Valle dell'Orco e l'intervista a Maurizio Oviglia
Proprio in questo contesto, poco più di trent’anni fa, un giovane Torinese di nome Maurizio si affaccia per la prima volta alle vie d’arrampicata trovando un terreno ideale per le sue giornate di svago lontano dalla città e dalla monotonia quotidiana. Non è sicuramente uno dei primi pionieri della zona in quanto c’erano personalità che già da tempo avevano rivoluzionato il concetto di arrampicata e che stavano trasformando, in modo innovativo, la cosiddetta "lotta con l’Alpe", ma la sua passione, in poco tempo, lo fa emergere e gli permette di diventare un attore fondamentale in questo grosso teatro a cielo aperto.
Le lunghe e numerose giornate passate in questo contesto storico e in questa valle bucolica permettono a Maurizio di innamorarsi di questi luoghi solitari e di trovare il contesto perfetto nel quale potersi esprimere: un mondo di montagna, natura, silenzio, pareti, avventure ed amicizie da condividere. Dove le giornate sono scandite dal sole, dal vento, dalla pioggia e dal buio, dove il tempo si misura a ritmo dei passi e dove poche decine di metri verticali possono richiedere il susseguirsi di più albe e tramonti.
In poco tempo percorre e conosce ogni angolo di questa valle e delle valli laterali, come il Piantonetto e la valle di Noaschetta, aprendo itinerari o ripetendo quelli esistenti, cercando di liberare, con la concezione moderna, le vie presenti che fino ad allora risultavano artificiali. Alcune volte, in quella bolla di spensieratezza che è la gioventù, si lancia in imprese solitarie e in lunghe scalate che gli permettono di assaporare il profumo dei monti e di gustare l’ebrezza dell’impresa; altre volte invece, con amici e compagni, si dedica all’esplorazione riuscendo ad intuire una linea da salire fino a quel momento invisibile a molti.
Oggi Maurizio, sardo di adozione, torna quasi ogni anno in questa valle attirato, penso, da quell’amore inconsapevole per queste pareti e per questi paesaggi che hanno modellato il suo carattere e la sua vita da ragazzo. Ogni volta che ritorna i suoi occhi si posano su qualcosa di vergine che merita di essere pulito, spazzolato e con gran passione riesce ad aprire nuove vie, nuovi monotiri, nuovi passi che ampliano l’offerta, dal punto di vista dell’arrampicata, della valle. Proprio dal suo pennello perforatore fuoriescono negli ultimi anni vie bellissime e riconosciute dalla maggior parte degli arrampicatori come delle piccole perle meritevoli di esser scalate e percorse.
Questa sua assidua frequentazione della valle e la sua profonda conoscenza lo portano a scrivere e creare, nel 2010, l’ennesima guida della Valle Orco, indispensabile per orientarsi sia geograficamente tra il dedalo di itinerari e fessure, ma soprattutto per delineare il percorso storico che queste pareti hanno conosciuto e vissuto.
Oggi chi risale la statale della Valle Orco si accorge che la strada non è più la stessa di un tempo, che i tornanti hanno lasciato spazio alle gallerie, che i prati sono stati mangiati dall’asfalto e che qualcosa è cambiato in modo indelebile. Ma chi ha avuto la fortuna, come me, di essere su queste pareti millenarie ad arrampicare e ad aprire nuove vie con Maurizio si è potuto accorgere che la sua passione per questo mondo che ama non è cambiata e che mentre tutto intorno muta e si trasforma con il tempo nei suoi occhi è rimasto lo stesso bagliore di chi ha imparato ad apprezzare la vita proprio su queste pareti e solcando queste vette, alle quali per sempre rimarrà riconoscente e debitore per avergli concesso così tanto. Sono convinto quindi che valga la pena ogni anno vederlo ritornare tra queste montagne.
Damiano Ceresa
Sei stato sicuramente uno scopritore della Valle Orco e delle sue valli laterali aprendo, ad oggi, circa una settantina di vie tra monotiri e vie lunghe sia su massi nel fondovalle che sulle montagne simbolo di queste valli selvagge spalmate su un arco di tempo di circa 30 anni: cosa rimpiangi della Valle Orco degli anni ‘80 e cosa apprezzi maggiormente di oggi?
