi nel smontare il campo ovviamente e corrono su per la sezione successiva ad un ritmo incredibile! Io e Chiara schiacciamo sull'acceleratore e riusciamo comunque a tenere lo stesso ritmo.

Continuiamo ad alternarci al comando, qualche volta in conserva qualche volta a tiri, qualche volta con i ramponi e altre con le scarpette. Il carattere di questa via è complicato e obbliga ad essere preparati e veloci nel cambio assetto, ma i vari allenamenti fatti nella stagione scorsa ci mettono nelle condizioni di muoverci con fiducia su qualsiasi terreno incontriamo. Superato l'ultimo tiro difficile proseguiamo per una sezione lunghissima che ci porta direttamente in cima. Chiara è stanca e io forse ancora di più! Prende lei il comando per le ultime lunghezze, l'ambiente che ci circonda è surreale e meraviglioso, c'è del ghiaccio incrostato anche sulle parti strapiombanti dei massi sommitali, la raggiungo è ancora una volta si spalanca la vista sul Cerro Torre e su tutto lo Hielo continental!

Sono le 21:22, ci abbracciamo finalmente! Un sogno immaginato insieme quasi per scherzo durante gli avvicinamenti alle pareti del Badile aveva veramente trovato spazio nella realtà in quell'esatto momento! Intorno a noi il panorama che solo la Patagonia sa regalare, il ghiacciaio da una parte e le secche praterie dall'altra, l'ombra triangolare e immensa del Fitz Roy della quale in maniera irrilevante facciamo parte anche noi, il Cerro Torre che ci guarda e tutto il fuoco di un tramonto arancione che ci regala quel momento inutile del stare in piedi in cima ad una montagna ma che è l'unica cosa che ha nutrito la nostra fantasia, montivazione e ambizione negli ultimi mesi. So già che rimarrà impresso nei miei migliori ricordi ma la poesia di quel momento dura soltanto quell'attimo tra salita e stress della discesa, è impalpabile e ci vuole un po’ di romanticismo per goderselo veramente.

Fa freddo in cima al Fitz Roy quella notte e siamo felici di poterci godere ognuno per sé il nostro sacco a pelo, protetti dal vento dalla nostra tendina. La mattina dopo iniziamo la discesa lungo la Franco Argentini di buon ora. Conosciamo la discesa nonostante sia la prima volta che ci apprestiamo a farla, conosciamo i pericoli oggettivi legati all'ultima sezione di calate lungo la Brecha de los Italianos, quello che una volta era uno dei punti più facili e sicuri dell'intero massiccio ad oggi è diventato uno dei più critici; i cambiamenti legati al clima han completamente trasformato quella porzione di montagna e sappiamo che trovarci lì nell'orario sbagliato potrebbe essere pericoloso. Ci affrettiamo sulle doppie lungo la Franco argentini proprio per questo motivo e mi innervosisco parecchio quando sull'ultima doppia al colle una corda ci si incastra. Sono già le 11 e mezza e dobbiamo prendere una decisione importante. Risalire la corda per sbloccarla perdendo del tempo prezioso e amplificando il potenziale pericolo per le calate successive, o continuare soltanto con una corda da sessanta metri. Le calate saranno più corte e non so quale delle due ci farà veramente guadagnare tempo. Sono scelte difficili da prendere ma decidiamo che tra le due opzioni la più rapida è quella di continuare senza una corda. Che poi sono le corde nuove di Chiara per me è più facile abbandonarne una, tanto non son mie!

Come temevamo la calata dalla brecha è al limite tempistico, ma nonostante le calate da 30 metri riusciamo velocemente ad uscire da quella situazione. Ci troviamo costretti ancora una volta ad abbandonare un pezzo di corda per riuscire a superare l'ultima terminale. Non siamo avviamenti contenti di lasciare spazzatura in montagna ma la situazione intorno a noi sta diventando di minuto in minuto più critica e le valanghe dai pendii non sono poi cosi lontane da noi. Finalmente sul ghiacciaio lasciamo cadere sulla neve tutto lo stress accumulato insieme agli zaini, ci riempiamo la faccia di crema solare per la prima volta e incominciamo lentamente la lunga camminata verso El Chalten!

Se queste avventure son possibili è innanzitutto grazie al compagno legato all'altro capo della corda. Chiara è stata una compagna incredibile nell'accettare la sfida, nell'affrontare la preparazione e nel superare le difficoltà una volta in parete. Grazie a tutta la mia famiglia, alla famiglia di Chiara che faceva il tifo da casa, agli amici con cui lavoro a Go Vertical per il periodo libero, al gruppo dei Ragni di Lecco per l'energia e il sostegno, e a tutte le aziende che ci hanno sostenuto.

Consiglio questa salita a chiunque voglia vivevere una grande avventura e abbia la fortuna di trovare una finestra stabile di almeno 3 giorni consecutivi, potrebbero volercene anche di più se le condizioni della montagna non sono favorevoli, infatti tante volte è capitato di trovare ghiaccio nelle fessure della seconda metà. Ma potrebbero volerci anche meno giorni, come ha dimostrato Jim Reynolds nel 2019 con la sua impressionante salita e discesa dalla stessa via in free solo. Una prestazione di livello assoluto in termini di audacia, autocontrollo e capacità di confrontarsi con la montagna e i propri limiti.

di Matteo de Zaiacomo

Matteo ringrazia: Ragni di Lecco, il negozio Go Vertical




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