Ali Sadpara, l'Himalaya, l'alpinismo e gli uomini
Oggi, 2 gennaio 2018, Gorak Shep. E' nato un legame fraterno con Ali Sadpara. Il valore di un legame fra due persone si misura attraverso il non detto. Non solo a parole. Si è plasmato lentamente, durante il cammino verso il campo base, attraverso scambi di frammenti delle nostre reciproche esperienze, delle mie due spedizioni in Karakorum nel 2011 e nel 2014, ove ebbi occasione di vivere la bellezza e la ricchezza di un popolo ancora intatto, nella lingua, cultura, valori e dotato di un forte senso di appartenenza, nonostante i massicci interventi di islamizzazione e gli scarsi interventi del governo centrale in aiuto dell'economie locali.
In lui avvertivo il sincero desiderio di sostenere la crescita della sua comunità ma spesso coglievo in lui il senso di disincanto verso un governo sordo ad ogni richiamo. Di non poter creare ricchezza attraverso risorse ambientali enormi ma affatto riconosciute, se non per spremere tasse dalle popolazioni locali senza investimenti di ritorno. Da qui il suo senso di rabbia. Soprattutto nel constatare come le comunità Sherpa erano in grado di creare ricchezza attraverso il turismo e l'alpinismo. In tutto l'anno. di questo e di altro ci siamo detti. Ma anche del suo sogno di sostenere i suoi figli e creare loro un futuro attraverso una formazione scolastica (privata con costi importanti). È il risentimento e la frustrazione di non veder riconosciute le sue imprese alpinistiche nel suo paese. Un desiderio di raccontarsi, quasi liberatorio, che ci ha stretti l'un l'altro, in un legame fraterno. Nato, casualmente grazie ad una pura coincidenza, ritrovandoci a Kathmandu lo stesso giorno ma in largo anticipo sugli altri membri della spedizione.
Stamattina, verso le 8, con un freddo pungente ed una frugale colazione ci siamo incamminati verso la vetta del Kala Pattar, un contrafforte roccioso che sovrasta la valle, a 5550 metri. Giornata limpida e fredda, come ormai accade da settimane, equipaggiati con due stecche e una buona giacca a vento. Il dislivello non è eccessivo, poco più di 300 metri ma su uno sviluppo di qualche km. Dinanzi a noi una cintura di montagne, è la grande piramide del Nuptse, 7864 metri. Ali procede rapido ed io faccio fatica a seguirlo. Appena sulla rampa, avverto tutta la fatica di questi ultimi giorni e la scarsa ossigenazione della quota. Stanotte ero insonne e il freddo penetrava dappertutto nella stanza, persino la bottiglia dell'acqua era congelata. Una stanza di cartongesso e una finestrella a separarci dal vento freddo del ghiacciaio.
Procediamo regolari sul pendio, su un sentiero poco ripido. Giungiamo su un altopiano, dove sorge una rampa di atterraggio per elicotteri. Ben presto notiamo nell'aria sciami di elicotteri sorvolare il ghiacciaio, atterrare, scaricare decine di danarosi turisti, due selfie e poi ripartire. Noi avanziamo lenti verso la vetta, i miei pensieri sono vuoti, ricordi, persone, immagini, vissuti di altri luoghi si condensano tutti in una sorta di girandola veloce, e la sensazione chiara di vivere in un luogo magico e sentire che non c'è più posto dentro per altre emozioni.
Ali mi precede di un centinaio di metri, ormai è il mio compagno fidato, mi sostiene e mi aiuta anche nelle piccole cose, con il suo sorriso autentico. Ieri mi aveva confidato di sentirsi un po' stanco, aveva vissuto una stagione intensa, sul Broad Peak, unica spedizione che ha raggiunto la vetta tra 26 spedizioni tutte fallite e poi la risalita alla vetta del Nanga Parbat, e infine il rischioso intervento di recupero della cordata argentina, sulla Mazeno Ridge al Nanga.
Sì, un po' di stanchezza in un uomo semplice e forte, nato e vissuto nel cuore del Karakorum. Un uomo che negli ultimi dieci anni ha macinato scalate su vette importanti soprattutto in inverno, al Gasherbrum I con i polacchi nel 2012, dove, a causa di un principio di congelamento ai piedi, fu soccorso da Alex Txikon e fatto trasferire con elicottero a Skardu, mentre i polacchi festeggiavano la loro prima invernale sul GI e la spedizione austriaca di cui Alex era membro piangeva i suoi tre componenti, scomparsi a pochi metri dalla vetta. Allora Ali ebbe la chiara sensazione che la salita di una vetta raccontasse molte storie diverse. Tuttavia la sua strada era tracciata.