Non ho grossi rimpianti. Anche se può sembrare che spesso parli degli anni ottanta con nostalgia, non credo fosse un periodo da considerarsi più fecondo di quello attuale. Le nuove generazioni forse lo percepiscono così, semplicemente perché non l’hanno vissuto, ed hanno la sensazione di essersi persi irrimediabilmente qualcosa. Gli anni ottanta sono stati un po’ mitizzati, ma sono certo che, almeno per quanto riguarda la Valle, sono stati più innovativi del decennio successivo. Gli anni novanta, se si eccettuano le grandi cose fatte da Manlio Motto agli inizi della decade, hanno segnato senza dubbio una stasi di creatività e la Valle dell’Orco era frequentata solo sporadicamente, e soprattutto da aficionados. Attualmente vedo e apprezzo il fatto che c’è una grossa frequentazione della Valle dell’Orco da parte degli stranieri, che contribuiscono a spazzare via un certo provincialismo che ci ha impedito, soprattutto a nord-ovest, di evolverci ed allinearci a quel che si fa altrove. A mio modo di vedere ci sono due eventi che hanno accelerato enormemente l’evolversi della situazione precedente: la traduzione della mia guida in inglese da parte di Versante Sud e l’interessamento da parte di due forti fessuristi, Didier Berthod prima e di Tom Randall dopo, verso la Valle dell’Orco. Con l’apertura di monotiri trad e delle "short climbs" l’interesse si è spostato verso una tipologia di vie che non erano mai state seriamente prese in considerazione, quindi si sono trovati ancora gli spazi dove esprimersi. Quando Tom Randall ha detto, al primo meeting trad, che riteneva che in Orco ci fossero più spazi vergini che in Yosemite, non era una provocazione! Tutti si son guardati perplessi, ma io sapevo che aveva perfettamente ragione! Sono stato ad esempio a Squamish, in Canada, ed ho avuto la netta sensazione che tutto o quasi fosse già stato salito! E’ inutile, a meno che tu non abbia il livello di Sharma, che tu ti guardi intorno… puoi arrampicare solo da turista. Invece in Valle dell’Orco ci sono ancora spazi per esprimersi e gli stranieri lo hanno capito al volo! A ben vedere anche Daniele Caneparo ed io, fin dal 1984, avevamo cominciato a salire monotiri, prima trad e poi con gli spit. Rappresentavamo la generazione successiva a quella che aveva fatto il "Nuovo Mattino", dunque davamo la stessa dignità ad un monotiro che ad una via, ed in questo senso, in un contesto come la Valle dell’Orco, eravamo avanti. Per noi non era la palestra per poi andare nel Monte Bianco, era la nostra Yosemite, il nostro Peak District! Però non avevamo certo la mentalità che aveva consentito agli inglesi quel salto di qualità che noi, almeno sul trad, non siamo mai riusciti a fare. Daniele aveva scoperto e tentato di salire Legoland, la vedeva come la "nostra" Separate Reality. Quando è stata salita c’è persino chi ha parlato di 8a! Poi è venuto Nico Favresse che, dopo averla salita on sight, mi ha confidato che era ben più facile di Separate Reality, per lui addirittura 6c!! E poi Honnold, che l’ha salita a vista e poi slegato. Questo giusto per dare l’idea a quanto eravamo (e siamo) indietro in questo tipo di arrampicata…
Negli ultimi anni hai avuto la possibilità di aprire nuovi itinerari in luoghi ultra frequentati all’interno dei quali si pensava che le possibilità fossero esaurite. Alcune di queste vie sono diventate delle vere e proprie vie di riferimento, penso a Jedi Master ad esempio. Credi che la Valle abbia ancora potenzialità nascoste? ...O forse tu hai ancora dei segreti per il futuro?
