Breche Victor Chaud - Couloir Pèlas Verney
La domanda la fa Ale, come risposta riceve soltanto un cenno divertito, qualcosa di simile me l’ero già chiesto stamattina mentre tentavo di star dietro ai loro passi ben più allenati dei miei risalendo un bosco senza neve aspettando un’alba che sembrava non arrivare.
Frontale in testa, temperature miti, scarponi pesanti, fiatone in gola e sci nello zaino, risalivo questo vallone nel parco degli Ecrins allontanandomi dalla tenda lasciata ad Ailefroide.
Riesco a raggiungere gli altri solo quando si fermano per mettere i ramponi, poco dopo l’alba: siamo alla base del conoide ed è la prima volta, oggi, che mettiamo piede sulla neve - Ma se in salita non uso gli sci è scialpinismo lo stesso? Ale, perplesso, stacca le pelli asciutte dagli sci. Io non le avevo ancora messe: la pigrizia, a volte, paga e mi piace parecchio quando capita.
Abbiamo dovuto fare parecchia strada per arrivare a posteggiare negli Ecrins, e parecchio portage questa mattina, ma l’ambiente è ben determinato a farsi perdonare. La pioggia di questa notte ci ha lasciato il tempo di mangiare qualcosa attorno al fuoco e si è interrotta prima della nostra sveglia.
Il Pelvoux ci mostra la sua faccia sud tormentata di roccia e nevai sospesi. La linea che stiamo salendo – il Couloir Pèlas Verney - è dritta, pulita, incassata e lunga proprio com’era nelle foto e nelle relazioni che ci hanno convinto a partire.
Mille e cento metri dal conoide fino al colletto d’uscita, ottocento metri abbondanti solo di canale. Si allarga, si restringe, una lieve flessione verso destra dopo il primo terzo. Innevamento abbondante che lo rende godibile in salita - specie per me che sfrutto le impronte dei primi - e perfettamente sciabile. Il manto ha subito già diversi metamorfismi e appare ben assestato.
Gli ultimi 50 metri di dislivello stringono e impennano parecchio, direi poco sopra i 50°, lasciando affiorare pietre e roccioni, i miei due apripista proseguono decisi e portano gli sci fino alla breche, io li seguo, piedi negli scalini e li raggiungo in cima con diversi minuti di ritardo. Strette di mano, foto di rito, dianablù per me e mentre mangiamo biscotti arriva persino il sole a passare qualche minuto con noi.
Dopo cinque ore che ce li portiamo in spalla, finalmente, scambio di ruoli: li togliamo dalla schiena e saliamo sugli sci. Quindi ora l’idea è fare delle doppie in retromarcia sci ai piedi? chiedo. Tranquillo, l’ho visto fare in un film. È la risposta che ottengo. Una doppia su sosta con chiodi e due su spunzone sono sufficienti a portarci fino alla parte sciabile. O meglio, sono sufficienti a portarci fin dove il canale è largo almeno quanto gli sci, un po’ di scaletta e un po’ di derapate per arrivare dove si riallarga e la pendenza si fa leggermente più mite. Da qui in poi il Pèlas Verney si lascia sciare sempre su buona neve che tiene bene e tende a scivolare solo un poco a valle sotto le curve. Si fa leggermente più ripido in un paio di strettoie ma anche queste si lasciano passare senza problemi.
Il conoide ha già preso parecchio sole e la neve tende a partire al nostro passaggio, lo scendiamo con prudenza, lungo un suo rilievo naturale, andiamo piano cercando di non sovraccaricare il pendio. Dove il conoide incontra il ruscello la neve finisce. Una rinfrescata, sci sullo zaino e si riprende a camminare nel bosco.
Tornati alla tenda il sole ha finito di asciugarla e ora sta disteso sul prato. Ci sdraiamo con lui il tempo di mangiare qualcosa, metterci i pantaloni corti e parlare un po’ di montagna. Dal sentiero arriva una coppia di francesi con scarpette all’imbrago e corda in spalla: Ma dove sono andati ad arrampicare di sta stagione? Ma dove sono andati a sciare di sta stagione? Gli sguardi dicevano così, ma in realtà ci siam detti Ciao, Bon jour. Gran bel posto gli Ecrins.
di Mattia Salvi
DI MATTIA SALVI
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