Alpinismo Vagabondo #2: Storie dell’altro mondo
Ronald e la Jeep.
Osorno è un nome e un punto a sud sulla cartina del Cile, troppo piccolo per essere città, troppo grande per essere paese. Il minuscolo centro, fulcro di ogni attività urbana, è circondato da nuovi quartieri residenziali di case basse e colorate, troppo giovani per badare a loro stesse. Cani randagi sonnecchiano ad ogni angolo della strada, cibandosi di raggi di sole e del poco amore degli abitanti. Ronald ha quasi 40 anni, volto di bambino e statura di ragazzo, ma la schiena curva di chi lavora e il collo ben infossato dentro alle spalle. Osorno lo ha adottato quando di anni ne aveva la metà. Scappato dall’isolamento della campagna e dalla semplice vita rurale, il destino lo ha riportato a respirare odore di terra e trebbiatura: meccanico di professione, specializzato in macchine agricole, ha infatti girato America ed Europa per riparare trattori di ogni sorta.
Una sera qualsiasi, in mezzo ad una settimana qualsiasi, mentre si pulisce le mani dal sudore e dallo sporco del suo lavoro, la collega alle vendite della concessionaria gli si avvicina con una coppia di ragazzi, vestiti con colori troppo sgargianti per essere cileni. "Ronald, come stai? Ascolta, questi due ragazzi stanno cercando un veicolo usato da comprare, hanno girato tutto il giorno per ogni concessionario della città, ed il meglio che sono riusciti a trovare è questo Partner." Mentre lei gli mostra le foto del motore da uno dei cellulari dei ragazzi, Ronald nota la disperazione e la stanchezza scolpiti sui loro volti. Il Peugeot Partner è uno specchio per abbindolare compratori inesperti, pensa e commenta ad alta voce Ronald guardando la foto del motore, troppo pulito e falsamente nuovo per appartenere ad un veicolo in uso e ben funzionante. "Se volete viaggiare al Sud, vi serve un mezzo affidabile.. sto giusto vendendo la mia jeep 4x4!" Ronald ha comprato la jeep alla fine di una vacanza nel nord del paese appena sei mesi fa, una KIA Sportage, anno 2000 e oltre 200 mila chilometri, una cigolante carrozzeria rossa ma un motore solido e vivace. Non ha fretta di venderla, però questi ragazzi stranieri, un po’ ingenui ma simpatici, gli fanno venire voglia di chiudere l’affare e comprare un mezzo più nuovo. I ragazzi guardano la jeep con sospetto, e goffamente ne analizzano i dettagli: sembrano implorarla di tirare fuori la voce e raccontare la sua storia e la sua salute. La jeep, muta, mostra solo qualche piccola cicatrice e gloriosi adesivi di Dakar expedition. Ronald pensa che di certo non gli rivelerà i suoi piccoli segreti: la chiusura centralizzata parzialmente funzionante, i finestrini che necessitano di una spintarella a mano per aiutare il motorino elettrico ad alzarli.. però sa che il motore è buono, e che in città, per quel prezzo, non troveranno niente di meglio. Che facciano quello che vogliono.
La mattina dopo i ragazzi si presentano di buon ora e con un sorriso a metà. La jeep gli piace, ma dopo un giorno di festa nazionale e un altro di sciopero degli uffici pubblici, hanno scoperto che per uno straniero non è così facile comprare un’auto cilena. Pare che abbiano bisogno di un "Representante Legal" cileno, una specie di garante dalle funzioni e responsabilità non chiare nemmeno ai burocrati. "Alicia e Giovani" hanno la faccia pulita, e non l’aria di chi vuole fare affari sporchi in Cile. Quando Ronald, diviso tra lo sconcerto ed il divertimento, accetta di essere il loro garante, nota che sui volti dei due giovani si distende un sorriso liberatorio: finalmente il loro sogno può essere realtà. Le pratiche ora, con un garante cileno, sono presto fatte. Ronald toglie il treno di sedili posteriori della jeep e li parcheggia nel suo garage: i due stravaganti italiani pare non li vogliano, e lui, sempre più sorpreso e divertito, decide di aiutarli fino in fondo. Prima di andare con suo figlio a sgozzare il capretto del fine settimana, Ronald lava velocemente la jeep scherzando col sapone e con i suoi due nuovi amici. Gli consegna le chiavi insieme agli ultimi avvertimenti. Anche se sono stati bene insieme, tutti e tre hanno fretta e le loro strade li attendono. Ronald li vede allontanarsi mentre salutano dal finestrino, e troppo tardi si accorge che, presi dall’emozione della partenza, hanno dimenticato un sacco verde con dentro un miscuglio di vestiti da asciugare e cibo. Torneranno un giorno, pensa chiudendo il cancello dell’officina e preparandosi al dolce weekend che lo aspetta.