Io son sempre stato così, sin dagli inizi, mi è sempre piaciuto andare a frugare nelle pieghe dove gli altri non si erano spinti o non avevano visto. Non si tratta soltanto di saturare spazi, ma anche di cambiare prospettiva, quando necessario. Tu hai citato il Sergent, ma su questa famosissima parete possiamo contare le ere proprio come sul tronco di un albero. Dopo la salita delle vie logiche da parte dei protagonisti del Nuovo Mattino, cosa potevamo dire di nuovo noi, che allora (primi anni ottanta) rappresentavamo la nuova generazione? Come ho detto non avevamo le capacità, allora, per fare qualcosa di più difficile di quello che avevano fatto i vari Beuchod, Bonelli, Galante e poi Bernardi. A quei tempi la novità ero lo spit e quindi è normale che abbiamo battuto quella strada. Dovevamo distinguerci, trovare la nostra strada. Oggi questa scelta la si vede come un demerito, ma allora era un vero atto di rottura e Marco Pedrini era considerato un rivoluzionario. Quando chiodammo a spit il Lost Arrow con una via che per allora era fantascientifica (Gli angeli della morte, 7c/c+) stavamo a nostro modo abbattendo delle barriere in un luogo dove questo non era considerato opportuno. Senza scomodare l’artificiale new age di Valerio Folco, tutto un altro discorso, questo periodo, se si vuole, culminò con la mia Cinquetredici, poi incominciò una certa inversione di tendenza, sempre per la necessità di trovare nuovi spazi di espressione. Prima dell’arrivo di Tom, avevo già compreso che occorresse traghettare la Valle verso un’arrampicata più "clean", perché questo era il valore aggiunto che non esisteva altrove. Come al tempo degli spit, anche in questo caso abbiamo trovato resistenza da parte di chi considerava "trad" vie con gli spit, dove era necessario mettere qualche friend ogni tanto. In questo senso non considero la mia Jedi Master una via innovativa, perché come quella ce ne sono a bizzeffe (e anche più belle e più difficili) in Monte Bianco o all’Ancesieu, tanto per fare degli esempi. Piace perché è un mix che riscuote (ancora) successo, un po’ di trad ma senza esagerare e gli spit a salvarti la vita "quando servono", come si dice in Piemonte. Ma chi decide quando servono? Secondo me, proprio perché è molto soggettivo, oggi è un concetto superato. A me non interessa più e, anzi, cerco di aprire sempre meno vie in questo stile. E’ molto più innovativo un monotiro come Trad-union, che ho aperto nel 2011. Da allora, nessuno lo ha ripetuto, il che la dice lunga. Non è particolarmente difficile o pericoloso, ma semplicemente non è (ancora) nei gusti degli arrampicatori.
Tra le vie da te aperte ce n’é una in particolare alla quale ripensandoci sei legato in modo speciale? Perché? ...e quale, se c’è, vorresti dimenticare?
Non saprei. Posso solo dirti che sono stato molto contento quando è stata "riscoperta" L’Ultima follia di Sir Bis, tanto che ci sono tornato a ripeterla con Alessandro Gogna nel 2010 per capire se fosse proprio così bella da meritare tanta attenzione! Sono ovviamente anche legato a monotiri a spit come Cinquetredici o la recente Desigual, oppure agli ultimi monotiri trad che ho scovato qua e là in valle, come Ciaparat. Quando un climber del calibro di Tony Lamiche l’ha ripetuta a vista e mi ha detto "difficile", mi son sentito orgoglioso di averla trovata, benché fosse da anni sotto gli occhi di tutti. Un climber da 9a che dice "difficile" a un 7a, vuol dire che quella via non è solo un numero, è qualcosa in più! Non riaprirei invece vie come Aquila della Notte al Caporal, perché troppo vicine a classiche famose come il Diedro Nanchez. Ma quando si parte per aprire non sempre si ha presente quello che si sta facendo. Lo si fa magari perché in quel momento storico è normale fare così, senza tenere presente che le tue scelte magari verranno giudicate negativamente 20 anni dopo. Certo chi non apre non sbaglia, e forse non sbaglia nemmeno troppo chi apre una via all’anno. Ma io faccio parte di quegli apritori bulimici che non riuscirebbero mai a trattenersi… Ciò comporta che non tutto ciò che faccia riesca bene, anzi, a posteriori molte cose non le rifarei…
Una domanda difficile: per te l’importante è aprire una via o poterla aprire con qualcuno con cui hai sognato quel progetto? La tua metodologia di apertura è cambiata ne tempo? Quando si è giovani, con il cuore che vuol essere gettato oltre l’ostacolo, l’importante era fare, oggi forse non conta solo il risultato, ma anche il modo. Mi sbaglio?
