L’Alpe numero 5: "profumo" di cultura
E' in libreria il 5° numero de L’Alpe, rivista internazionale edita da Priuli & Verlucca e Glénat diretta da Enrico Camanni.
E' in libreria il quinto numero de "LAlpe. Diretta da Enrico Camanni, storico dellalpinismo, giornalista e scrittore, L’Alpe è una rivista internazionale nata da un accordo tra Priuli & Verlucca e l’editore Glénat di Grenoble che in Italia esce con cadenza semestrale. Sin dal titolo (Terra dasilo e terra di rifugio) il nuovo numero appare interessante. “Con la fama di terre impervie e "inaccessibili" come scritto sul risvolto di copertina, le Alpi hanno rappresentato nel corso della storia un rifugio ideale” per: eserciti in rotta, eremiti e certosini, eretici perseguitati, disertori e banditi, filosofi bisognosi di ritemprare lo spirito, alpinisti in cerca di emozioni. Rifugio ma anche accoglienza. Spesso le Alpi, e le genti alpine, hanno offerto ospitalità: la Val dAosta, il Piemonte settentrionale e il Ticino accolsero i Walser, la Valsesia offrì ricovero a Dolcino, il Piemonte occidentale ospitò i valdesi, gran parte dellarco alpino sostenne i partigiani durante la Resistenza. Nel quinto numero de “L’Alpe” c’è tutto questo. E Cammani, per trattare ogni argomento in modo esauriente e "produrre" cultura alpina come la rivista si ripromette, ha adunato attorno a se una schiera di professori universitari e storici. Il risultato è una raccolta di articoli (quasi tutti di buon livello) nei quali la divulgazione non perde mai di vista il rigore scientifico. Lottima qualità fotografica e la cura editoriale che tende al perfezionismo, contribuiscono a fare di questo fascicolo un numero di rango. Impossibile parlare di ogni contributo, citeremo quelli che ci sono piaciuti di più. ”Ai piedi del Monte Rosa scrive Tavo Burat, fondatore e coordinatore del Centro studi dolciniani Dolcino trovò degli alleati e un rifugio”. I montanari della Valsesia, da sempre insofferenti al potere feudale, trovarono nella sua dottrina (Dolcino predicava “l’utopia di una società di liberi e di eguali”) una giustificazione alla loro voglia dindipendenza. Un’unione mefistofelica e inammissibile per il vescovo signore di Vercelli; tanto esecrata che, nell’anno del Signore 1306, organizzò contro i dolciniani una crociata. Naturalmente gli eretici furono tutti sterminati e Dolcino messo al rogo. Le Alpi come rifugio militare aperto o chiuso vengono illustrate con efficacia da Giuseppe Sergi, insegna Storia medievale allUniversità di Torino. “Fra il 1167 e il 1168 Federico I Barbarossa, in una fase negativa della sua lotta contro la Lega Lombarda, si ritirò nella piccola città alpina di Susa. Lì pensava di essere al sicuro (rifugio chiuso)”. Ma il Barbarossa in breve tempo dimenticò di essere un ospite. "Diavolo di un Re devono aver pensato gli abitanti di Susa , è ancora tutto ammaccato che già mena le mani e fa il padrone" e la città si sollevò: “qui si rivelò fondamentale la via di fuga del valico del Moncenisio (prezioso rifugio aperto), che Federico raggiunse in gran fretta e di nascosto”. Giangiorgio Pasqualotto, docente di Storia della filosofia allUniversità di Padova, spiega la filosofia del rifugio secondo Nietzsche. “La posizione di Nietzsche è di una chiarezza esemplare: un luogo, in particolare la montagna per il filosofo tedesco fu Sils Maria in Engadina, può essere scelto come rifugio soprattutto perché offre silenzio e solitudine. Tuttavia questo non può costituire una stabile dimora: esso serve a prendere le distanze dal mondo, non ad abitare la distanza; altrimenti il rifugio rischia di far spazio a idee fisse”. Enrico Camanni ci ricorda invece che l'epopea dell'alpinismo inizia alla vigilia della Rivoluzione francese. “Il rifugio non è tanto un riparo dal freddo e dalle intemperie, quanto uno spazio protetto, un limbo. Mentre là fuori le anime dannate espiano tra i ghiacci i loro peccati, gli alpinisti annullano la notte chiudendo la porta”. La modernità ha azzerato la valenza simbolica del rifugio al punto che: “con l'avvento del telefono cellulare conclude Camanni il mondo è diventato un unico grande rifugio che non chiude mai”. di Luca Ferrario |
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