Dopo appena venti minuti gli squilla il telefono: "Pronto, carabinieri di Osorno, è il signor Ronald? Conoscete per caso Giovani e Alicia? Li abbiamo appena bloccati perché Giovani ha scavalcato la recinzione della vostra officina. Per fortuna il vicino lo ha visto e ci ha allertati immediatamente. Giovani sostiene di essere entrato solamente per recuperare un sacco che gli appartiene." "Sì sì, è tutto vero. Sono miei amici." "Di che colore è il sacco, signor Ronald?" "Verde." "Va bene signor Ronald, tutto a posto allora. Scusi il disturbo e buon fine settimana." Ronald riaggancia e sorridendo pensa che il loro viaggio è iniziato proprio bene. Chissà quante altre ne combineranno i suoi due bizzarri nuovi amici. "Que le vaya bien!"
Mateo: un bosco intero per amico.
Il maglione sembra boliviano, la macchina fotografica di un professionista ancora con pochi soldi in tasca, ma lo sguardo e lo zaino vissuto non mentono: lo spirito è di viaggiatore. Mateo, seduto su un autobus a due piani, guarda un po’ stupito il suo pranzo impacchettato e sottovuoto, sognando zucche e insalata fresca che lo aspettano a casa. Questa volta non ha potuto spostarsi da Buenos Aires in autostop. A Bariloche lo aspettano per una riunione della rivista alle 15 in punto. Guardando fuori dal finestrino del bus sul quale è seduto da ormai venti ore si gode il paesaggio di canyon, cascate e bosco. Il bosco ormai è la sua famiglia. "Perdona! Puedes respiegar le regole del Bingo?" Una ragazza, sicuramente non argentina, cerca con uno spagnolo stentato di interloquire. Accompagnata da un altro straniero, sembrano divertiti da quel diversivo escogitato dalla compagnia di autobus per alleggerire le lunghe ore di viaggio. Una strana coppia, pensa Mateo al primo sguardo, così lontana da quella formata da lui e la sua compagna. Chiacchierando per le successive dieci ore, Mateo scopre invece più cose in comune di quello che pensava. Dopotutto vagabondare tra le montagne del Sud America, non è poi così diverso rispetto a quello che sente di aver fatto con Mora. Erano partiti così, semplicemente contando sulle loro buone energie, nel suo zaino attrezzi da carpentiere per trovare qualche lavoretto durante il viaggio, e in quello di Mora carta e acquerelli per poter trasformare in arte ciò che vivevano lungo il cammino. Avevano vissuto di questo e del loro amore per due anni prima di fermarsi per un po’ a Bariloche. Il bosco era stata meta prescelta per costruire con fango e alberi la loro casa. Come il loro rapporto, anche la casa era un’opera in costruzione: muri e pavimenti grezzamente definiti da chi lavora non per un’impresa edile, legni irregolarmente scolpiti dalla forma del bosco e qualche finestra ancora senza vetro. Avevano studiato, avevano sperimentato e ogni tanto sbagliato, ma con l’aiuto di parenti ed amici erano riusciti a tirare su quattro mura accoglienti e senza serratura. Su quel bus Mateo non immagina che, dopo solo una settimana, i due italiani, ora seduti sui posti dietro, si presenteranno proprio lì nel bosco sopra Bariloche con una jeep rossa.
Il progetto è buono e anche abbastanza ben sviluppato. Manca solo qualche consiglio, legno e viti da comprare. L’obiettivo ambizioso è trasformare la jeep in una casa a quattro ruote. Mateo li accompagna volentieri in città alla ricerca del materiale, anche se il caotico centro sembra stordire tutti e tre. Presta loro anche i suoi attrezzi che i due ragazzi maneggiano con cautela e un po’ di inesperienza. Alice e Giovanni si svegliano presto la mattina e tra sega e avvitatore sembrano fuori dal tempo, si dimenticano persino di avere fame. A Mateo sembra che a loro faccia piacere quando arriva per una pausa con un po’ di mate, una tisana o semplice acqua fresca dei loro monti. Oltre a Mateo, Mora, e i loro amici, perfino un’intera banda di cani e gatti abitanti del bosco sembrano essere lì per incoraggiarli e supportarli. I pranzi con pizze vegetariane, torte di zucca o parmigiana trascorrono allegri tra lezioni tandem di italiano-spagnolo e risate internazionali. Il primo giorno è il più difficile. I ragazzi arrivano a tavola con musi lunghi e occhi sconsolati. Le viti o troppo corte o troppo lunghe, un legno tagliato male, le misure prese sbagliate, le zampe montate storte: tutto sembra essere contro di loro. Mateo e Mora con sguardo sereno ripetono solo: "Buen aprendizaje". Gli errori di oggi ci stanno insegnando qualcosa in più su noi e sulla vita. Quella notte sarà comunque la prima sul letto, ancora un po’ traballante, nella jeep. I due ragazzi sanno quello che vogliono ed hanno inventato un modo per ottenerlo, improvvisandosi per qualche giorno carpentieri e falegnami.