La questione che tu poni è duplice. Da un lato mi parli di rapporti umani e dall’altro di stile. Nel primo caso non sono mai stato monogamo, mi è sempre piaciuto cambiare spesso compagno di aperture, perché trovo che ciò sia in qualche modo positivo, piuttosto che essere legati ad un unico "socio". In genere quando "vedo" una nuova linea mi pare normale condividerla con la persona con cui sei, e magari aprirla insieme, ma non sempre è stato così. A volte, sono stato io stesso a infrangere questa "regola" non scritta. Forse perché non riuscivo a trattenermi dall’andare e terminare il progetto, ah ah.
Per la seconda questione ho già risposto in parte. Anche in questo caso trovo positivo cambiare, cambiare anche le proprie convinzioni se necessario. Mi fanno sorridere quelli che sentenziano fieri, ormai settantenni, "io non ho piantato mai uno spit in vita mia". Come se questo fosse un macchiarsi di chissà quale colpa. Bene, hanno fatto una scelta rispettabile, ma è possibile a mio modo di vedere che questa rigidità abbia anche impedito loro di evolversi verso altre direzioni. Anche io avrei potuto, nel 1984, continuare ad arrampicare trad senza macchiarmi di "crimini contro l’impossibile". Avrei continuato ad arrampicare sul VII e forse sull’VIII ma non sarei andato molto lontano. L’esperienza dello spit, qui da noi, è stata a mio modo di vedere necessaria per infrangere dei tabù, soprattutto mentali, sulla difficoltà. Noi, parlo di noi come torinesi, non avevamo alle spalle dei grandi liberisti che negli anni settanta avevano fatto le cose di Ron Fawcett, Pete Livesey o John Bachar. Abbiamo avuto un’altra storia. Oggi in Italia abbiamo centinaia e forse migliaia di scalatori capaci di fare l’8a in falesia, ma quelli capaci di farlo trad (e per trad non intendo su chiodi normali già piazzati preventivamente) si contano sulle dita di una mano. Una ragione ci sarà… e questa è soprattutto storica.
Alcune vie da te aperte sono cadute nell’oblio e nel limbo del tempo, sconosciute ai più. Eppure sono sicuro che se qualcuno le ripetesse e le sistemasse dandone notizia e facendone il giusto eco diventerebbero delle classiche. Questo processo è successo ad alcune vie ora ben conosciute, ad esempio la tua L’ultima follia di Sir Bis al Sergent. Potremmo provarci, magari con "l ruggito dei vecchi leoni. Cosa ne pensi? Ne saresti soddisfatto o perderebbero quell’alone di mistero che le avvolge?
Ti sorprenderà ma sono piuttosto indifferente al fatto che magari qualcuno scopra Il ruggito dei vecchi leoni o continui a non sapere dove sia. Sono sicuro che tu abbia ragione sul fatto che il restyling e magari qualche bella foto sui social le possa rilanciare. Oggi, il successo di una via, ma anche di un libro o un disco è soprattutto una questione mediatica. Non è affatto scontato che sia un’opera di qualità. L’ha letto l’amico, se ne è parlato in televisione, è stato condiviso n volte sui social… Anche le vie non fanno eccezione. Non so più se apprezzare maggiormente quelli che mi scrivono facendomi i complimenti per una via alla moda, o quelli che per distinguersi vanno a cercare quelle che oggettivamente son vie brutte (perché anche io ne ho aperte molte!). Il concetto di bellezza è diventato ormai molto soggettivo e anche in Valle ci sono arrampicatori che descrivono in modo entusiastico vie che io oggettivamente ritengo poco interessanti. D’accordo, dipende dai gusti, ma io come compilatore di guide mi son posto spesso il problema. Un giudizio, chi scrive una guida, lo deve pur esprimere! Altrimenti è solo un elenco, e tanto vale non firmare neanche il libro… Anzi sai che ti dico? Arriveremo a questo… l’editore acquisterà le informazioni da varie fonti la figura del "compilatore di guide" sparirà. Tra le decine di siti e app che riportano le stesse cose, vincerà la concorrenza chi riuscirà ad essere più attendibile.