Dopo la salita invernale al GI, alcuni ottomila in Karakorum, il tentativo fallito nel 2015 della prima invernale al Nanga Parbat con Txikon e Nardi, mancato a pochi metri dalla vetta per un suo errore di valutazione, ridisceso poi alla base dei canali, a ottomila metri, ma ormai in condizioni al limite della sopravvivenza, con la sensazione di sfinimento che precede la morte, chiese ai suoi compagni, con un atto di estrema generosità, di salire in vetta senza di lui . Ma il grande "corazón" di Alex, gli aveva dettato la migliore delle soluzioni, recuperare Ali e rientrare. Così fu. Ali fu sostenuto e rifocillato, riuscendo così a riportarlo sano e salvo al campo base dopo lunghissime ore di sofferenza. Da allora fra i due si era generato un sodalizio fraterno, che li avrebbe fatti ritrovare l'anno successivo, il 2016, lo stesso team e un nuovo tentativo di scalata in invernale al Nanga, ancora inviolato, nonostante numerosi tentativi di grossi team internazionali (Nardi, Nardi e Revol, i polacchi).
Ali in questi giorni mi aveva confidato che il segreto del successo di una spedizione su un ottomila, tanto più in invernale, consiste nel legame tra gli alpinisti, basato sul rispetto reciproco, empatia e affetto, passione e capacità strategiche nel condividere un obiettivo comune. Un legame di sangue, forte e sincero. Non un rapporto condizionato e programmato per convenienza e opportunismo dagli sponsor, ormai i decisori occulti di ogni spedizione moderna. E Ali non si era tirato indietro. Accettò con entusiasmo l'invito di Alex, in fondo era un team già collaudato in precedenza. Nel frattempo Alex e Nardi si erano acclimatati in Sud America, credo sull'Oyo de Salado, e si erano preparati con scrupolo alla scalata del Nanga. Era un obiettivo ambizioso e sospirato da molti alpinisti, tutti decisi a prendersi gli onori della prima assoluta al Nanga. Ma solo ai più forti e dotati di capacità straordinarie, sovrumane (il titolo del Film di Alex sull'Everest) progettuali e di intelligenza strategica unica, e' concesso il successo. In effetti nel team di Alex c'erano tutti gli ingredienti del successo. Salvo alcuni intoppi, non prevedibili né attesi, legati alle condizioni psicologiche ed ai tratti di personalità di ciascun membro.
Nel frattempo Simone Moro e Tamara Lunger si erano aggregati con il team di Alex, chiedendo di poter usare le corde montate sulla via fin quasi a settemila metri da Ali. Poco tempo dopo, Alex Txikon, M. Ali Sadpara, Simone Moro e Tamara Lunger, appena poco sotto a vetta, avrebbero raggiunto la cima del Nanga Parbat, grazie al faticoso lavoro di posizionamento delle corde sui passaggi difficili, di Ali Sadpara, a cui va il mio personale, modesto riconoscimento.
Oggi Ali Sadpara è il compagno di cordata di Alex Txikon, nel secondo tentativo di scalata del Tetto del Mondo. Pochi mesi fa una forte cordata polacca, secondo tentativo dopo i russi di prima invernale assoluta sul K2, lo aveva invitato a far parte del team. Quasi contemporaneamente, Alex Txikon aveva proposto ad Ali di tentare insieme la scalata dell'Everest "sin oxigeno", Ali ha deciso, senza ripensamenti, la seconda opzione.
Tutto quanto riferito in questo scritto è il risultato e la registrazione di una testimonianza personale di Ali Sadpara, durante la risalita della Khumbu Valley
Gorak Shep, 4 gennaio 2018.
Domenico Perri (inviato speciale di planetmountain.com)
PS. Il 5 gennaio, in occasione del mio compleanno, festeggiato insieme al campo base, Ali si era lanciato in una danza baltì, piroettando sui piedi come un ballerino provetto. Al mattino del 6 gennaio, ci siamo salutati e abbracciati. Io ho intrapreso la via del ritorno, con un po' di tristezza dentro, ma totalmente appagato. Il 6 gennaio, Ali Sadpara e Temba "Patagonia" Sherpa, in accordo con Txikon (impegnato ad attrezzare la seraccata del Khumbu con alcuni sherpa), si sono apprestati a montare insieme la via di salita al Pumori, un massiccio di oltre 7mila metri, in prossimità del circolo glaciale del Khumbu, come primo acclimatamento preliminare alla salita dell'Everest.
info: Everest 2018 Winter Expedition b.c. 5364 m