"Buen aprendizaje" ripete nuovamente Mateo sorridendo mentre si salutano sotto la pioggia vicino al lago Gutiérrez. Questa volta, mentre lo dice, pensa a se stesso e a tutto ciò che ha imparato dai due ragazzi in quella settimana di condivisione e vita semplice. "Mi è sembrato che due amici di vecchia data siano venuti a trovarmi. Grazie, e che il viaggio vi frutti!".
Ale, due scalate e due chiacchiere al buio.
Tempo bizzarro questo novembre: un giorno vento incessante come si legge nei libri e il giorno dopo il sole caldo che scioglie la calotta del lago. Il giovane rifugista dalla barba incolta osserva l’alternarsi irregolare delle stagioni che vanno avanti e qualche volta anche indietro. Ale, quando capita, lavora al Refugio Frey; un po’ rifugio, un po’ bivacco e un po’ accampamento, appoggiato sulle rive di un lago cristallino e a diverse ore di cammino dal più vicino centro abitato. Qui il mondo è fatto di guglie e pinnacoli che si specchiano nei laghi vezzeggiandosi del loro granito rosso. Somigliano a disordinati castelli di sabbia fatti da mani di gigante. "Pochi scalatori in questo periodo" pensa ancora il rifugista mentre guarda la luna che sorge e ascolta il chiacchiericcio serale e le risate dei "mochileros" riparati tra le quattro mura. Solo due frontali girano per l’accampamento, e lottando contro le raffiche stanno fissano a fatica la tenda. Saranno ricompensati dello sforzo: li attendono due giorni quasi estivi prima che il vento riporti prepotentemente il freddo e la pioggia.
Due sere dopo Ale pensa di vivere un déjà vu: di nuovo solo le due frontali nell’accampamento, di nuovo a lottare contro il vento, questa volta per smontare la tenda e fare in fretta gli zaini. La sua curiosità si placa quando Giovanni e Alice gli si presentano, finalmente scoprendo i volti sotto quelle due frontali. Le loro mani parlano di fessure e incastri e il loro passo sente la fatica delle lunghe ore di camminata che li hanno separati dalle pareti. Il loro sguardo sognatore e soddisfatto è di chi ha toccato il cielo con un dito e ha messo piede sulla luna. Ad Ale basta scambiare due parole per capire che non sono camminatori inesperti che si perderanno al buio della discesa, ma scalatori che hanno fatto scorrere parecchie corde. "Siete stati coraggiosi ad affrontare le pareti più lontane e più alte del massiccio cercando la traccia della scorsa stagione tra la neve vergine e i torrenti del disgelo. Vi siete divertiti?" Per i due alpinisti in trasferta, scalare queste guglie di solamente qualche centinaio di metri, così selvagge e lontane dal loro abituale terreno d’azione, è costato molto di più di quello che si sarebbero aspettati. La domanda di Ale però aveva centrato il punto: anche questa avventura per loro era stata divertente. Gli raccontano l’emozione di ammirare tutto il Frey dalla sua Torre più alta pur scalandone la via cosiddetta "Normal": fessure fuori misura e difficoltà dichiarate fino al 6a, ma dove più il grado è basso e più la scalata è strana e faticosa. Il rientro, descritto nella guida come "destrepe fàcil", è invece complicato e ricorda tanto le impervie discese dolomitiche che sulle relazioni appaiono come "disarrampicare per facili roccette".
"E Objetivo Luna come l’avete trovata?" domanda Ale, retorico e orgoglioso, sapendo che quella via è uno dei fiori all’occhiello della sua zona. I ragazzi si animano raccontando la varietà di tiri che si susseguono uno più bello e sostenuto dell’altro fino in cima al Cohete Lunar. Questo "missile" di oltre 200 metri porta gli andinisti sulla Luna, un monolite completamente staccato e vertiginosamente appoggiato in bilico sulla punta. L’arrampicata è quanto di più fantasioso e coinvolgente si possa immaginare: fessure da doppia serie di friends, placche spalmo psicologiche, uno spigolo perfetto, strapiombi di granito lavorato, ed infine una doppia da brividi che dalla cima della Luna riporta con i piedi per terra.
Alice e Giovanni bevono l’ultimo sorso di acqua di lago e salutano, dopo aver scambiato i contatti e sincere strette di mano. Chissà se si vedranno di nuovo tra la solitudine di qualche montagna. La luna brilla alta nel cielo, e Ale, spingendo la porta del rifugio, viene investito dal calore e dall’odore della cena. "Suerte", pensa, "che il favore della Luna li accompagni".
di Giovanni Zaccaria e Alice Lazzaro
Ringraziamo per il supporto: S.C.A.R.P.A. - Climbing Technology - Beal
>> 27.10.2016 - Alpinismo vagabondo #1: fare lo zaino, partire, andare in montagna
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