Mi è capitato di ripetere molte vie da te aperte e qualcuna, segno del tempo che passa, comincia ad avere qualcosa da risistemare. So che è un argomento a te molto vicino la risistemazione delle vie e delle falesie e che ti segue on line non può non essersene accorto. Hai già pensato se andare a vedere personalmente o se passerai il testimone a qualcuno?
Michel Piola mi ha scritto qualche giorno fa per dirmi che era stato per la prima volta in Valle dell’Orco. Incredibile, vero? Mi è parso normale chiedergli se gli fosse piaciuto e mi ha risposto di no, dato che era tutto attrezzato in modo approssimativo e vetusto. Al di là dei modi di Michel, che ad alcuni possono irritare, io direi che anche in questo caso ha ragione. Se si chioda una via a spit, questa prima o poi invecchierà, e sorgerà il problema di risistemarla. Altrimenti diverrà poco sicura e poco piacevole per i ripetitori. Però, a differenza di Michel, io non ho intenzione di passare la mia terza età a richiodare le mie vecchie vie cercando di renderle immortali ;-) Quando sento di farlo, ne risistemo qualcuna, ma senza che questo diventi un dovere, anche perché non è scritto da nessuna parte che un apritore sia condannato a fare la manutenzione della sua via in eterno. Ci sono vie che hanno rappresentato qualcosa, non solo per te, che sono importanti. Io credo che la collettività debba sentire il dovere di risistemarle. L’altra strada sono le Amministrazioni Pubbliche. Ma in questo caso spesso vengono fatti progetti di richiodatura a tappeto che non sempre rispettano la storia, ma a volte la stravolgono secondo il gusto attuale. Certo, una guida o chi per essa si sarà fatto qualche soldino lavorando, per carità onestamente, ma avremo perso irrimediabilmente una parte della nostra storia.
In estate, durante le vacanze, è difficile non vederti in Valle Orco, sia a scalare che a camminare. Ma cosa ti manca di questa valle? Cosa cerchi ancora dopo 30 anni che qui sei di casa? Ricordi? Progetti? Sogni? Amicizie?
Io torno in valle perché è un ambiente che mi piace e a cui sono sentimentalmente legato. Ma torno perché lassù vive e lavora uno dei miei più grandi amici di sempre, il guardaparco Valerio Bertoglio. Tornare lassù quando lui c’è, per me è come essere a casa. Son legato a tante cose fatte insieme e non, ma soprattutto realizzate grazie alla sua presenza e alla sua ospitalità. Di questa valle conosco quasi ogni angolo, la frequento da quando avevo 10 anni. A volte ne sono saturo, mi dico che vorrei cambiare, andare altrove. Ma poi ritorno e c’è sempre qualcosa da scoprire… Sogni e progetti non ne ho, vengono sempre da soli, sul campo.
Una volta, chiacchierando, mi raccontasti di un tuo volo lunghissimo sull’Orecchio del Pachiderma ormai in uscita dal tiro perché ti scivolò un piede sull’erba. Volasti, se ricordo bene, su un excentric posizionato 10 metri sotto. Magari altre volte ti è capitato. Ora queste vicende le ricordi con un sospiro di sollievo dicendo "mi è andata bene" o credi che ti abbiano formato allo stile di apertura che oggi utilizzi con friends e nuts?
A quei tempi avevo dalla mia "l’incoscienza dei 20 anni" e da quel volo ero ripartito senza farmi troppe domande, ah ah. Bastava un metro o due in più e sarei morto. Tre anni fa, aprendo Salvate Morkietto, sono ricaduto a testa in giù per 10 metri per il cedimento di un micronut sul quale ero appeso per mettere uno spit. Un grosso taglio in fronte e una gran botta all’osso sacro. Son ripartito ancora, ma con qualche indecisione in più. Ora son fermo per una caduta da un boulder alto… Tuttavia, gli incidenti non hanno mai influito sulle mie scelte di stile in apertura. E’ vero quel detto che ciò che non ti uccide ti fortifica, ma la decisione non sempre rimane la stessa e, nella nostra attività, se perdi quella sei finito. Non mi vedo, come altri miei colleghi, a ravvicinare col passar degli anni progressivamente gli spit e a confezionare vie plaisir, piuttosto preferisco scendere di difficoltà o dedicarmi al trekking. Credo, nella mia carriera, di essere stato fedele almeno ad un principio. Qualunque sia lo stile e la difficoltà, le mie vie sono impegnative e non offrono sconti che danno la possibilità a tutti di salirle. Il che vuol dire che si può aprire una via di quinto grado senza che essa diventi una banalità, almeno per gli arrampicatori che si muovono su quella difficoltà. Sembra una cosa ovvia, ma non lo è poi così tanto. In genere si vedono vie poco chiodate sui gradi "facili" e molto chiodate su quelli "difficili". Ma tutto è relativo, dipende dal livello, chi è più forte metterebbe meno chiodi e chi lo è meno ne aggiungerebbe qualcuno…
Pochi giorni fa mi sono fermato al bar di Noasca. Apprendo che è stato detto alla gestrice, da un gruppo di arrampicatori, che questo posto, se fosse tutto a spit, attirerebbe il triplo della gente. Oggi molti vorrebbero tutto "sicuro" e "preparato". Credi che la Valle abbia mantenuto quel fascino che la contraddistingue proprio perché qui è possibile arrampicare proteggendosi con i friends? Sei onorato di aver mantenuto, negli anni, quello stile di arrampicata che i fruitori della valle qui ricercano?
Sicuramente. Come la Costa Est della Sardegna attira perché non è costruita, la Valle dell’Orco attira chi desidera fare vie proteggendosi. Ma, presentare la Valle dell’Orco come il "tempio del trad" è un paradosso. Ci sono forse più vie a spit che clean! Siamo noi in Italia a percepirlo come tale. Proprio perché non abbiamo, o abbiamo pochissimi, posti così. Anche il Monte Bianco, che se ne dica, è strachiodato. La Valle dell’Orco lo è meno, per cui anche gli stranieri ci vanno cercando qualcosa che altrove (per esempio in Francia e Svizzera) non c’è. Portare l’esempio della Valle del Sarca ai gestori delle attività in Valle dell’Orco è un non senso. A parte che non sarebbe vero che più spit attirerebbero più gente, proprio per il fatto che a spit è più bello scalare altrove, ma quel sur-plus andrebbe fagocitato irrimediabilmente! Per quanto ami la Valle dell’Orco e sia sentimentalmente legato ad essa, mi sforzo di essere obiettivo: concordo quindi col giudizio di molti visitatori stranieri. La Valle dell’Orco possiede un contesto paesaggistico di grande fascino e uno gneiss che si presta molto alla scalata, anche su muri compatti, non solo nelle fessure. Ma le vie, qualitativamente, sono inferiori a tanti altri santuari del trad sparsi per il mondo. Poi ci sono posti dal fascino molto particolare e malinconico, come il Piantonetto, che meriterebbero di essere più conosciuti. Ma, come ho detto prima, a fare la fortuna della Valle dell’Orco è un insieme di cose. Non solo la difficoltà o lo stile delle vie, ma anche il paesaggio, la cultura, il Parco Nazionale. Gli Amministratori e gli operatori turistici dovrebbero rendersi conto di questo, quindi aumentare la promozione e implementare i servizi. Gli spit, a mio modo di vedere, proprio non servono…
Vie aperte in Valle dell’Orco da Maurizio Oviglia
1 – Fragola Party (6b) - Acqua Chiara -1983
2 – Eclisse dei desideri (5c/A1) – Monte Destrera (1983)
3 – Impressioni di Settembre (6a) – Scoglio di Mroz (1983)
4 – Alì muschiò ed i 40 radicioni (5c/A1) – Inflazione Strisciante -1983
5 – Excentric circle (5c/A2) – Aquile (1984)
6 – La casa degli specchi (6c) – T. Aimonin -1984
7 – Viaggio a Ixtlan (5c) – Cresta Prosces (1984)
8 – Paperinik (5c) – Cavalieri Perdenti -1984
9 – Elisir d’incastro (6b+) – Sergent (1984)
10 – L’ultima follia di Sir Bis (6c) – Sergent (1984)
11 – Mangas Coloradas (5c/A2+ o 7a+) – Caporal (1984)
12 – Il supermercato degli appigli (5a/A1) – Mela Tagliata -1985
13 – Paris-Texas (6b) – Disertore (1985)
14 – Chalot (6b) – Disertore (1985)
15 – Extravaganza (6a) – T. Aimonin (1986)
16 – Avantgarde (6c) – Massi Caporal (1986)
17 - Gli angeli della morte – (7c) – Sergent (1986)
18 – Aquila della notte (7b) –Caporal (1998)
19 – Ve la do io l’America (7b) – Sergent (1998)
20 – Il ruggito dei vecchi Leoni (6c) – Camoscio cieco (1998)
21 – l’eroe dei due mondi (7a) – Sergent (1999)
22 – Il senso della vita (7a) – Sergent (1999)
23 – Cinquetredici (7c+) – Sergent (1999)
24 – Monica Tesoro (7a+) – Pian della Balma (1999)
25 – L’ultima guida (6a+) – Pian della Balma (1999)
26 – Gosset (7b) – Pian della Balma (1999)
27 – Abbi fede (6b) – Cima di Courmaon (1999)
28 – Variante a Gosset (progetto) - Pian della Balma (1999)
29 – Navigatori del Silenzio (6c) – Cresta Prosces (1999)
30 – L’importante è esagerare (6c) – Scoglio di Mroz (1999)
31 – Occhi nuovi (progetto) – Sergent (2005)
32 – L’avventuriero (6c+) – Sergent (2005)
33 – La cruna dell’Ago (8a) – Ancesieu (2005)
34 – Il lato oscuro (6c) – Sergent (2008)
35 – Le chiacchere stanno a zero (6c+) – Sergent (2008)
36 – L’attacco dei cloni (7b+) – Sergent (2008)
37 – Jedi Master (6b) – Sergent (2008)
38 – Mr Green (6a) – Dado (2008)
39 – La stanza dei bottoni (7a) – Massi Caporal (2009)
40 – Senza Cugnisiun (6b/c) – Massi Caporal (2009)
41 – Niente di nuovo sul fronte occidentale (6c) - Acqua Chiara -2009
42 – Macho Man (6c+) - Acqua Chiara -2009
43 – Aria di rivoluzione (6b+) - Acqua Chiara -2009
44 – Mi ritiro (6b) – Sergent (2009)
45 – Cani e porci (6c) – Torre di Aimonin -2009
46 – Cani e gatti (8a+) – Torre di Aimonin -2009
47 – Siamo mica qui per divertirci (6c) – Disertore (2009)
48 – L’antico maestro Yodaparo (6a) – Disertore (2009)
49 – J’arrive (7a+) - Ombre -2009
50 – Eva Green (7a) – Tramonto (2009)
51 – L’alba di domani (6b) – Tramonto (2009)
52 – La riserva indiana (progetto) – Massi Caporal (2009)
53 – Mastro Ciliegia (7a) – Massi Caporal (2009)
54 - Orchite – (progetto) – Massi Caporal (2009)
55 – Balungunfià (6a+) – Massi Caporal (2009)
56 – Ciaparat (7a) – Massi Caporal (2010)
57 – Farinel (progetto) – Massi Caporal (2010)
58 – Purity test (7b+) – Massi Caporal (2010)
59 – Si vive una volta sola (6a) – Massi Caporal (2010)
60 – La pierina (6b) – Massi Caporal (2010)
61 – Carriera finita (progetto) – Massi aporal (2010)
62 - Trad-union (6c+) – Sergent (20113)
63 – Salvate Morkietto (6c) – Sergent (2012)
64 – Angel (6c) – Piantonetto (2012)
65 – Imagine (7a) – Becco di Valsoera – (2012)
66 – Orcozzio (6b+) – Lago di Teleccio - (2012)
67 – Zio Fa (6b) - – Lago di Teleccio - (2012)
68 – Desigual (7c) – Dado (2013)
69 – Royskopp (6c) – Dado (2013)
70 – Rataplan (7a+) – Grande Ala (2013)